Arte

America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo
Due temi fondamentali della storia americana del XIX secolo: la Secessione - la Frontiera
Il mito di Buffalo Bill

Due temi fondamentali della storia americana del XIX secolo:
la Secessione - la Frontiera

All'interno della mostra America!, si è voluto dare al visitatore la possibilità di affrontare e approfondire due temi fondamentali della storia americana del XIX secolo, attraverso due percorsi che fanno ampio ricorso alla multimedialità: la Secessione e la Frontiera.
Francesco Goldin ha curato tutta la parte scientifica di questo progetto che prevede il coinvolgimento di diversi attori e di specifiche competenze.
È stata svolta una mirata selezione dell'immenso repertorio iconografico associato a questi due temi, rivolgendosi ai più autorevoli centri americani di documentazione e ricerca sulla storia degli Stati Uniti. Dunque bellissime e rare fotografie d'epoca oltre a documenti ufficiali e carte geografiche del XIX secolo sono l'ossatura principale di tutto il racconto.

Insidie nella nebbia, 1885

Winslow Homer
Insidie nella nebbia, 1885
Museum of Fine Arts, BostonOtis Norcro
ss Fund

I due temi sono stati suddivisi e sviluppati per argomenti ognuno autonomo in sé, ma anche strettamente collegato a tutti gli altri. Questo con l'obiettivo di permettere al visitatore un approfondimento completo o anche solo parziale.
Paolo Troncon, compositore di chiara fama e direttore del Conservatorio di Vicenza, è stato incaricato di comporre le musiche originali con lo scopo di sottolineare in maniera evocativa, più che didascalica, le diverse atmosfere suggerite dei vari argomenti. Vale la pena sottolineare che per parte del lavoro, è stata svolta un'ammirevole ricerca filologica per poter partire da alcuni temi musicali della tradizione indiana.

Fiume a Catskills, 1843

Thomas Cole
Fiume a Catskills, 1843
Museum of Fine Arts, Boston
Dono di Martha C. Karolik per la M. and M. Karolik Collection of American Paintings

Due attori, Sandro Buzzatti e Gilberto Colla, nelle riprese video montate come contrappunto a tutto il materiale documentario, impersoneranno, rispettivamente per la Frontiera e per la Secessione, la figura di un narratore-giornalista del XIX secolo e di uno storico. Il visitatore li avrà dunque compagni come guida in alcuni momenti del racconto. In altri punti, le loro voci fuori campo, insieme a quella di Loriano Della Rocca e Caterina Rochira, continueranno la narrazione, fornendo informazioni storiche o interpretando celebri brani della letteratura americana - per esempio di Melville e Withman - piuttosto che testi della tradizione indiana.
iO Agengcy, realtà leader in Italia nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie d'avanguardia atte a mediare contenuti i più diversi in maniera semplificata, ha permesso di coordinare graficamente lo sviluppo dei vari media (audio, testuali, visivi e illuminotecnici), includendo nel racconto anche brevi brani tratti dalla migliore filmografia dedicata a questi temi.
La rappresentazione di tutto questo avverrà in due stanze multimediali dove, attraverso la proiezione multipla e simultanea dei vari contenuti, il visitatore sarà messo nella condizione di ricomporre in un'immagine unica un grande affresco della storia americana.

LA SECESSIONE
Il percorso storico, sottolineate le motivazioni strettamente politiche della Guerra Civile, oltre a quelle etiche legate al tema della schiavitù, evidenzia la risposta inizialmente entusiastica da parte dei giovani desiderosi di arruolarsi. La guerra è seguita nei suoi sviluppi essenziali, per lasciare spazio anche alla vita dei soldati al fronte, alle sue durezze e alle relative testimonianze. Non può mancare, a conclusione, uno sguardo attento alle conseguenze del conflitto sulla società civile, soprattutto in merito alla questione razziale.

