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Betulla e ginestra. Gaetano Orazio: Trovante

Di Mimmo Grasso

"Trovante". Cosa vuole trovare Gaetano Orazio? Cerchiamo di stargli dietro,così forse capiremo cosa o chi cerca. Faremo riferimento al suo recente catalogo, edito dalla I.me.de.a. E’ un lavoro intrigante che presenta alcune equazioni da rendere esplicite. Per esempio, all’inizio c’è la foto di Gaetano bambino con i genitori. Forse è ad Angri, città dove è nato. E’ una foto lacerata per vari traslochi e passaggi di mano.Forse non è neanche Gaetano. Forse è suo padre bambino. Il bimbo è tenuto per mano dalla madre, affiancata da un maschio adulto. A quest’uomo manca il volto (è lì che la foto ha subito uno strappo).


Troviamo qui il primo tema della poetica di Orazio: gli ascendenti, il da chi, da dove?, l’n.n. dell’anagrafe. Ricordo un testo di Erri De Luca in cui la genealogia è paragonata alle funi sottomarine su cui crescono frutti di mare. La foto è seguita da un testo (è la motivazione di un testo) di "Orazio Trovante":

Mi sottraggo alla luce
e invisibile aggiusto il corpo
alla terra più vicino,
domando come potrei
somigliare in cecità
a una radice,
allungare non visto
il viaggio della mia vita

Questa è la prima traccia del nostro inseguimento. Cosa cerca il trovante? Analizziamo l’impronta: c’è un sottrarsi alla luce, un venir meno, un segno negativo (non a caso il testo è bianco su pagina nera) che parla di luminosità che è, in fondo, la luminosità della non-luce, l’aluce. Cos’è l’aluce, questa condizione di luminosità che non illumina, questo ricordo della luce? L’ombra è evidente. Come si diventa invisibili? Semplicemente, come i bambini, chiudendo gli occhi o, come dicono i buddisti, restando immobili o, ancora, mimetizzandosi con la terra, facendo sì che vi sia consonanza tra corpo e terra (tra l’altro, c’è da chiedersi se quel "vicino" vada inteso come avverbio o vada riferito a "corpo"). Il chiudere gli occhi significa vedersi dentro.Vedersi dentro significa vivere la vita dell’al di là che è la memoria. "Chiudere gli occhi" significa morire.

Edipo, per esempio, anche linguisticamente sente l’ambiguità della sua condizione. Quando, cercando la causa delle sciagure del suo regno, dice ai tebani "Non temete, io troverò il colpevole": il "troverò" usato da Sofocle significa anche "apparirò". Per non vedere la realtà, che è cosa ben diversa dalla verità, si acceca, come i bambini che si illudono, non vedendo, di non essere visti. Autoprofeta o divinatore di profezie che si autoavverano, diventa cieco come Tiresia. "Troverò-apparirò",come Gaetano Orazio Trovante. Chi non vuole essere visto, da chi e perché? Chi non vuole essere visto è l’animale in cerca della preda o il cacciatore. Il non essere visto è lo stare in silenzio (giuro che adesso ho udito lo splasch di un caimano nell’acqua). E’ qui che avviene la metamorfosi, la mimetizzazione. Ma, insistiamo, alla vista di chi vuole sottrarsi Gaetano? Non certo alla nostra perché le sue opere vengono "esposte" in varie mostre pubbliche e lui ci dà il catalogo e ci scrive sopra una dedica. E’ chiaro che Gaetano non vuole essere visto da Gaetano. In modo più preciso: il bambino della prima foto non vuole vedere il signore ritratto nella foto alla fine del catalogo e viceversa. Perché? E’ una questione di radici ("somigliare in cecità/a una radice/allungare non visto/ il viaggio della mia vita"), le stesse che compaiono nei suoi quadri, dolorose come quelle dei denti, che si estirpano (c’è un problema anagrafico e grafico: la radice viene estirpata,tolta dalla stirpe).

