Arte

America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo
Due temi fondamentali della storia americana del XIX secolo: la Secessione - la Frontiera
Il mito di Buffalo Bill

America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo

Brescia - Museo di Santa Giulia
Dal 24 novembre 2007 al 4 maggio 2008

Le cascate del Niagara sul versante americano, 1867

Frederic Edwin Church
Le cascate del Niagara sul versante americano, 1867
National Gallery of Scotland, Edimburgo

Goldin volta pagina nel suo percorso di curatore di grandi eventi espositivi.
E volta decisamente pagina perché ha il coraggio di abbandonare, dopo alcuni anni di mostre segnate da notevolissimo successo, il fertile territorio della pittura impressionista - proprio nel momento in cui tante altre realtà italiane invece abbondantemente lo percorrono - per presentare, per la prima volta nel nostro Paese, una grande mostra sulla pittura americana del diciannovesimo secolo: opere magnifiche, emozionanti, dipinte da artisti di valore assoluto ma spesso ignoti, o quasi, in Italia. Poi perché completa una metamorfosi del concetto stesso di mostra: da pura sequenza ragionata di opere (che pur ci sono, in grande quantità e di superba qualità) a una completa esperienza cognitiva ma anche sensoriale. In un viaggio duplice, l'uno dentro l'immensità della pittura e nella conoscenza della storia e dei miti di una grande nazione, l'altro nelle emozioni che proverà ciascun visitatore, quelle che vengono destate dalla "natura che si dispone davanti all'occhio di colui che cammina come in uno scenario infinito e immisurabile".

Pesca notturna, 1850

Fitz Hugh Lane
Pesca notturna, 1850
Museum of Fine Arts, Boston
Dono di Henry Lee Shattuck

Tormenta in montagna, 1870-1880 ca.

Albert Bierstadt
Tormenta in montagna, 1870-1880 ca.
Museum of Fine Arts, Boston
Dono di Martha C. Karolik per la M. and M. Karolik Collection of American Paintings

Figure sul lungomare (spiaggia di Beverly), 1869

John Frederick Kensett
Figure sul lungomare (spiaggia di Beverly), 1869
Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford, CT
The Ella Gallup Sumner and Mary Catlin Sumner Collection Fund

Circa 250 opere di pittura, molte delle quali di grande formato com'è caratteristica della pittura ottocentesca in America, 60 capolavori originali della fotografia del diciannovesimo secolo, 10 sculture e 80 oggetti rituali e di vita quotidiana dei nativi americani, due sale multimediali di approfondimento storico ai temi della Frontiera e della Secessione. Questi gli ingredienti con i quali Marco Goldin ha creato quella che sarà la sua nuova sfida: "America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo" (Museo di Santa Giulia, 24 novembre 2007 - 4 maggio 2008), una mostra che unisce, dipinge, racconta tante vicende, insieme alla storia dell'arte americana dal primo decennio dell'Ottocento al primo del Novecento.
E' il racconto, meglio il romanzo, di un secolo nel quale si assiste "allo sterminato canto sulla natura" da parte dei pittori della Hudson River School, ai viaggi di artisti americani alla scoperta del Sud America o dell'Italia, poi l'emozione dei "nuovi" territori dell'Ovest, con gli spaccati di vita di Indiani e cowboy, fino alla pittura impressionista d'oltreoceano e alla grande ritrattistica nell'ultima parte del secolo.

Marco Goldin a teatro

Marco Goldin a teatro



Abbraccio materno, 1902 circa

Mary Stevenson Cassatt
Abbraccio materno, 1902 circa
Museum of Fine Arts, Boston
Dono di Miss Aimée Lamb in memoria di Mr. e Mrs. Horatio Appleton Lamb

Una mostra vastissima, sette ampie sezioni all'insegna della scoperta e della meraviglia, nella quale i giganti dell'arte americana ci immergono nella selvaggia bellezza di quel paesaggio "nativo" che, via via nel tempo, ma non sempre e non ovunque, sarà "addolcito" dall'intervento dell'uomo.

"America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo" è promossa dal Comune di Brescia, dalla Fondazione CAB, dalla Fondazione Brescia Musei insieme a Linea d'ombra, la società di Marco Goldin che gestisce interamente anche l'organizzazione della mostra. Compagni di questo meraviglioso viaggio - così come delle precedenti esposizioni che Goldin ha curato a Brescia - saranno ancora una volta i Fratelli Lucchetta del Gruppo Euromobil, in veste di main sponsor.
La mostra è a cura di Marco Goldin, che firma anche il saggio generale ad apertura di catalogo. Un volume di circa 600 pagine che sarà il primo, vero strumento in lingua italiana sul tema della pittura americana del diciannovesimo secolo, corredato dai saggi di una ventina dei maggiori studiosi americani, oltre che dalle schede di tutte le opere pittoriche inserite.
Al tema della mostra, con il coordinamento scientifico dello stesso Goldin e di Barbara Weinberg, celebre curatrice della pittura americana al Metropolitan di New York, verrà dedicato anche un convegno scientifico internazionale, programmato a Brescia, nell'auditorium di Santa Giulia, il 17 e 18 aprile 2008.