I precedenti
La Rivoluzione del 1776-83 e la Costituzione del 1787 hanno unito Stati indipendenti, autorizzati ad uscire liberamente dal patto federativo qualora lo ritengano violato da alcuni dei suoi contraenti? O hanno invece con la propria forza trasformato le originali colonie in Stati, che non possiederebbero perciò una sovranità autonoma cui appellarsi? Sulla base della prima delle due tesi, il 20 dicembre 1860 la Carolina del Sud proclama ufficialmente la propria secessione dagli Stati Uniti d'America, in risposta all'elezione del repubblicano Abraham Lincoln alla Presidenza della Repubblica, avvenuta nell'autunno del medesimo anno; nell'arco dei primi mesi del 1861, altri dieci Stati la seguiranno, dando vita agli Stati Confederati d'America. Al divorzio si è giunti dopo qualche decennio di aspri contrasti tra Nord e Sud, due realtà caratterizzate da strutture sociali ed economiche diverse, ma soprattutto divise dalla questione schiavista e dall'opportunità, o meno, di estendere la peculiare istituzione all'Ovest. Le ripetute proposte di fondare colonie di neri in Africa (Liberia), la lotta abolizionista sostenuta da giornali (o libri) e da accesi attivisti come John Brown, i tentativi di regolamentare legislativamente il contenzioso, come quelli attuati con il Compromesso del Missouri (1820), con la Fugitive Slave Law (1850) e con il Kansas-Nebraska Act (1854), non hanno certo risolto il problema, accrescendone, anzi, l'insolubilità, fino alla decisione del distacco.

Gli arruolamenti
La guerra (1861-65) si dimostra da subito troppo vasta e duratura per poter accontentarsi dell'iniziale forma di arruolamento basata sulla volontarietà, sull'entusiasmo popolare, sulle illusioni di eroismo suscitate dalla propaganda bellicista di entrambi i fronti. Le due armate si vedranno infatti spinte dalle circostanze, nel 1862, seppure in tempi lievemente diversi, alla coscrizione obbligatoria, che nella seconda fase del conflitto sarà fonte di innumerevoli diserzioni nell'esercito confederato e di dure rivolte tra le classi lavoratrici, richiamate alle armi, nelle città unioniste (durante il 1863 soprattutto). La discesa in campo sotto differenti insegne dividerà famiglie, amici, villaggi e centri urbani, soprattutto nei cosiddetti border states, gli Stati di confine (Kentucky, Missouri, Delaware, Maryland); nemmeno i giovanissimi verranno risparmiati dalla potente ventata militarista, né gli immigrati più recenti. Il Proclama di Emancipazione del 1 gennaio 1863 permetterà di assistereal considerevole arruolamento di schiavi fuggiti dalle piantagioni del Sud per combattere da uomini "liberi", contrariamente ai molti altri costretti a continuare la raccolta del cotone o a seguire al fronte, come servitori, i padroni.

La guerra
Quella che passerà alla storia come la prima guerra moderna, totale, per il numero di morti e per le nuove modalità di combattimento, oltre che per gli innovativi armamenti, prende avvio con la presa confederata di Fort Sumter, postazione governativa situata nella Carolina del Sud, tra il 12 e il 13 aprile 1861. Il generale Lee, quasi immediatamente individuato come guida dell'esercito sudista, incentra la propria strategia su una serie di attacchi a est, nel tentativo di giungere a minacciare Washington e il nucleo delle forze nemiche: le due battaglie di Bull Run (1861-62), quella di Shiloh (1862), così come gli scontri di Antietam (1862) e di Chancellorsville (inizio 1863) ne sono le conseguenze, sanguinarie e tutto sommato inutili. Le quali forze nemiche, comandate da diversi generali tra loro avvicendati (fino alla scelta definitiva di Grant nel marzo 1864), riescono con difficoltà a resistere, ma decidono di aprire un nuovo fronte a ovest, lungo il corso del Mississippi, per bloccare i rifornimenti agli avversari: New Orleans (1862) e Vicksburg (1863) sono le vittime più gloriose di questa fase, mentre a Gettysburg, nel luglio 1863, anche sul fronte orientale le fortune vanno modificandosi. La marcia del nordista Sherman, prima su Atlanta, poi verso l'Oceano Atlantico, infine più su, fino a Richmond, tra il 1864 e il 1865, con le relative devastazioni causate a città e campagne, mette definitivamente in ginocchio il Sud, il cui generale Lee consegna le armi il 9 aprile 1865 nella località di Appomattox in Virginia. Altre armate minori si arrenderanno poco dopo.

