Indice degli articoli di arte


Grilli per la testa. Dalle incisioni rupestri alle edizioni del Pulcinoelefante

Di Mimmo Grasso



Disegno di Marco Carnà

Disegno di Marco Carnà

Bosch, Le tentazioni di S. Antonio (Particolare)

Bosch, Le tentazioni di S. Antonio (Particolare)


Durante un mio Gran Tour inverso,dal Sud al Nord, ho incontrato Alberto Casiraghy, l’editore di Pulcinoelefante. Sono stato a Osnago, in Brianza, nella sua casa-giocattolo sulla cui porta c’è l’insegna Fervet Opus, quasi un ex libris. Ti trovi davanti un torchio e un tirabozze di quelli di una volta con i quali Alberto elabora, da solo, a mano, uno per uno, i pezzi delle sue edizioni: massimo 30 copie numerate con echi pittorici di artisti. Siamo a circa 7.000 titoli tra pulcini (autori inediti) ed elefanti (i poeti "laureati"): un monumento dell’arte e della letteratura, un poema-mosaico, un rotulo miniato, il pavimento della chiesa di Otranto col suo "Albero della vita".
Mentre discuti con lui che ti prepara in ciotole zen la sua zuppa di verdure (e sempreché la sua amicissima Alda Merini o artisti o poeti non gli telefonino ogni cinque minuti per informazioni, consigli o semplicemente perché vogliono sentire la sua voce) ti rendi conto di aver fatto uno di quegli incontri della vita che ti confermano che hai scelto giusto a vivere come vivi perché Casiraghy è un "giusto", di quella giustizia che riscalda il cuore, di quella semplicità vissuta e spontanea d’esistere come il sasso, la spiga, il ruscello che attraversa Osnago; è una semplicità dell’essere difficile da interiorizzare, la spiritualità che comprende le persone e le cose. C’è giocosità francescana in Alberto, nel suo parlare di temi molto alti mentre dà da mangiare alle caprette e alle galline del suo piccolo giardino e ti chiedi :"Ma con chi sto, con Socrate?".
Io ho nel midollo delle ossa il terreno del sud e mi sono sentito da subito in sintonia con un poeta nordissimo. Alberto è il suo territorio: Lecco e i luoghi manzoniani. I suoi occhi azzurri sono come il cielo lombardo che, diceva Don Lisander, quando è azzurro è azzurro. La sera siamo stati insieme durante una cena nella cascina-studio di Gaetano Orazio, di cui già abbiamo parlato per i lettori di Archimagazine. Eravamo in mezzo a un campo di granoturco ("il granoturco è come il nostro dialetto", mi ha detto Alberto dagli occhi turchesi); un ghiro attraversava il filo elettrico per andare su nel soppalco di Gaetano; fagiani si pavoneggiavano e pavoni, permalosi, fagianavano. Mi hanno chiesto molte cose sui Campi Flegrei, la terra dove vivo da molti anni e ho tenuto comunque a precisare che sono calabro, vicino Crotone, che a scuola Pitagora mi copiava i compiti di matematica. Si sono informati sulle tammurriate, sui poeti del Sud, nessuno dei quali, anche molto significativo, trova spazio adeguato nelle varie antologie stampate da editori del nord. Eravamo celti e beduini che, a un bivacco, si scambiavano informazioni sulle gesta degli antenati dell’uno e dell’altro. Gaetano mi ha chiesto (a me?) notizie dettagliate su come viene vista la Madonna al Sud perché ha tredici pezzi (che ho visto: bellissimi: è lì che "appare" la tu lucis ante , cioè le tenebre) e voleva annodare i ricordi che aveva sulla Madonna-Cibele delle feste di Pagani e di Scafati (Gaetano è originario di Angri).Il ghiro intanto faceva un’altra passeggiata puntando le briciole e un cucciolo di volpe , l’animale che non dà mai un verso o un grido, si accucciava ai piedi di Alberto per prendere parte alla discussione. Non mi sono mai sentito così a casa come con loro. Quasi ero io ad averli invitati a casa mia e quando sono partito mi mancava qualcosa. Cosa? L’amore che Alberto trasmette per contagio.E’ venuta a trovarci Maria Pace Ottieri. Abbiamo parlato del padre Ottiero e dell’analisi che lui fa da intellettuale del nord che viene a fare le assunzioni al Sud (mi accorgo adesso che ho messo minuscola a nord e maiuscola a Sud). Maria Pace ha scritto un libro-inchiesta sui popoli che vengono alle nostre coste con sulla pelle sempre un destino d’incendio, come il popolo di Enea, mio coinquilino a Cuma.