Molte, e davvero di rilievo, le manifestazioni collaterali che Goldin ha voluto, per far sì che questa mostra divenga un vero momento di approfondimento su un secolo di vita di una grande nazione, che spesso ci è nota soprattutto per stereotipi. Con il titolo "AmericaPiù", dal 12 ottobre al 4 maggio 2008, con il totale sostegno della Camera di Commercio, una fitta serie di eventi animeranno Brescia, tutti dedicati alla cultura americana dell'Ottocento e comunque da quel secolo originati. Serate e incontri approfondiranno i temi del cinema, della storia, della letteratura, dello sport, dell'esplorazione, del giornalismo. Molti i personaggi coinvolti, dai "testimonial" Mike Bongiorno e Dan Peterson, agli ospiti che i coordinatori delle diverse sezioni" del programma (Antonio Caprarica, Vincenzo Mollica, Flavio Faoro, Maria Latella, Nino Dolfo e Magda Pallavicini, Luca Corsolini, Sergio Bonelli, Armando Besio) inviteranno a Brescia. Tra le presenze annunciate anche quelle di Reinhold Messner, Antonella Ruggiero, Arnoldo Foà, Franco Battiato, Gabriele Salvatores, Gianni Riotta, Fabio Volo, Ambra Angiolini, Vittorio Zucconi, Furio Colombo, Lynn Hill, Dino Meneghin, solo per fare i primi nomi tra i tanti.

Come sempre, il curatore presenterà in anteprima la mostra al suo pubblico. Lo farà con una tournée nei maggiori teatri italiani, tournée che prenderà il via il 26 settembre dall'Auditorium di Milano.


L'occhio viene torturato dalla distanza. Robert Louis Stevenson
"Il sublime è la risonanza di un animo grande", si legge in uno dei frammenti attribuiti a Longino. E sul senso del sublime, sulla disposizione che è propria dell'anima ad accogliere fino in fondo tutta la sua forza originaria e rivelatrice, è costruita quasi tutta questa mostra. La natura che si dispone davanti all'occhio di colui che cammina come uno scenario infinito, e immisurabile. Un luogo lì nell'attesa di secoli, nell'attesa di essere abitato e descritto. Perché la descrizione è l'atto di una presa di possesso, l'istante in cui per la prima volta si istituisce la consanguineità, e l'uomo e lo spazio giungono a far parte di una stessa armonia. Immaginata da sempre. La meraviglia per la distanza infinita è la consapevolezza di poter vivere ancora una volta nel giardino dell'Eden, in quella natura non ancora corrotta e intaccata dalle regole dell'uomo. Invece suono di una profondità, di un tempo remoto, sorgente dall'alba del mondo.

Colui che viaggia verso Occidente, colui che ogni giorno scopre, e sempre toglie il velo e rivela, è nel punto in cui miracolosamente si congiungono il tempo della storia e il tempo della visione istantanea. Essere proprio lì, nel punto preciso in cui il mondo si presenta come cosa mai accaduta, eppure esistente da sempre. Nel momento in cui il vento scompagina con forza costante le cime degli alberi e lo specchio di un lago, le frastagliate nuvole e le gole delle montagne. La sensazione che dovette cogliere il pittore nel punto in cui la lunga salita ebbe termine e davanti al suo sguardo, come da una immensa porta di roccia, cominciò a contemplare l'immagine del paradiso. Mai ascoltata prima. Dal fondo del tempo giungente. Tutto il tempo. Nella lontanante, azzurra luce di una distanza che era difficile anche solo immaginare di poter colmare con il pensiero. E che in quel momento, dentro il tempo, si dava invece, tutta intera, come visione mai prima veduta.

La prima ora del mondo. Quante volte tornerà infine questa frase, questa immagine, questo pensiero, nel provare a descrivere con parole la pittura americana del XIX secolo. Che è in una sua larga parte proprio il tentativo di essere dentro quella natura, di coglierne il senso più articolato e profondo, la sua trama di verità e vita. Il suo misurarsi con la spiritualità e il senso di trascendenza che ne promana. E forse più ancora che viverne il centro, osservarla da un alto spalto, da un confine che lasci tutto inquadrato, ogni cosa nella possibilità di essere vista e conosciuta.

Sono mirabili tante opere dipinte lungo il corso quasi intero dell'Ottocento, e sono un'indicazione certo commossa di come l'uomo si trovasse di fronte allo spettacolo della natura, al suo essere incomparabilmente immenso, mai del tutto percorribile. O come talvolta quello sguardo colmo d'amore, lanciato dalla cima di una collina, indugiasse sulla vita tranquilla di un piccolo borgo dai tetti rossi, posato lungo una strada nel verde. Per dire come l'uomo stesso avesse potuto, con l'andare degli anni, in qualche modo addomesticare quella "selvaggia bellezza del paesaggio americano" di cui parla Thomas Cole nel suo celebre Essay on American Scenery. E rendendo docile la natura, condurla verso quello spazio più europeo che tocca evidentemente il suo punto di maggiore vicinanza con l'arte del Vecchio Continente quando, nei due decenni finali del secolo, sono molti i punti di contatto con Parigi e l'arte impressionista. La natura, ugualmente in territorio americano, diventa anche giardino, luogo che attorno a sé ha confini, mentre la vita delle città entra prepotentemente nella pittura d'oltreoceano, sull'esempio di Caillebotte, Monet, Pissarro. I viaggi in Francia si susseguono, Giverny diventa un punto di approdo fondamentale per alcuni tra gli impressionisti americani e Durand Ruel, il famoso mercante di Monet, nel 1886 espone a New York circa 300 dipinti dell'impressionismo francese, suscitando un'ondata di forte interesse sia tra i collezionisti che tra gli artisti.