La vita al fronte
Lo spaventoso tributo di 600.000 morti è dovuto, per oltre la metà, allo scoppio di malattie epidemiche tra le truppe, alle loro cattive condizioni alimentari, alla dura reclusione patita dai prigionieri di entrambe le parti. Le amputazioni risultano la pratica più ricorrente negli ospedali da campo eretti e trasferiti in poco tempo; le cure dei molti civili (il più celebre dei quali è il poeta Walt Whitman) prodigatisi nell'assistenza ai soldati feriti riescono ben raramente a cancellare o a sbiadire l'orrore dipinto negli occhi dei giovani reduci anelanti a una fine delle sofferenze, qualunque essa sia. Ma la vita al fronte si arricchisce anche di altre presenze peculiari della guerra moderna: le schiere di giornalisti, al seguito delle milizie per inviare le proprie corrispondenze, le proprie vignette (come quelle di Winslow Homer per lo "Harper's weekly"), ai quotidiani delle grandi città; i fotografi, come Timothy O'Sullivan, con i loro studi mobili, itineranti dietro la linea del fuoco, così come poco dopo lo saranno lungo la frontiera del West; i venditori ambulanti di beni di consumo, alla ricerca di militari in grado di spendere la loro paga o il denaro di famiglia; barbieri, imbalsamatori, sarti, vivandieri, in un fenomeno caratteristico soprattutto del più fornito esercito unionista, i cui movimenti provocano il passaggio di carovane lunghe chilometri attraverso l'immenso paesaggio americano e le attonite cittadinanze.

La società civile
Le distruzioni subite dai territori confederati, e soprattutto dalle loro città più rappresentative, come Richmond e Atlanta, impiegheranno anni ad essere riparate; così come a lungo ferito rimarrà il sentimento sudista, carico di umiliazione per la sconfitta e per la successiva occupazione militare, tanto simile a una forma di colonizzazione mascherata. Il Proclama di Emancipazione del 1863, emanato da Lincoln, proporrà all'Unione un fronte ideologico in una guerra che invece è iniziata con motivazioni puramente politiche, di supremazia all'interno della federazione di Stati. Ecco allora la rabbia delle rivolte popolari contro i neri scoppiate nel Nord (nell'estate 1863 a New York si svolge la principale), nella convinzione, suscitata ad arte dai politici, che si vada a combattere, perdendo magari lavoro famiglia o vita, realmente solo per liberare gli schiavi; mentre i ricchi pagano la propria esenzione dal servizio militare. Accanto alla renitenza, comunque, e alla diserzione, troviamo pure la fermezza, la determinazione, la dedizione alla causa (giusta o sbagliata che sia) tipica di chi per la guerra si impegnerà fino in fondo, anche non potendo andare a combatterla.

Le conseguenze
L'''assassinio di Lincoln, eseguito il 14 luglio 1865, quindi solo cinque giorni dopo la firma dell''armistizio di Lee, è la conclusione, se vogliamo, inevitabile del conflitto, come vi fosse bisogno di un "agnello sacrificale" per suggellare il grande massacro; la mitizzazione della sua figura, così come la venerazione del suo corpo, iniziata già con la traslazione della salma dalla capitale federale fino in Illinois, sotto lo sguardo dolente di milioni di persone, costituisce invece l'incipit della scrittura, o riscrittura, della guerra, praticata, come sempre, soprattutto o quasi solo dai vincitori. I nuovi emendamenti alla Costituzione (il 13° nel 1865, il 14° nel 1868, il 15° nel 1870) ridefiniscono i criteri di riconoscimento di cittadinanza e assicurano rapidamente a tutti i neri della nazione la libertà e i diritti politici, cosicché negli Stati del Sud, ove la popolazione di colore è per forza di cose consistente, quando non in maggioranza, numerosi ex-schiavi scoprono nei primi anni Settanta la possibilità di ricoprire cariche politiche più o meno importanti. Ma sarà una stagione breve: l'esercito allenterà il controllo sui territori in fase di ricostruzione, fino ad abbandonarli nel 1877; il Nord si lancerà nella corsa senza sosta all'industrializzazione e all'occupazione del continente; la società sudista, ma non solo, disegnerà una struttura segregazionista che possa far tornare parzialmente indietro l'orologio e riassicurarle il controllo totale del sistema. Sconfitta la schiavitù, il razzismo impera sotto nuove spoglie nella terra della libertà.


