Architettura

Studio Valle (1957-2007). Cinquanta anni di architettura
Monumento alle vittime di Auschwitz Birkenau, Polonia (1958 - 1959)
Padiglione Italiano Expo 70 di Osaka, Giappone (1968 - 1970)
Sede del Consiglio dell’Unione Europea a Bruxelles, Belgio (2005, in corso)
Concorso internazionale di progettazione per la nuova sede del Consiglio Europeo a Bruxelles
Intervista a Franco Purini [Alessandro d'Onofrio]

Intervista a Franco Purini
di Alessandro d'Onofrio

Alessandro d'Onofrio: Dove collocherebbe lo Studio Valle se dovesse fare una storia dell'architettura italiana?
Quali contributi specifici meritano di essere ricordati?
Franco Purini:
La lunga attività dello Studio Valle presenta un certo numero di edifici che meriterebbero di far parte delle opere più significative prodotte dall'architettura italiana negli ultimi decenni. In particolare voglio ricordare il Monumento alle vittime del Campo di Aschwitz Birkenau, il Padiglione italiano “Expo 70” di Osaka e la nuova Fiera di Roma, recentemente inaugurata. Le opere di Tommaso Valle, che dello Studio è la figura trainante, vanno iscritte in quell'area della cultura progettuale che indaga prevalentemente sul ruolo della tecnologia in architettura. Si tratta di una ricerca piuttosto inconsueta nel panorama italiano, notoriamente poco sensibile, tranne qualche eccezione, alle problematiche tecnologiche. In altri contesti culturali, ad esempio in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti, la tecnologia assume un carattere fortemente innovativo, riguardante la messa a punto di un'ampia serie di soluzioni costruttive avanzate, nelle quali gli aspetti relativi alla migliore realizzazione di un manufatto si fondono con tematiche legate all'ecologia, al comportamento dell'edificio nel tempo, alla sua manutenzione, al suo corretto inserimento nell'ambiente. Tuttavia l'importanza del lavoro di Tommaso Valle non è tanto nel suo approfondire gli aspetti tecnologici dell'architettura, quanto nell'aver cercato di spostare il concetto stesso di tecnologia. In effetti, in modo analogo a quanto avviene nell'opera di Renzo Piano, la tecnologia stessa non è considerata, come invece è dato constatare nel lavoro di Norman Foster o di Richard Rogers, un ambito specialistico, a volte così complesso da sfiorare un'ambigua ermeticità e da produrre un nuovo decorativismo. Nel lavoro di Tommaso Valle la tecnologia viene depurata dai contenuti più superficiali
e dimostrativi e ricondotta a una misura architettonica, a un'armonia proporzionale, a una efficace semplicità degli apparati costruttivi. Tutto ciò per ottenere un'essenzialità espressiva del tutto inerente alla dimensione architettonica della forma. Non più, quindi, una tecnologia intesa come un dominio autoreferenziale, rivolto esclusivamente alla messa a punto di inediti e sofisticati dispositivi costruttivi, ma una tecnologia riportata a tecnica, ovvero a una sapienza architettonica relativa ai materiali e alle sue stabili connessioni, polarizzata, come dicevo, sulla forma. Ho citato prima Renzo Piano tra gli architetti ai quali si deve l'umanizzazione della tecnologia sotto il segno di un'estetica architettonica colma di equilibrio, di propensione per la sintesi volumetrica e per un certo astrattismo linguistico. Oltre all'architetto genovese occorrerebbe però ricordare anche le esperienze di Franco Albini, di Ignazio Gardella, e di Giancarlo De Carlo, protagonisti del Novecento che hanno saputo anche essi trascrivere, in ogni occasione, la tecnologia in forma. In breve ritengo che il contributo più significativo di Tommaso Valle e del suo Studio è stato ed è quello, riferendosi alle esperienze italiane appena ricordate, di cercare la verità dell'architettura in tutta l'ampia problematica che questa parola evoca, senza mai ricondurla a un suo semplice settore, a una sua sola parte, fosse anche, questa, determinante.

d'Onofrio: Quali pensa che siano le differenze sostanziali del vostro rispettivo modo di fare architettura?
Purini:
Le differenze sostanziali tra il modo di fare architettura di Laura Thermes e mio e dello Studio Valle sono piuttosto consistenti, anche se esse non ci hanno impedito di collaborare, con risultati che ritengo più che soddisfacenti, in un recente concorso per il fronte a mare di Reggio Calabria. Tali differenze sono sostanzialmente tre: per noi l'architettura è un fenomeno prettamente plastico che ha a che fare con l'essenza scultorea dello spazio, sia esso inteso in positivo, come volume, sia in negativo, come vuoto, mentre per lo Studio Valle, come ho già detto, il problema è la tecnologia che si fa forma. La seconda differenza consiste nel fatto che per noi l'architettura deve avere un rilevante contenuto concettuale – ad esempio ci interessa non tanto riuscire a comporre le contraddizioni che compaiono in ogni progetto, ma a esprimerle per quello che esse sono – mentre per lo Studio Valle è più importante ottenere un risultato capace di mediare tra elementi in tensione fra di loro. La terza differenza riguarda il modo di concepire il comporre, per noi sempre intessuto di elementi analitici e di processualità additive, per lo Studio Valle teso piuttosto a privilegiare soluzioni che incorporino il dato analitico e le fasi di montaggio dell'insieme in una unità predeterminata.