America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo ha nel suo titolo il punto esclamativo proprio perché già in questa parola così pronunciata si colga il senso della scoperta e della meraviglia. Con un doppio significato che s'intreccia. Da un lato quella meraviglia, da impedire la parola, che colse i primi viaggiatori davanti alla lucente, azzurra brillantezza gorgogliante delle cascate del Niagara o all'incanto come di un verde paradiso della Yosemite Valley; e dall'altro, la nostra meraviglia davanti alla scoperta di una pittura poco, o quasi per nulla conosciuta, ma intrisa di profonda bellezza e sensibilissimo fascino. Per la prima volta in Italia un'esposizione racconta, poiché di vero racconto, e forse ancor di più romanzo, si tratta, questa grande avventura. Cento anni di pittura che sono una ininterrotta evoluzione dal sogno romantico e dell'Arcadia di Doughty e Cole fino ai famosi ritratti di Sargent già nel XX secolo. Perché l'arco cronologico della mostra si tende dal primo decennio dell'Ottocento al primo decennio del Novecento. Nel mezzo, potendo tutti noi assistere allo sterminato canto sulla natura da parte dei pittori della Hudson River School, e certi loro viaggi anche nel Sud dell'America. Poi la scoperta dei territori dell'Ovest, il racconto di vita su indiani e cowboy, fino alla pittura impressionista e alla grande ritrattistica nell'ultima parte del secolo.

Una mostra vastissima nel numero delle opere, e non solo una mostra di pittura. Quello che infine ho desiderato potesse accadere negli spazi del Museo di Santa Giulia a Brescia, è la ricostruzione della storia di una civiltà e di una nazione nel XIX secolo, quindi solo pochi anni dopo la sua nascita ufficiale, sancita come è noto dalla firma dell'atto di Indipendenza, a Filadelfia, nel 1776. Circa 250 dipinti, molti dei quali di grande formato come è caratteristica della pittura ottocentesca in America, 60 fotografie originali del XIX secolo, 10 sculture e 80 oggetti, dai vestiti alle borse ai mocassini ai gioielli alle preziose selle istoriate ai copricapo rituali, dei nativi americani e di Buffalo Bill. In totale, quindi, oltre 400 opere. E tutto questo reso possibile dalla collaborazione entusiasta e preziosa di tutti i maggiori musei americani. Ma non solo i maggiori, poiché chi conosca quella storia e quella pittura sa perfettamente come anche musei di città più piccole conservino raccolte assolutamente indimenticabili. Tutto ciò come primizia assoluta per l'Italia, che mai in precedenza aveva ospitato una mostra simile, e mai finora aveva inteso indagare in questo modo la cultura americana di quel secolo.

Moltissimi i musei coinvolti, e qualcuno anche in Europa, soprattutto in Gran Bretagna. Ma ovviamente quelli americani in prima fila. E non potranno a questo proposito non essere subito ricordate le quattro collaborazioni che danno sostanza immensa di numeri e qualità alla mostra. Il Museum of Fine Arts di Boston, attorno al cui primo nucleo di prestiti è si è strutturata l'idea dell'esposizione. Nel numero di 53 i dipinti che da quel museo giungeranno a Brescia, con capolavori assoluti per la storia della pittura americana dell'Ottocento. E del resto è noto a tutti come Boston possegga una fra le migliori raccolte museali del settore, soprattutto grazie alla Karolik Collection of American Paintings. E unitamente ai dipinti anche quarantina di splendide fotografie originali di quel secolo.

Decisamente orientati a illustrare la prima sezione della mostra, dedicata alla Hudson River School, i 50 eccezionali dipinti provenienti dal Wadsworth Atheneum di Hartford, che poi tocca comunque punti di assoluta eccellenza anche nelle opere, tra gli altri, di Eakins, Homer, Merritt Chase, quanto a dire alcuni tra i giganti dell'impressionismo americano.

Due altri musei, con i loro prestiti, costituiscono invece l'ossatura potentissima dell'articolata ricostruzione, non solo pittorica, che avverrà nella mostra a proposito della cultura dei nativi americani e della conquista dei territori dell'Ovest. Quella che in Italia, con esagerata semplificazione, diremmo degli indiani e dei cowboy. La quinta sezione della mostra di Brescia sarà infatti interamente riservata all'immagine proprio dell'Ovest, sia con i paesaggi, intrisi di senso del sublime, di Albert Bierstadt e Thomas Moran, sia con le scene, più propriamente di vita western per come le intendiamo in Italia, realizzate, tra gli altri, dai tre maggiori pittori di questa epopea: George Catlin all'inizio e poi Remington e Russell. Non è ignoto infatti come talune delle inquadrature più famose dei film di John Ford siano state desunte proprio da certi quadri di Remington, un buon numero dei quali compariranno in Santa Giulia. Quindi due veri e propri templi di questa cultura, il Gilcrease Museum di Tulsa in Oklahoma e il Buffalo Bill Historical Center di Cody nel Wyoming, ci consentiranno di fare piena luce sulla materia. Da Tulsa giungeranno infatti 24 dipinti, 10 acquerelli, 10 sculture e 25 oggetti della cultura nativa, mentre da Cody un altro nucleo comprendente 20 dipinti, 21 fotografie e 54 oggetti, questi ultimi soprattutto volti a ricostruire la storia di Buffalo Bill e la sua epopea, e la storia degli indiani d'America.