FRONTIERA
Il racconto prende le mosse dal viaggio di Lewis e Clark a inizio Ottocento, non prima però di avere offerto una panoramica delle popolazioni native. Le esplorazioni dei pionieri e le successive ondate di coloni sono seguite con particolare cura nel loro dipanarsi lungo gli immensi territori; la vita nell'Ovest è vista con occhio disincantato, non influenzato dalle mitologie hollywoodiane. Consumata la stagione delle guerre di resistenza degli Indiani, il West si appresta a chiudere il periodo "eroico" e prepara la propria spettacolarizzazione, offrendola al mondo.

I precedenti
Il Trattato di Parigi del 1783, con il quale gli Inglesi riconobbero l'indipendenza delle proprie colonie nordamericane e concessero loro di estendere i confini ad ovest fino al Mississippi, a nord fino ai Grandi Laghi e a sud fino al 31° parallelo, considerava ancora "West" tutti i territori al di là dei Monti Appalachi. L'Ordinanza del Nord-Ovest, emanata dal Congresso americano nel 1787, sancì il metodo geometrico di lottizzazione delle terre "libere" e istituì le regole seguendo le quali, in futuro, i Territori avrebbero potuto chiedere l'annessione agli Stati Uniti d'America. Ma cosa nascondeva ancora questo Ovest, questa "frontiera", dopo che lungo la costa atlantica, oramai, le tribù native erano sostanzialmente estinte? Popoli nomadi e seminomadi dediti a caccia e raccolta, nonché tribù stanziali con economia di carattere agricolo; tende, igloo, capanne di vario genere, edifici in adobe, palafitte o case galleggianti come unità abitative; strutture tribali o familiari, ma anche organizzazioni statali più o meno avanzate; un livello di benessere che consentiva persino un rituale e periodico spreco di risorse (il "potlatch" della costa pacifica), ma pure una vita ai limiti della sussistenza (come nell'arido Grande Bacino).

Accrescimento
La prima metà dell'Ottocento fu l'epoca del grande accrescimento territoriale, così come la seconda parte del secolo avrebbe visto l'occupazione di quegli immensi spazi vuoti, o presunti tali. Il Louisiana Purchase (1803), con il quale Jefferson acquistò da Napoleone l'enorme regione compresa tra il Mississippi e le Montagne Rocciose, rappresentò l'occasione per il viaggio esplorativo compiuto da Lewis e Clark in quello che costituiva il nuovo Nord-Ovest. Con trattative e provocazioni, il governo di Washington incorporò pure la Florida spagnola nel 1819; mentre per via solo diplomatica, in seguito (1846), ottenne il Territorio dell'Oregon. Più drammatica risultò la pagina dell'espansione del "Re Cotone" nel Sud, tra Monti Appalachi e Mississippi, macchiata dal sangue e dalla sofferenza dei popoli rimossi dai propri territori e trasferiti, negli anni Trenta, oltre il Grande Fiume attraverso i rispettivi "sentieri delle lacrime", il più celebre dei quali fu quello dei Cherokee. La teoria del Destino Manifesto (Dio ha incaricato gli Stati Uniti di portare civiltà e progresso ovunque essi "manchino") giustificò, pur tra qualche voce dissenziente (Thoreau fra tutti), la guerra contro il Messico, al termine della quale (1848) gli americani poterono annettersi le terre che andavano dal Texas alla California.