d'Onofrio: Invece quali sono le similitudini che vi accomunano?
Purini:
Tra il lavoro di Tommaso Valle e il nostro c'è sicuramente un'affinità di un certo rilievo. Essa riguarda la volontà di pervenire a soluzioni architettoniche dotate di una precisione univoca. Ciò è in contrasto con le ricerche di molti architetti contemporanei, per i quali è più importante ottenere risultati formali instabili e mutevoli fino all'aleatorietà, che lasciano aperto un ampio spettro di interpretazioni.

d'Onofrio: Esiste un progetto dello Studio Valle che considera particolarmente interessante?
Purini:
Quando osservo o studio le opere di altri architetti non sono quasi mai interessato a scegliere un'opera piuttosto che un'altra, almeno fino a quando non sono riuscito a costruirmi un quadro critico complessivo. Solo allora, e a volte, un'opera si distingue ai miei occhi rispetto alle altre. Come ho già detto nella prima risposta, ho sempre guardato con attenzione al progetto del Padiglione italiano “Expo 70” di Osaka, del 1968. C'entrano anche motivi biografici. In quegli anni lavoravo presso Maurizio Sacripanti, autore per lo stesso concorso di un progetto memorabile, al quale detti anch'io il mio contributo, un progetto sconfitto da quello di Tommaso Valle. Proprio il Padiglione italiano realizzato a Osaka rende molto evidente una componente importante del lavoro dello Studio Valle. Come esso ha saputo riportare la tecnologia nell'alveo della forma, così ha saputo modificare in modo molto concreto i fermenti figurativi emersi dalla cultura utopistica degli anni sessanta, sottraendoli alla loro essenza visionaria e propagandistica per farne altrettanti motivi linguistici. Anche in questo caso Tommaso Valle ha operato una selezione, una sublimazione, una trasmutazione di molti elementi presenti nelle ricerche più avanzate di quegli anni, conferendo ad esse una indiscutibile stabilità formale, nonché una vera necessità tematica. Ma c'è un altro elemento del lavoro dello Studio Valle che merita un approfondimento architettonico. Si tratta, per inciso, di un ulteriore aspetto che accomuna il lavoro di questo studio a quello del nostro. Tale aspetto riguarda l'idea di scala. Se passiamo in rassegna le architetture dello Studio Valle possiamo constatare infatti che esse sono sempre risolte all'interno di un senso preciso della dimensione scalare, pensata nei termini di quella conformità di cui ha parlato Le Corbusier. Questa categoria merita un veloce approfondimento. Per il maestro svizzero la dimensione conforme concerne sia la concezione esatta della grandezza fisica di un manufatto, sia la sua intera tessitura metrica, sia, ancora, il suo carattere, quell'entità per la quale, come diceva Louis Kahn, un edificio tende ad essere, vale a dire che sa esprimere una sua direzione di sviluppo, una sua finalità rappresentativa, un suo contenuto simbolico. Si dovrebbe anche dire che il rapporto con il contesto non è altro che una derivata prima di questa idea triplice della scala. Progettare la nuova Sede della Banca d'Italia, piuttosto che la nuova Fiera di Roma, comporta il muoversi all'interno di due registri semantici autonomi, legati da tessiture compositive comuni ma chiamati a esprimere caratteri architettonici diversi. Sul piano della sapienza scalare occorre riconoscere che Tommaso Valle e i suoi collaboratori sono riusciti sicuramente a dare risposte molto attendibili, e più volte cariche di un'attenta sensibilità, ai problemi posti dal confronto con il paesaggio e con la città.