Ma se questi quattro musei hanno per la mostra l'importanza che si è compresa, non sarà inutile dire che prestiti giungeranno a Brescia dalla National Gallery di Washington e dal Metropolitan, da tre altri templi della cultura americana come sono lo Smithsonian di Washington, Terra Foundation for American Art di Chicago e la New York Historical Society. E ancora, solo per fare qualche esempio, dai musei di Detroit, Atlanta, Indianapolis, Minneapolis, dalla Yale University di New Haven, da importanti gallerie e collezioni private. Insomma, un nucleo di prestatori, soprattutto pubblici, che non possono non far comprendere come questo progetto sia giudicato negli Stati Uniti un momento importante di studio per la cultura artistica di quella nazione. Tutto ciò testimoniato anche dal fatto che il ponderoso catalogo della rassegna conterrà saggi di alcuni tra i maggiori studiosi americani. Mentre altri ancora parteciperanno al convegno internazionale che, in due giornate, si svolgerà il 17 e il 18 aprile del 2008, nelle settimane di chiusura dell'esposizione, e a cui seguirà la pubblicazione degli Atti.

E vorrei ricordare come il racconto della pittura sarà affiancato, nello stesso percorso espositivo, da due approfondimenti sulla storia degli Stati Uniti d'America nel XIX secolo: la Secessione e la Frontiera. Appunti di storia che costituiranno una sorta di sottofondo per i colori e per le immagini, cosicché quegli stessi colori e quelle immagini siano inseriti in un contesto che forse per il pubblico italiano non è così scontato. Quello che ritengo sarà fonte di stupore, risulterà il modo in cui, nella mostra, questi appunti di storia saranno offerti al pubblico. Con ampio ricorso alla multimedialità, tuttavia abbondantemente "corretta" dalla poesia, costituiranno il contenuto delle due stanze nelle quali il passaggio dei visitatori avverrà anche in modo interattivo, con l'attivazione di contenuti e percorsi quasi didattici.
Perché ciò che infine possa scaturire dalla visita a questa mostra, sia una completa esperienza di conoscenza e sensoriale. Qualcosa, mi auguro, di mai provato prima davanti a dei quadri. Eppure, la pittura non sarà tutto. Sarà il centro e il motivo, ma sarà accompagnata da molto altro. Soprattutto, io credo, dal senso della meraviglia e della scoperta. Come augurare a qualcuno un buon viaggio verso terre lontane, a lungo desiderate e tuttavia mai conosciute.

Marco Goldin
Ideatore e curatore del progetto
Direttore generale di Linea d'ombra