I trail
Gli anni Quaranta dell'Ottocento videro l'apertura dei principali "trail" verso l'Ovest, veri e propri corridoi di migrazione tracciati seguendo le orme dei pionieristici cacciatori di pellicce ("trapper"), ma anche i racconti degli esploratori che anni prima avevano percorso gli immensi spazi oltre il Mississippi. La fama dell'Oregon come oasi di fertilità, il desiderio dei Mormoni di fondare un insediamento isolato, nonché la scoperta dell'oro, agirono da stimolo irresistibile nei pionieri più dotati di senso dell'avventura o semplicemente più disperati. Ovviamente emergeva l'esigenza di scegliere percorsi praticabili dalle carovane, che avrebbero portato con sè tutto quanto poteva servire per iniziare una nuova vita. Si cominciò, nel 1842-43, con l'apertura dell'Oregon Trail, che in venti anni avrebbe condotto alla meta circa 50.000 coloni; nel 1847 Brigham Young e i Mormoni aprirono la strada che si sarebbe fregiata del loro nome, per insediarsi presso il Lago Salato, nell'attuale Utah; nel 1849 il California Trail venne letteralmente preso d'assalto da un nugolo di cercatori d'oro decisi a tutto. Presto le piste si arricchirono di punti di sosta e di empori; ma malattie fame intemperie aggressioni e incidenti riuscirono comunque a colpire in modo letale quasi il 10% degli emigranti.

La ferrovia
La breve stagione eroica del Pony Express durò solamente dall'inizio del 1860 alla fine del 1861, poiché il telegrafo, prima, e la ferrovia, poi, spodestarono prepotentemente il vecchio mezzo di comunicazione. Tra i diversi tracciati proposti per la costruzione della linea transcontinentale venne scelto quello centrale, tutto sommato vicino ai principali trail; spesso in simili decisioni prevalevano le condizioni offerte dai territori attraversati, compresi i forti interessi speculativi legati alla futura colonizzazione. L'appalto venne affidato, in coabitazione, alla Central Pacific e alla Union Pacific, che si sarebbero congiunte nel 1869, collegando Omaha (Nebraska) a San Francisco (California); e come sempre includeva, da parte del Governo Federale, ampie donazioni di terre demaniali alle compagnie, che, grazie ad una potente opera pubblicitaria, le avrebbero rivendute in condizioni di semimonopolio, provocando una corsa al rialzo dei prezzi. La straordinaria raggiungibilità dell'Ovest riversò ondate di coloni sulle praterie, decretando la fine delle enormi mandrie di bisonti e l'estinzione di un'intera cultura che su di essi si era formata: più che le guerre, sarebbero stati la caccia al bisonte e l'attraversamento dei suoi pascoli, infatti, a risolvere il "problema indiano".

I coloni
Dal 1840-50 prese inizio l'ondata di popolamento dei grandi spazi occidentali acquisiti in precedenza tramite guerre e trattative. Solitamente, i cacciatori di pellicce e i minatori precedevano qualsiasi altra forma di colonizzazione, creando veri e propri avamposti nella natura, ma anche dando luogo, soprattutto nel caso dei secondi, allo sviluppo improvviso e accelerato di centri abitati in bruciante espansione (le cosiddette "boomtown"), che altrettanto rapidamente decadevano una volta esaurite le fonti di approvvigionamento. In entrambe le situazioni, dopo una fase pionieristica e individualistica, sopraggiungeva il momento dei grandi numeri, come accadde anche nel caso dei contadini, che aprirono la colonizzazione di massa, incentivata dalla propaganda, non di rado fraudolenta e interessata, operata dalle compagnie ferroviarie. La vita, per i coloni delle praterie, era assai dura ed ingrata: richiedeva di strappare i frutti ad un terreno arido e colpito da frequenti calamità naturali; costringeva ad un isolamento a tratti difficilmente sopportabile con abitazioni in molti casi ai limiti della praticabilità; comportava una mortalità altissima, soprattutto tra i bambini (quasi sempre per carenze igienico-sanitarie). In sostanza, la vita di frontiera risultava assai più monotona, dura, antieroica, prosaica, di quanto il mito ci abbia indotti a credere.