d'Onofrio: Lo Studio Valle ha alle spalle una lunga tradizione architettonica, che passa di padre in figlio, una sorta di bottega dell'arte. Un fenomeno particolare, ma che a Roma può contare su diversi e prestigiosi esempi.
Purini:
Lo Studio Valle si iscrive sicuramente nella storia della grandi dinastie dei professionisti romani che hanno lasciato testimonianze architettoniche importanti non solo nella nostra città, ma anche fuori di essa. Come lei giustamente ricordava, lo Studio Valle fa parte della tradizione che fa capo ai Busiri Vici, ai Passarelli, a Paniconi Pediconi, ai Nervi, e a molte altre situazioni – sto pensando agli Aymonino, ai Lenci, ai Rebecchini – nelle quali il sapere architettonico si tramanda da una generazione all'altra. Rispetto a questa tradizione, che affonda le sue radici nel Settecento e nell'Ottocento, trovando il suo polo ideale nell'Accademia Nazionale di San Luca, lo Studio Valle ha dato vita negli ultimi anni a una importante mutazione. All'impostazione artigianale, seppur sofisticata, dei grandi studi storici, esso ha innestato un'organizzazione professionale più avanzata e articolata, che cerca di dare una risposta ai problemi posti dal continuo crescere della complessità dei progetti e all'altrettanta progressiva necessità per gli architetti di aprirsi verso scenari globali. Una cosa che va sottolineata è che lo Studio Valle, grazie soprattutto alla grande energia del suo maggiore rappresentante, Tommaso Valle, ha saputo conciliare lo scambio continuo al tavolo da disegno e al computer, quindi la presenza costante sul lavoro, come in una bottega dei secoli passati, con tutte quelle nuove attività alle quali una struttura professionale ampia e diversificata dà vita. Probabilmente a Milano i grandi studi sono più presenti che a Roma – basta pensare alla Gregotti Associati – ma senz'altro nella capitale lo Studio Valle è uno dei pochi ad aver fatto un notevole salto di scala nella direzione di un nuovo concetto di professione.
Un salto che, ovviamente, non è soltanto organizzativo ma soprattutto culturale. Un progetto come quello per la nuova sede del Consiglio Europeo, a Bruxelles, in corso di realizzazione, si può gestire solo facendo riferimento a paradigmi concettuali e a metodi operativi nuovi, in un quadro che esige una mentalità geopolitica, una disponibilità a intervenire in situazioni lontane e sconosciute, a costruire architetture che possono essere interpretate, accettate e apprezzate da utenti che fanno riferimento a parametri culturali, a modalità di lettura e di usi dell'architettura spesso molto diversi dai nostri.

d'Onofrio: Secondo lei il lavoro dello Studio Valle è stato sottovalutato dalla critica?
Purini:
Indubbiamente la produzione di Tommaso Valle, tranne alcune eccezioni, come quella rappresentata da Bruno Zevi, che ha sempre seguito con interesse il lavoro dello Studio Valle, non ha ricevuto finora una attenzione da parte della critica veramente adeguata alla sua qualità. Le ragioni di questo silenzio sono molte, e non c'è tempo in questo dialogo per analizzarle tutte. Si può comunque dire che il motivo principale di questa relativa perifericità dello Studio Valle nell'interesse della critica si deve al prevalere, nell'architettura italiana degli ultimi decenni, del modello della crisi, ovvero di quella linea che ha privilegiato, da Giulia Veronesi a Manfredo Tafuri, quelle opere nelle quali “le difficoltà politiche dell'architettura italiana” sono state oggetto di una testimonianza continua e sofferta. In poche parole, la critica italiana ha preferito occuparsi più di coloro che mettevano in evidenza i problemi che di coloro che tentavano di risolverli. Oggi è in gran parte caduto l'interesse per quelle ricerche, non tanto accademiche, come da parte di alcuni si tende a dire, ma più portate all'espressione di problematiche teoriche, rivolte al perché piuttosto che al come del fare architettura. Ora che le ideologie sono tramontate anche se, per inciso, teorizzare il declino dell'ideologia è anch'esso una ideologia; nel momento in cui il dominio del mercato nella società globale è assoluto e la conseguente importanza dell'immagine è sempre più pervasiva; in una condizione che rivaluta gli orientamenti realistici e le capacità di incidere nelle situazioni concrete è chiaro che l'attività dello Studio Valle rivela valori prima impliciti, mentre quelli già noti acquistano significati nuovi. Emergono per questo le figure dei costruttori puri, mentre diventano più sfumate quelle degli architetti maggiormente legati al rapporto tra fondamento e linguaggio, tra il fare e le sue motivazioni, da quelle più evidenti a quelle più profonde. Tuttavia Tommaso Valle non è il solo architetto che ha vissuto questa distanza dalla critica. Fino a quindici anni fa anche Renzo Piano, tanto per fare un solo esempio, ha sperimentato una sorta di sospensione del giudizio alla sua opera risolto poi in un apprezzamento vasto e convinto, aperto a tutto il mondo. Sono certo che l'attività dello Studio Valle sia destinata nei prossimi anni a riscuotere un'attenzione sempre più ampia e motivata. Il mio non è un augurio, che pure rivolgo allo Studio Valle per un lavoro che dia ad esso nuove e diverse opportunità di sperimentare, ma è una previsione che ritengo fondata. Una previsione che è, semmai, il segno della mia stima per l'intelligenza creativa e la passione di Tommaso Valle e del suo Studio.