LE SEZIONI DELLA MOSTRA
I SEZIONE
I pittori della Hudson River School
Questa sezione prende il via da un nucleo di opere che illustrano come, tra gli stessi pittori dell'Hudson River School, l'influsso artistico europeo rimane dominante, collegando necessariamente gli inizi della pittura americana alla cultura figurativa britannica della fine del XVIII secolo. In questa prima fase, i generi pittorici maggiormente apprezzati dal pubblico sono proprio quelli che si accordano con la tradizione europea, ossia il ritratto e il genere storico e, più in generale, quei temi legati al classicismo. Nasce anche una notevole attenzione al paesaggio, dove sono evidenti i debiti con l'arte inglese di Constable, di Turner e quella tedesca di Friedrich, in una particolare combinazione di sentimento romantico e struttura compositiva classica.
Prima del 1825 la pittura di paesaggio è comunque trattata sporadicamente, anche se con risultati di alta qualità, con le visioni suggestive di Washington Allston e poi di Thomas Doughty e Thomas Birch. Quest'ultimo dimostra un temperamento artistico chiaramente influenzato dalla pittura inglese. Egli applica il concetto di pittura romantica alla realtà americana, mescolando tradizione e modernità. Nei suoi quadri è dunque evidente un senso della veduta accurato, strutturato secondo i criteri dell'equilibrio architettonico classico e dal quale traspare un sentimento partecipato e vero della natura. Anche i paesaggi di Doughty si pongono quali interpretazioni romantiche di scenari nei quali inserisce idilli pastorali, oppure elementi medievali. Ma è indubbiamente Thomas Cole il primo, grande paesaggista americano. Con lui la pittura, pur mantenendo vivi i legami con la cultura europea, esprime con chiarezza il desiderio e il progetto di dar vita a una visione che abbia caratteristiche fortemente nazionali. La prima sezione della mostra intende quindi dare conto di questa temperie culturale, che segna il principio di una meravigliosa, e in Europa sostanzialmente quasi del tutto ignota, avventura.
Alla magnificenza e alla vastità degli scenari naturali, celebrati dalla nuova pittura di paesaggio che poco a poco si sviluppa dopo la guerra con l'Inghilterra del 1812, è dedicato il nucleo più importante di questa prima sezione. Vi sono contenute opere di artisti che, più o meno nei cinquant'anni che intercorrono tra il 1825 e il 1875, danno vita alla cosiddetta Hudson River School, una "scuola" che non ha regole precise ma evidenzia piuttosto un'affinità spirituale e una similarità d'intenti. Primo fra tutti quello di dare dignità al Paese, che in questo momento storico è visto come una sorta di "terra promessa" preservata nei secoli per essere affidata ai suoi nuovi abitanti. Una terra che viene celebrata negli aspetti più particolari, e che trova evidentemente nel paesaggio dipinto la sua consacrazione più alta e più vera. Il paesaggio assume da subito quella caratteristica "epica" che coniuga così una nota di descrizione con la partecipazione emotiva che è afflato romantico profondamente vissuto. L'uomo conquista il paesaggio che era in una condizione di attesa, lì rimasto nei secoli per essere descritto e percorso.
Iniziatore della Hudson River School è il grande Thomas Cole che, nel 1825, espone a New York i suoi quadri dipinti durante l'estate di quell'anno lungo il fiume Hudson e sulle Catskill Mountains, luoghi che diventeranno presto simbolo esclusivo del paesaggio americano. Subito egli raccoglie intorno a sé un gruppo di artisti, tra i quali Asher B. Durand e Edwin Church, anch'essi affascinati dal potenziale espressivo di quei luoghi. La wilderness, riferita alla selvaticità di luoghi incontaminati e dunque parzialmente inospitali, è celebrata nei quadri di questi pittori come uno dei tratti peculiari del paesaggio americano, unitamente alla vastità e alla spettacolarità degli scenari naturali. Per rispecchiare fedelmente queste caratteristiche, Cole e Durand dipingono quadri che stupiscono il pubblico per le notevoli dimensioni e al contempo per la ricchezza e accuratezza nella resa dei dettagli raffigurati. Non solo. Danno anche a questa nuova pittura di paesaggio dei fondamenti teorici. L'Essay on American Scenery di Cole e le otto Letters on Landscape Painting di Durand, sono scritti importanti che descrivono i due aspetti principali della pittura di paesaggio: la convinzione che l'arte esprima anche esigenze spirituali e religiose (Cole), e il bisogno di tradurre la componente spirituale dell'arte negli elementi presenti in natura (Durand). Church, unico allievo di Cole, cercherà di unire lo studio minuzioso della natura con l'idealizzazione della composizione entro i termini di una grandiosità e serietà che supera di gran lunga i risultati di molti suoi contemporanei.
La grande attenzione per la luce, tratto caratteristico di tutti i pittori della Hudson River School, si accentua negli artisti della cosiddetta "seconda generazione", come ad esempio Gifford, Heade, Inness, Kensett. Se nei quadri di Cole, Durand e Church i luoghi raffigurati sono sempre riconoscibili topograficamente, Gifford, Heade, Inness e Kensett sono più inclini a sacrificare i connotati realistici a favore di un'attenzione accentuata sui colori e sulle variazioni tonali. Sono paesaggi dove l'unità compositiva è affidata soprattutto alla luminosità atmosferica, attraverso la quale vengono sottolineati l'idealismo e la liricità del paesaggio. È ovvio che si attua un cambiamento nell'idea di dipingere la natura, che è teatro nel quale il pittore si muove con maggiore libertà. E come detto, il dato luminoso affina la sua importanza, toccando così vertici di assoluta modernità da un lato e di stringente forza d'invenzione poetica dall'altro. Questa sezione, centrale quant'altre mai nel percorso espositivo, affronta con molti capolavori il tema della scoperta della natura, e l'idea stessa di wilderness.