Le guerre indiane
Le guerre tra coloni e nativi erano in realtà iniziate con lo stesso avvento dei primi europei, senza mai cessare, tanto che, all'inizio dell'Ottocento, solo poche e tenaci tribù resistevano nel territorio a cavallo dei Monti Appalachi. Ma delle battaglie del diciannovesimo secolo ci sono giunte ampie testimonianze, spesso suggestive ancorché crude, cosicché tendiamo a identificare quel periodo come il più bellicoso. Il conflitto tra Americani e Inglesi del 1812-15 vide una grande coalizione, comandata da Tecumseh, capo degli Shawnee, allearsi ai secondi e perciò soccombere. Gli anni Trenta e Quaranta impegnarono soprattutto le tribù del Sud-Est, in seguito deportate nel Territorio Indiano. Gli anni Sessanta furono più che mai intensi e registrarono la guerra dei Sioux di Piccolo Corvo nel Minnesota (1862), il tristemente celebre massacro del Sand Creek (Colorado) nel 1864, gli scontri sostenuti dai guerrieri di Nuvola Rossa nelle Black Hills o dai Navajos nel Sud-Ovest. Mano a mano che le diverse tribù venivano sopraffatte, il Governo metteva in atto la politica delle riserve, con conseguenze spesso letali, fisicamente e culturalmente, per i nativi. Il successo di Little Bighorn nel 1876 fu una sorta di vittoria di Pirro per i guerrieri delle praterie, giacché l'eccidio di Wounded Knee, solo quattordici anni dopo, avrebbe chiuso in modo drammatico e al tempo stesso malinconico la loro pagina di storia.

La fine del West
Gli ultimi venti anni dell'Ottocento videro chiudersi in modo relativamente rapido il capitolo della frontiera, così come velocemente esso si era aperto e sviluppato, bruciando le tappe ma anche un immenso territorio e molteplici culture. Terminava l'epoca del pionierismo e oramai tutte le dinamiche dell'Ovest venivano gestite dalle compagnie monopolistiche, in stretto collegamento con il grande capitale dell'Est; le terre, pesantemente sfruttate seguendo la convinzione che fossero dotate di risorse infinite, denunciavano sintomi di esaurimento, sia dal punto di vista floro-faunistico, sia sotto l'aspetto minerario. Ecco che nacque allora una nuova sensibilità ambientalista, rappresentata adeguatamente nella personalità anticipatrice di John Muir, fondatore del Sierra Club californiano e ispiratore della creazione del parco di Yosemite, secondo, in ordine di tempo, solo a quello di Yellostowne. Quando un'epoca muore, generalmente ne nasce l'epopea. Così accadde pure negli Stati Uniti di fine Ottocento, per un processo inevitabile ma anche dietro pesante sollecitazione dell'industria editoriale e dello spettacolo. Ecco allora il Wild West Show di Buffalo Bill, a rappresentare un West già scomparso e che in quella veste mai era esistito; ecco i "dime novels", romanzetti popolari che proponevano un West di maniera. Nel frattempo i nativi, chiusi nelle riserve e "educati" alla vita occidentale, sarebbero stati una più realistica immagine dell'Ovest, per un occhio che davvero avesse voluto guardare.

La frontiera
Il racconto prende le mosse dal viaggio di Lewis e Clark a inizio Ottocento, non prima però di avere offerto una panoramica delle popolazioni native. Le esplorazioni dei pionieri e le successive ondate di coloni sono seguite con particolare cura nel loro dipanarsi lungo gli immensi territori; la vita nell'Ovest è vista con occhio disincantato, non influenzato dalle mitologie hollywoodiane. Consumata la stagione delle guerre di resistenza degli Indiani, il West si appresta a chiudere il periodo "eroico" e prepara la propria spettacolarizzazione, offrendola al mondo.