E’ strano che io parli di Casiraghy coinvolgendo altre persone e animali e piante. Sto forse parlando di un uomo collettivo? Si, perché è l’antico "maestro di bottega" che vive in simbiosi creaturale con il mondo e i discepoli. Da adesso in poi lo virgoletto: "Alberto", intendendo il Casiraghy e le persone che, come me, sono in "contatto" con lui.
"Alberto" Casiraghy inizia come maestro liutaio e violinista. Si dedica altresì alla poesia,alla pittura e, dopo aver lavorato per anni nella grande editoria di quotidiani e aver fatto il pubblicitario,si spoglia di ogni mondanità per diventare l’"editore che sforna i libri in giornata", a sottolineare che quei libri sono "nutrimento", "pane quotidiano". "Alberto" è vegetariano. Gli ho chiesto se gli interessasse fare qualche lavoro sulle pelli di capra che dalle nostre parti vengono usate per costruire tammorre. Ho fatto una gaffe: ha guardato le sue due caprette un po’ triste.
Ma veniamo più specificamente all’artista e poeta visto che, secondo le mie informazioni tratte dalle letture, l’attenzione è sempre stata rivolta più alla sua attività di operatore culturale, di talent scout e di editore di elevatissimo profilo che non al nucleo della sua poetica e della sua tecnica.
Dicevamo che "Alberto" è: liutaio, violinista, pittore, incisore, falegname, tipografo, poeta, il che significa che utilizza con maestria le mani. Sa infatti costruire di tutto. Il suo pollice è "polys", molteplice. La sua poesia ha a che vedere strettamente col "poiein", l’azione. Queste attività di "Alberto", i molti artisti che lui è, hanno ovviamente una modalità percettiva omogenea e il "saper fare" della mano del fabbro. Casiraghy è l’uomo del "segno". Intendo proprio quello sulla parete delle rocce, sulle fibre, sul legno, sulla cera, sull’acqua. E’, fondamentalmente, un "incisore", uno che lascia il segno. Le stesse edizioni del Pulcinoelefante hanno la bellezza, il sudore e il vissuto delle tabulae. Osserviamo allora la sua attività da questo punto di vista immaginando quali siano gli antecedenti che arricchiscono di rimandi culturali i suoi segni, vale a dire quale "discorrere" contengano le sue immagini.
La prima, sopra riprodotta, che ho trovato pubblicata nel catalogo del "Pulcinoelefante" edito da Scheiwiller, è di Marco Carnà e ci dà lo spunto alla tesi che ci gira in testa (sì, la testa qui riprodotta; e state attenti ai vostri piedi. Vi informo altresì che l’edizione Scheiwiller del 1997 è quella della collana "All’insegna del pesce d’oro" il che sta a sottolineare l’unicum di un catalogo editoriale che diventa un libro di poesia). La seconda immagine è una figura de "Le
tentazioni
di Sant’Antonio" di Bosch. Utilizziamo entrambe come combinazione (perché sono proprio e letteralmente com-binazioni) per la cassaforte di "Alberto".Si aprono, lettore, gli universi storici dei "minimalia" che vanno dai "grilli" descritti da Plinio il Vecchio (incisioni su pietra con soggetto fantastico), alle miniature sui salteri alle incisioni numismatiche ai sigilli. E, volendo essere pignoli (oculati?) come penso siano gli incisori, poiché le prime notizie di queste figure fantastiche ci parlano di un autore di nome Antiphilos l’Egiziano, stiamo parlando di una tradizione artistica di qualche migliaio di anni, come le epigrafi, poco visibile perché è quella che si trovava nei cassetti, sugli anelli, sulle ceralacche, sulle monete, in qualche capitolo di Baudolino di Umberto Eco. Sono dettagli , invisibili, da specialisti-collezionisti, omologhi ai simboli alchemici degli incisori delle zecche di stato. Casiraghy ha al centro della Lombardia il Duomo di Milano, un monumento gotico. Chi ha passeggiato lungo il perimetro del Duomo (con lentezza, mi raccomando, perché ci sono voluti centinaia di anni per edificarlo ed è poco educato sbrigarsela con una visita veloce) , chi è salito su verso i pinnacoli, chi ha sostato sotto Notre Dame, chi ha letto "Le dimore filosofali" di Fulcanelli e sa come si scriveva in realtà "Fulcanelli" intuisce subito a cosa mi riferisco. A cosa? Alla storia del fantastico e al fantastico della storia.
Guardiamo il logo del "Pulcinoelefante:


Basta confrontarlo con questa riproduzione schematica di animale gotico nella conchiglia:


per avere un’illuminazione sul senso del lavoro di Casiraghy. Guarda bene, lettore. Non ho preso a caso uno degli animali gotici nella conchiglia. Il logo del Pulcinoelefante ha, in alto a sinistra, il simbolo di una conchiglia, la tua attuale @, la chiocciola del tuo orecchio obbediente ai suoi labirinti perché obbedire significa ob-audire.
Siamo, dunque, nella sphera enkykleata o sull’orlo di una schiza lineare, una linea di confine tra reale e allucinatorio? I disegni con i quali Casiraghy orna e onora i libri dei suoi autori (fra i quali Alda Merini che, tra l’altro, ha avuto da lui un contribuito determinante in termini di pubblico) inseriscono densi riferimenti e commenti visivi ai testi. Ho sott’occhio proprio una raccolta della Merini edita da Frassinelli dove il ductus del maestro ricorda esplicitamente le decorazioni dei rotoli e degli exultet medievali, là dove in limine al testo il copista (il tipografo-incisore, nel nostro caso) adorna il codice con miniature tratte da un repertorio codificato di simboli come il tralcio di vite o altri oggetti stilizzati secondo un design molto colto. Il testo viene trattato con l’atteggiamento che un benedettino aveva verso la "tradizione-traduzione" col suo valore (oggi si chiama "mission"; avrà a che vedere coi missionari?) da tramandare, conservare e, perché no, "restaurare" quanto a significato dell’opera d’arte e dell’arte poetica.
Penso allora di poter dire, nel rispetto delle due grandi linee che attraversano la percezione di "Alberto" ( Magno?) che i suoi lavori visivi siano pulcini quanto a dimensione grafico-editoriale ed elefanti quanto a spessore storico, a estensione temporale (per inciso, l’incisore delle immagini cui ricorre Casiraghy è un artigiano di novant’anni, Porazzi, che lavora a mano il legno di pero).
Osserviamo le simmetrie analogiche, per esempio, tra questi due lavori, separati da 800 anni:

Scarabeo di Tarros

Scarabeo di Tarros

Doppio Gorgoneion

Doppio Gorgoneion

Alberto, disegno per il rosso

"Alberto", disegno per il rosso


E vengo adesso a un discorso un po’ più sottile, di carattere cognitivo. Scusami, lettore, è un discorso un po’ difficile che chiarisco a me stesso mentre comunico con te.
Dal punto di vista "epistemologico", Casiraghy insiste sul bivio del metà/metà .Due metà non formano un intero e si presentano come "simbolo". Il simbolo era la metà di una medaglia. Il processo consiste, in profondità, nel mettere, se siamo d’accordo, in relazione cose molto distanti tra loro. E fin qui nulla di nuovo: è il procedimento caratteristico della metafora, sia essa visiva che linguistica o musicale (in tal caso parleremo di timbri e useremo vocaboli attinenti alle tecniche dell’udire, in sequenza, vari suoni). Questo mettere in relazione cose distanti tra loro, se ripetuto, diventa un segno distintivo, riconoscibile, familiare. Dunque le cose finiscono per non essere più distanti ma molto vicine e c’è un posto dove le cose molto distanti sono invece molto vicine. Non ci facciamo caso perché ci appaiono naturali. Qual è questo posto? La Natura, è naturale.
Pensa, per esempio, o lettore, al ranocchio: è un vivente straordinario, anfibio, posizionato metà/metà. Pensa, se vuoi approfondire, a ciò che puoi vedere al microscopio. Mi risulta che nel medioevo questo strumento era sconosciuto; non noti un’oscura analogia tra i nanoviventi e le illustrazioni dei copisti, le incisioni di Casiraghy? Si, lo so, sono io che sto ponendo questa analogia ma proprio perché la pongo, e indipendentemente dal fatto di essere folle o non, è già un nuovo dato di realtà e, anzi, se non fossi grezzo quanto a manualità, mi verrebbe voglia di elaborare un’incisione miniata con la forma di un batterio per copiare il libro della natura. Penso adesso al granchio, quello lì che ho visto ieri ad Acquamorta, bere il freddo e coprirsi con le pinze della sua stessa ombra.Ci sono granchi che hanno una chela grande ed una piccola. Che vuol dire ciò? Forse il sistema informativo "granchio" elabora analogie parallele (la chela destra, la chela sinistra), sviluppa gli arti per funzione dominante (afferrare per mangiare) ma produce sempre "simmetria". Noi dobbiamo dunque osservare il lavoro di Casiraghy come produttore e inumatore di "simmetrie" e analogie, anche psicologiche. Non è una cosa da poco. Quello che sto barbaramente enunciando, lettore, è un fondamento del pensiero di Gregory Bateson. Da qui alla relazione di relazione (la metarelazione) il passo è veramente molto breve e bisogna essere attrezzati perchè la metarelazione conduce al "sacro". Questo mio excursus, con i suoi suggerimenti medievali, ha qualcosa che ha a che vedere con ciò è immaginato come "sacro". Ma voglio andare un po’ più oltre, lettore. Metà/metà è ,per esempio, nel caso del vivente "uomo", il centauro, la sirena e, nel mondo animale, il ranocchio, l’attinia, il delfino…che siano reali o fantastici ha poca importanza, ovviamente: ci interessa "come mettiamo i mattoni e non ciò che costruiamo" (Ceccato). Metà/metà presuppone già una "simmetria". Se osserviamo il nucleo costruttivo del pensiero o del cervello, è questa simmetria morfologica o biologica o comportamentale l’informazione del sistema. Bene. Può rientrare tra questi esseri lo stesso Messia? In fondo, anche lui è metà/metà, ha, cioè, le caratteristiche che scopriamo in Natura e obbedisce al processo del nostro pensiero (che magari è anche il suo modo di pensare). Ma osservo anche che questo che ho appena detto è una normale deduzione meccanica, una contaminazione analogica. Occorrerebbe un riscontro. Vale ,cioè, come ipotesi. Ma qui non mi addentro oltre e mi limito ad enucleare il dato che il mio cervello si è mosso in tale modo e torno agli occhi azzurri di Casiraghy e al suo e ora anche mio cielo lombardo che ci sovrastava lontanissimo (quello di Napoli è un po’ più basso, quasi orizzontale) mentre "Alberto" mi portava a un bar la mattina per aver intuito che il suo caffè era piuttosto orzo che mette in crisi un partenopeo. Per strada raccoglieva, per darle alle caprette, le foglie cadute dagli alberi dei bei boschi brianzoli guardando a lungo ogni foglia, osservandone il disegno e mettendola - ne sono certo - sulle pagine di un’edizione futura del "Pulcinoelefante" scritta dagli alberi. Giunti a casa, ha dato come nutrimento alle caprette non solo foglie ma universi di disegni, il breve vento del bosco, le sue venature, il minio rosso-autunno dell’aria.
E il poeta? Dirò, innanzitutto, che Casiraghy mi ha fatto il regalo di un libro edito da Scheiwiller di Piero Marelli, che scrive in dialetto (milanese? brianzolo?).E lo dico per comunicare che è stato un regalo prezioso di una persona che ama che altri siano amati. Sappiamo che la Lombardia ha una tradizione antica e "culta" di poeti dialettali, a cominciare, tra i contemporanei, da Franco Loi. Marelli è stata una sorpresa. E’ un poeta potente. Autodidatta, ha avuto una vita lavorativa molto intensa, come "Alberto": sarto, falegname, linotipista, studioso di filologia romanza, operatore teatrale. Vive del suo lavoro di tipografo. Mi sono applicato per un bel po’ a leggere in italiano e lombardo le sue poesie. Il linguaggio nativo è straordinariamente ricco ed efficace, supportato da un forte progetto "ideologico" (il libro si chiama "Eloisa" e sono le lettere immaginarie scritte ad Abelardo).Mi è venuto spontaneo fare un confronto con quello che succede con la lingua napoletana oggi, di cui si ha il pregiudizio di coreografie pittoresche ma non si conosce il progetto letterario-poetico filologico, plastico, transculturale e moderno, di Mariano Bàino, capace di applicare al partenopeo audaci tecniche, e quello dei poeti di "Culture in movimento" (Costanzo Ioni,in particolare, che è un grande "maccheronico"). Ma perché parlo del poeta Marelli e non subito di Casiraghy? Perché mi serve una parola di Marelli per descrivere la tecnica di Casiraghy. La parola è "stralusc". Che significa "stralusc"? In italiano sarebbe, bellissimo, "straluscio". "Stralusc" è
lo strascico del lampo, cioè ciò che rimane dopo la luce del lampo, cioè uno strascinare, uno strusciare, strappare, graffiare con le unghie. Non è l’illuminare ma l’apparenza luminosa che porta via qualcosa, un qualcosa che prima non c’era e che, dopo, ha sottratto qualcosa. I testi poetici di Casiraghy sono "stralusc": brevi aforismi annotati su un quaderno aperto anche sul sedile dell’auto, precisi e diretti come i suoi segni grafici. Ne diamo due esempi, scelti a caso tra i suoi molti libri:

quando l’anima dorme/il cielo riposa
sogno tutto/ ciò che posso

Va da sé che i molti aforismi scritti dal poeta possono esser letti come versi di un solo poema. Questi due già formano una sequenza e un tramaglio. Ma cerchiamo di entrare nella sua officina e cominciamo dal secondo che presenta ambiguità (metà/metà?) canoniche: io sogno tutto ciò che posso o è il sogno tutto ciò che posso? L’unica azione che mi è possibile (concessa) è sognare?
Andando avanti si scopre una serie abbastanza lunga. Sono, pertanto, aforismi, sentenze, massime pitagoriche da centellinare più degli haiku. E veniamo al secondo, che esponiamo intervenendo con la possibilità di punteggiare e variare come vogliamo, visto che non c’è quasi mai punteggiatura negli aforismi di "Alberto":

quando: l’anima (dorme il cielo) riposa
quando il cielo riposa l’anima dorme
quando il cielo dorme l’anima riposa
l’anima, il cielo, quando dorme riposa
l’anima, il quando, dorme.cielo, riposa
quando l’anima dorme riposa: cielo
ecc.

E ve ne propongo un altro che nasconde sottigliezze del tipo "Epimenide cretese dice che tutti i cretesi sono bugiardi":

sapere tutto
è un inganno?

Divertiti, lettore. Com’è mia abitudine, desidero chiudere queste riflessioni di viaggio nell’umano con un testo di poesia. Per Alberto, senza virgolette, un testo esopico d’ispirazone baudeleriana che ha a che vedere con "metà/metà":

dopo aver meditato a lungo sopra il trespolo,
un dì il gallo si disse: "posso volare: ho le ali".
fatti tutti i suoi calcoli e disegni,
si buttò da un muretto. cadde a terra
di culo, starnazzando (sghignazzo nel pollaio,
applausi e richieste di bis).
pianse lacrime amare, e anche salate,
che innaffiarono il fiore di lupino.
se quel legume è amaro è per questa leggenda.

tra gli uomini il poeta
a volte è come l’albatro sul ponte della nave
a volte come il gallo col culo indolenzito:
bipede cionco coi piedi per terra,
uccello senza volo.

Mimmo Grasso


Articolo pubblicato il 22 ottobre 2004