II SEZIONE
Le cascate del Niagara
La seconda sezione, di grande spettacolarità, raccoglie quadri che alcuni artisti della Hudson River School - Edwin Church in modo particolare con il suo capolavoro di vasto formato Le cascate del Niagara sul versante americano (1867) - hanno dedicato proprio alle cascate del Niagara, uno degli scenari certamente più adatti a incarnare il concetto del sublime e la maestosità del paesaggio americano. Sono opere che raffigurano le trasformazioni dell'idea di natura susseguitesi nel corso del XIX secolo. Ma esprimono anche una risposta al bisogno, da parte del pubblico, di vedere rappresentato l'orgoglio nazionale che lo contraddistingue come popolo. Un capitolo tematico, dunque, che evidenzia come i pittori dell'Ottocento abbiano riflesso nel paesaggio i tratti peculiari della propria identità storica. I quadri di Church, di Inness, di Fisher, di Trumbull, di Bierstadt rappresentano bene quest'esigenza. Con la scelta di concentrare l'attenzione sulle rapide, e con il trattamento particolareggiato degli elementi naturali, evidenziano il vigore e la forza di un paesaggio in piena sintonia con il coraggio e lo spirito pionieristico americano.
Ma a queste visioni "celebrative" si affiancano talvolta opere sensibilmente diverse. Spesso, tra l'altro, la fotografia è utile strumento per approfondire soprattutto il punto di vista e il taglio compositivo, ed è per questo motivo che la sezione è ricca proprio di fotografie originali del XIX secolo. In uno dei suoi quadri, Kensett, ad esempio, sceglie di non sottolineare l'idea "trionfalistica" di forza. Egli infatti "inquadra" le cascate dall'alto, evitando di rappresentarne le rapide. Si concentra così sull'equilibrio generale della scena, affidato all'orizzontalità del quadro, alla visione panoramica, alla luminosità del cielo. Pur non rinunciando alla precisione topografica del luogo, Kensett raffigura un paesaggio che dona appunto un senso di equilibrio, dove la luce proveniente dal cielo non riecheggia solo la convinzione che il divino avesse accompagnato il popolo americano nella scoperta di questa terra promessa, ma allude anche alle reminescenze della pittura di paesaggio inglese, in particolare di John Constable. Il quadro è un esempio di come la ricerca del sublime, da parte dei pittori, prediligesse, a volte, anche linguaggi più lirici e pacati, sull'esempio di tanta pittura europea.
Ma è ben evidente come i quadri presenti in questa sezione tendano a coniugare, armonizzandoli, gli aspetti della spettacolarità della natura con quelli della composizione, cui la fotografia forniva utili elementi di appoggio.


III SEZIONE
Paesaggi tropicali ed esotici
Intorno alla metà dell'Ottocento, molti artisti, affascinati dagli scritti dell'esploratore e naturalista tedesco Alexander von Humboldt, iniziano a compiere numerosi viaggi nelle regioni del sud America. L'interesse combinato per la scienza e per l'arte, la curiosità per l'esotico e per il lontano, il gusto dell'esplorazione geografica, li porta in Colombia, Brasile, Equador, nelle isole dei Caraibi e nelle zone artiche. Questa sezione della mostra testimonia, soprattutto con i quadri di Heade e di Church, ma anche con quelli di Bradford, la rappresentazione di luoghi incontaminati e il bisogno di tradurre pittoricamente queste nuove conoscenze geografiche.
Il binomio conoscenza scientifica-arte è evidente nella passione di Heade per gli animali e per i fiori esotici, in particolare per i colibrì e per le orchidee. Un interesse che spinge il pittore a compiere lunghi viaggi in Brasile, Giamaica, per poter studiare questi soggetti colorati, e probabilmente anche per inserire la propria ricerca all'interno della lunga tradizione pittorica di nature morte dipinte proprio in luoghi esotici. Church, invece, nei suoi numerosi viaggi in Equador, sulle Ande, in Giamaica, preferisce ritrarre la spettacolarità degli spazi montani e dei fiumi, il fascino di una natura silenziosa che sembra evocare l'inizio della civiltà umana, una sorta di Eden tropicale, vuoto di presenze umane.
E la grandiosità degli spettacoli naturali lo spinge fino a Terranova e lungo le coste del Labrador, dove realizza una gran quantità di studi sugli iceberg che poi tradurrà in pochi quadri di straordinaria intensità lirica. Alle zone artiche dedica la propria ricerca soprattutto William Bradford che, dopo aver viaggiato ripetutamente lungo le coste della Nuova Scozia e del Labrador tra il 1851 e il 1867, realizza dipinti tra i più caratteristici, rendendo nelle sue tele la tipicità dei luoghi.


IV SEZIONE
Il viaggio in Italia
Accanto al gusto per l'esplorazione di territori sconosciuti, esotici e lontani, i pittori americani non si sottraggono all'esperienza del viaggio in Italia, secondo una tradizione che in Europa aveva già accomunato tanti artisti francesi, inglesi, tedeschi e provenienti dalle nazioni del Nord. Ed è proprio in Italia che molti di loro vivono momenti fondamentali per l'evoluzione della loro ricerca. L'Italia è l'incontro con la storia degli antichi popoli, con la storia dell'arte, la sua tradizione e i suoi maestri. E tuttavia il viaggio non significa solo frequentare un'"accademia", un "corso di studi", ma qualcosa di più: la possibilità di studiare i maestri antichi, ma anche conoscere paesaggi che presentano ancora le stratificazioni del tempo e delle civiltà. Un legame tra il passato e il presente che in Italia si riflette un po' ovunque nella natura "contaminata" dalla storia.
Significativamente, Cole a Roma concepisce l'idea di creare una serie di cinque quadri che, attraverso la rappresentazione di uno stesso paesaggio, illustrino il culmine e la caduta di una civiltà. E altrettanto significativamente i suoi paesaggi sono strutturati in modo tale che accanto agli scorci naturalistici rappresentati compaiano sempre anche elementi tratti dal passato, nella convinzione che l'arte debba esprimere il legame tra la storia dell'uomo e la natura. Cropsey si stabilisce a Roma nel 1848, alla ricerca di un linguaggio pittorico capace di coniugare natura e architettura, in modo da avvolgere i volumi con le tonalità e con i colori. Gifford, in Italia nel 1868, rimane affascinato dalle luci mediterranee, e realizza paesaggi nei quali la terra, l'acqua e il cielo si stemperano nei colori. Gli effetti intensi e i contrasti di luce inseriscono i paesaggi italiani nella più generale armonia di tutto il suo percorso artistico, secondo l'intenzione che sia davvero la luce a modulare interamente il senso del vedere.
E ancora, tra gli altri pittori presenti in questa sezione, i paesaggi di Inness che, tornato in Italia dal 1870, vi rimane per quattro anni, anche lui concentrandosi sullo studio della luce. Poco interessato alle notazioni realistiche nella natura, sopprime via via gli elementi di riconoscibilità topografica dei luoghi. La sua finalità è piuttosto quella di sottolineare il grado poetico del paesaggio, creando un'atmosfera di pace e meditazione. Quasi una visione mistica della natura.


