Nino Longobardi

Nato a Napoli nel 1953, è uno dei protagonisti della pittura italiana dell'ultimo ventennio

Nino Longobardi - © Augusto De Luca, fotografo

Nino Longobardi - © Augusto De Luca, fotografo

Niente scuole d'arte ed accademie. Quella di Nino Longobardi è stata una formazione sul campo: nelle gallerie d'arte, con maestri come Carlo Alfano, Lucio Amelio, Filiberto Menna ed Achille Bonito Oliva.
L'incontro con il grande gallerista napoletano Lucio Amelio risale al '69, ed è così che l'artista stesso lo ricorda: «Non rividi Lucio per un anno. Ma fu ancora Alfano a metterci in contatto. Mi fece sapere che Lucio avrebbe voluto rivedermi. Tornai nella casa-galleria di Parco Margherita. Da solo, con una certa apprensione; Lucio era un uomo che incuteva soggezione. Mi chiese se avessi voglia di aiutarlo ad allestire mostre nel suo spazio. Non credo che lui avesse realmente bisogno del mio aiuto. Molto più probabilmente gli piaceva l'idea che la mia ingenuità di aspirante artista, l'entusiasmo, la curiosità, il desiderio di capire l'arte, potesse circolare liberamente nel suo spazio e nella sua vita di gallerista. Accettai all'istante. Mi sembrò l'occasione giusta, la possibilità vera di iniziare la mia formazione. Così è stato».
Questo l'inizio di un sodalizio, umano e artistico, durato venticinque anni, fino al '94, anno della scomparsa di Lucio Amelio.
Nel '78 la prima personale nello studio di Gianni Pisani. A distanza di un anno è Lucio Amelio ad ospitare un'altra personale dell'allora poco più che ventenne artista napoletano, che aveva già avuto la fortuna di lavorare con Joseph Beuys, collaborando alla realizzazione di alcune sue installazioni.
Durante i primi anni, sono lo spazio e l'architettare nello spazio gli elementi sui quali si focalizza la ricerca artistica di Longobardi. Di quel periodo sono le esposizioni a Europa 79 di Stoccarda, Arte Cifra da Paul Maenz, a Colonia, al Centro d'Arte Contemporanea di Ginevra e alla galleria Venster di Rotterdam. Le tecniche sono quelle del disegno su carta e direttamente su parete, della tela usata con soluzioni scultoree ed architettoniche, della ricontestualizzazione di oggetti relazionati ad interventi pittorici.
Sono gli anni Ottanta a decretare il successo internazionale di Nino Longobardi. La sua ricerca si concentra sulla figura umana, sintetizzata da pochi tratti di pennello, matita e carboncino.
Il terremoto del 23 novembre ' 80 lo sorprende mentre è intento nell'installazione della sua seconda personale da Amelio. «Cambiai tutto il mio lavoro, e creai un ciclo sulle quattro stagioni, riferito però a quella tragedia. Progettammo allora di invitare altri artisti. Si formò un gruppo di lavoro. E nacque la mostra Terrae Motus», come ricorda lo stesso Longobardi.
Nell' 82 partecipa ad Italian Art Now : an American Perspective, al Guggenheim di New York, ed a Avanguardia e Transavanguardia alle Mura Aureliane a Roma. Seguono le mostre all'Istituto d'Arte Contemporanea di Boston e alla Fondazione Mirò di Barcellona ('83), alla Nationalgalerie di Berlino ('86), al Grand Palais di Parigi ('87) e al Museo d'Arte Contemporanea di Copenaghen ('88). Negli anni Novanta Longobardi guarda sempre più da vicino al corpo della pittura, i temi ricorrenti sono legati alla rappresentazione del corpo e della morte. Ha attuato, e ciò è limpidamente emerso dalle personali che gli sono state dedicate a Palazzo Reale di Milano (1998) a Castel Nuovo di Napoli (1999), alla Galleria Civica di Modena (2000) e al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (2001), una radicale scarnificazione della fisicità umana. Ha sostituito all'esuberanza, che aveva caratterizzato la maggior parte delle sue opere realizzate nel decennio precedente, la leggerezza formale, il rigore e l'equilibrio per approdare a una inedita forma di minimalismo.
Nel 2013 espone al Museo Nazionale di Capodimonte. Nel 2015 partecipa alla 56a edizione della Biennale di Venezia, invitato da Vincenzo Trione nella mostra Codice Italia nel padiglione nazionale.

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