V SEZIONE
Pittura western. Paesaggi e scene di vita
Il secondo Ottocento è caratterizzato dal progressivo spostamento verso ovest della frontiera e dalla conquista di nuovi territori. L'incontro, spesso problematico, fra i pionieri e una natura sconosciuta e selvaggia, popolata dalle tribù indiane, viene espresso da una pittura di forte impatto narrativo, nella quale lo scenario ambientale si fa talvolta duro e aspro. La pittura della frontiera americana coinvolge numerose generazioni di artisti, e con modalità stilistiche anche assai diverse le une dalle altre. A partire dalla fine degli anni cinquanta, Albert Bierstadt comincia a esplorare l'ovest americano al seguito di una spedizione governativa, e ha modo di ritrarre, e far così conoscere al pubblico, le meraviglie delle Montagne Rocciose e della Sierra Nevada. Nel 1863 si reca in California, dove rimane incantato dalla Yosemite Valley, un luogo paragonato dagli esploratori che vi erano giunti nel 1855, ai giardini dell'Eden. Bierstadt è il primo a dipingere questi luoghi, in composizioni di estrema grandiosità e monumentalità, che gli valgono l'appellativo di "pittore dell'ovest". Anche se molto spesso la sua idealizzazione di quegli spazi gli attira le parole di biasimo dei critici dell'epoca, che non ne apprezzano la mancata fedeltà al vero, contrapponendolo così a Church.
Anche Thomas Moran, nel 1871, viaggia al seguito della Hayden Spedition nella zona di Yellowstone, e ne reca testimonianza in disegni, acquerelli, illustrazioni per la stampa popolare, curiosa di avere notizie sui territori dell'ovest, e di cui questa sezione è ricca. Dominata da un interesse etnologico e documentario, la precedente pittura di George Catlin è invece dedicata al tentativo di far conoscere gli usi e la cultura delle tribù indiane, soprattutto come risposta alle tensioni che si stavano creando. La marcata diversità delle popolazioni native, non così disposte all'integrazione, aveva fatto sì che fossero sentite sempre più come una minaccia, tanto che sotto il presidente Andrew Jackson (1828-1836) vennero condotte le prime deportazioni e si assistette a un principio di impoverimento di quella cultura. In loro difesa, Catlin crea una galleria, l'Indian Gallery, nella quale raccoglie non solo i suoi dipinti ma anche molti dei loro oggetti di uso domestico e religioso, che in questa straordinaria sezione della mostra saranno pure inseriti.
Ma è Frederic Remington l'interprete memorabile del mito dell'ovest, con i suoi quadri eseguiti alle soglie del XX secolo, quando l'epopea era ormai compiuta e gli indiani erano già confinati nelle riserve. Diversamente da quelli di Catlin, i suoi lavori, assieme a quelli di Charles Russell, contengono in prevalenza scene di forte impatto visivo, sono popolati da cowboy e indiani e sottolineano dunque soprattutto il pericolo e l'avventura. Ma mentre Russell si muove su un terreno più fortemente illustrativo, Remington affina anche i suoi strumenti più propriamente pittorici, con la creazione di sensibilissime atmosfere per esempio in alcuni meravigliosi notturni. E capolavoro tra questi risulta Luna affamata (Febbraio), del 1906.
Questa sezione, che incarna l'immagine forse più nota che dell'America si ha in Europa, sarà anche ricca di altri materiali, utili a contestualizzare quel mondo. Soprattutto facendo riferimento alla cultura delle popolazioni native. Scrigno prezioso di raccolta di tali materiali è stato il Gilcrease Museum di Tulsa in Oklahoma, uno tra i principali musei statunitensi per la cultura western.


VI SEZIONE
Impressionismo americano
Mentre i pittori del primo Ottocento si erano dedicati alla costruzione e alla celebrazione del mito, dell'identità di una nazione nuova, negli ultimi decenni del secolo si avverte maggiore il desiderio di confrontarsi con l'arte moderna europea, che proprio in quel momento sta celebrando in Francia i fasti dell'impressionismo. Se già Mary Cassatt, John Singer Sargent e James Abbott Whistler vivevano e lavoravano in Francia a stretto contatto con gli artisti francesi, è solo alla fine degli anni ottanta che i pittori americani scoprono compiutamente la pittura di quella nazione. Precisamente nel 1886, quando Paul Durand-Ruel, il famoso mercante di Monet ed estimatore della pittura impressionista, espone all'American Art Association di New York circa 300 opere di autori quali lo stesso Monet, Renoir, Manet, Sisley, Degas, Cézanne, Cassatt, Seurat. La mostra suscita profondo entusiasmo e molti degli artisti americani si recano a Parigi. Altri, come Metcalf e Robinson, a Giverny dove viveva Monet, per studiare la nuova pittura. Se per molti autori americani l'impressionismo è solo una fase della propria personale ricerca pittorica, è certo però che la sua scoperta modifica sensibilmente il loro linguaggio, con la realizzazione di alcune tra le loro opere più belle, come testimonia compiutamente questa sezione della mostra.
È il caso di Inness, che, partito dalle ricerche della Hudson River School, adesso concede maggiore attenzione agli effetti atmosferici e alle qualità tonali. Di William Merritt Chase, che dipinge en plein air numerosi quadri vicini alle atmosfere luminose del primo Monet. Di Twachtman, i cui paesaggi sono delicate evocazioni poetiche, spesso legate al tema del bianco e dell'inverno. Di Robinson e di Weir, artisti che realizzano quadri vibranti, dove i colori accesi denotano una piena padronanza della tecnica impressionista. Di Childe Hassam, tra i maggiori, famoso per la luminosità e la lievità delle sue scene cittadine, dei suoi paesaggi urbani di Boston e di New York. Di Whistler, che reinterpreta l'impressionismo a favore di una sempre maggiore libertà e fluidità compositive. Di Mary Cassatt, la cui opera è legata all'evoluzione della pittura francese fra gli anni settanta e novanta, e che a Parigi, dopo il suo incontro con Degas nel 1877, si orienta verso un uso diverso del colore, rispetto ai lavori precedenti, dove era evidente l'influsso dei maestri spagnoli. Importante, Mary Cassatt, anche perché svolse un ruolo di appoggio presso i collezionisti d'arte, accordandosi affinché essi potessero donare le opere acquistate ai musei americani.


VII SEZIONE
Ritratti e figure da Homer a Sargent
Nella seconda metà dell'Ottocento, all'attenzione verso la cultura europea, espressa da tanta pittura americana, si contrappongono polemicamente autori straordinari come Winslow Homer e Thomas Eakins, che rappresentano la linea più sincera e intensa del realismo americano di fine Ottocento. Un'alternativa radicale, rispetto all'eleganza estetizzante di Sargent e dei pittori legati all'impressionismo, che non si sottrae al compito di ritrarre fedelmente spaccati di realtà americana. E in quale direzione andasse il gusto del pubblico, è comprensibile dalla lettura di due note dello scrittore Henry James su Homer e Sargent. Su Homer così si esprime: "Non solo non ha immaginazione, ma riesce a trasformare questa dannosa negazione in un'affermazione prospera e dignitosa. È di una semplicità primitiva e, per i nostri occhi, di orribile bruttezza; ma c'è tuttavia qualcosa di lui che mi piace." Un giudizio, insomma, prudente e limitativo. Entusiasta, invece, quello su Sargent: "Non esiste opera d'arte più grande di un grande ritratto; una verità che deve essere costantemente tenuta a mente da un pittore che ha in mano le armi di cui Mr. Sargent è padrone. Il dono che possiede, lo possiede completamente."
Una produzione pittorica variegata, dunque, come dimostrano le molte e bellissime opere di questa sezione. Per Homer il paesaggio è un ambiente in cui abitano le persone e va raffigurato nella concretezza della visione. La modellazione per masse, la semplicità compositiva, il forte desiderio di raffigurare la realtà dell'ambiente americano, evidenziano come la sua ricerca mantenga sempre quale finalità la rappresentazione della lotta fra l'uomo e la natura, dando così vita a una sorta di "epica del quotidiano". Eakins invece parte da studi medico-scientifici per ritrarre immagini di forte realismo e personaggi credibili. Rare e controverse sono le sue esposizioni, e si rivolge principalmente a una cerchia di intellettuali che posano per i suoi ritratti. I suoi personaggi sono ripresi con franca immediatezza e all'interno di contesti reali. È con i suoi quadri che l'immagine dello sportivo, e della competizione sportiva, entrano nella storia dell'arte. Con le scene rurali e di vita quotidiana di Eastman Johnson, la pittura americana esce dalla cerchia prestigiosa ma ristretta di poche famiglie di ricchi collezionisti, per rivolgersi anche a un pubblico nuovo, formato dalla borghesia emergente.
Ma la pittura di ritratto che ottiene maggiore successo è quella di autori legati alla cultura europea, come Sargent, Cassatt, Whistler, Chase. Il più famoso è sicuramente Sargent, che diviene il ritrattista più alla moda dell'alta società inglese. E poi Whistler, per il quale il ritratto è un'occasione per le sue raffinate ricerche sul colore e sulla luce. Le sue figure sono sempre più sul confine tra ritratto verosimile e immagine cerebrale. Anche i bellissimi ritratti eseguiti da William Merritt Chase indicano il tentativo di creare un nuovo stile. Richiamandosi alla pittura di Ingres, Chase realizza degli incarnati perfetti attraverso i quali studia ed esplora le molte possibilità compositive delle forme e il riflesso della luce sul corpo. Questa sezione, che chiude la mostra, illustra attraverso molti capolavori questa vicenda colma di fascino.