Il catalogo delle radici (usiamo "catalogo" in senso aristotelico) ha alla fine un altro testo (nero su foglio bianco) che è gemello del primo. Trascriviamo anche quest’altra traccia:

Forse un giorno anch’io avrò
una carta del mondo
per rivedermi
profilo di terra com’ero
trovante, e finalmente
un luogo cui somigliare.

Più che di gemellaggio,dovremmo parlare di filiazione di un testo da un altro, di continuazione e rispecchiamento. Nell’arco temporale che va dal bambino all’adulto e ai testi vi sono i quadri. Come autore di versi, Orazio è un poeta "caldo" e "a caldo" e che, come pittore, conserva nei colori questo calore; pensando solo a camminare, correre o nascondersi lascia comunque l’usta del suo passaggio. Ma torniamo al secondo testo, che descrive il desiderio di una mappa. Si sa che il territorio non è la mappa e ciò produce frizioni, anche nella scelta degli accostamenti e degli echi interni del lavoro pittorico. C’è una tela che si chiama "Carta del mondo" in cui campeggia, senz’orbita in un pre-cielo, una radice. C’è, immediatamente prima del secondo testo, un lavoro dove si vedono scaglie celesti e dove le conchiglie (radici dell’acqua?) producono fiori splendidissimi come se dal seme del mare nascesse l’acqua fossile, un ascolto labirintico e innocente. Si vedano altresì "Studi per due respiri" dove il sig. Pneuma appare disparendo e cerca di organizzare geometricamente l’èlan. Gaetano Orazio è, come abbiamo detto,orgogliosamente originario di Angri , terra del rosso pomodoro impolverato d’estate, di tammorre e canti a fronna. Vive da moltissimi anni in Lombardia, dove fino a poco tempo fa faceva l’operaio, poi licenziato con altri per crisi di fatturato. Lì trascorre moltissimo tempo in una cascina, tra i monti di Lecco. Ci sarebbe molto da dire sui paesaggi fisici in cui vive, per scelta, Orazio. Sono gli stessi paesaggi di Seamus Heaney e, per alcuni aspetti, le poetiche dei due coincidono per un alone virgiliano.Ci sarebbe altresì da soffermarsi sul perché Orazio possa essere un rappresentante importante del movimento "Arte nella natura" (anche se, per lui, è più corretto parlare di "arte della natura"). Qui, per il nostro cercare colui che cerca, ci interessa evidenziare che Orazio è un altro esempio per noi significativo della "Scientia Nova" immaginata ed elaborata da Edgar Morin e fondata sulla complessità vivente. Chi dice che l’artista o il poeta debbano avere una funzione - e solo quella - alla filiera delle attività umane? Queste persone riescono invece molto meglio di altre a sviluppare capacità e tecniche, e lo fanno tutti i giorni. Sono quelli che (come illustra Daverio nella presentazione al catalogo) pre-sanno, hanno un cervello "prensile". "Artista" deriva da "arto", come "poeta" dal "poiein", il "fare", il "saper-fare" del pollice opponibile.La ricchezza della molteplicità dei loro atteggiamenti (che Sergio Piro chiama omericamente "politropia") consente loro di sviluppare molte abilità e interpretare molti ruoli. Dunque, Gaetano Orazio è uno di questi. Ma qual è, insomma, la sua abilità e il suo "sapere"? Questo:Trovare il trovare, cercare il Cercare. E’ l’atteggiamento creativo ed euristico (la curiosità di chi vuole comprendere) delle menti giovani.

E’ da qui che nascono anche le intuizione della scienza, della filosofia, della matematica (che, è un’opinione; non lo è l’aritmetica ). Ma vediamo adesso un po’ più da vicino cos’è questo cercare il cercare o il cercato. Orazio fruga tra le foglie, resta immobile davanti a un ruscello come a fare da contraltare allo scorrere, tra alberi che lui dipinge con composti a base di piombo. E’, per così dire, un segugio di fossili.Cosa cerca un uomo quando scava?

Questo pittore ci dirà forse che cerca frammenti e forme, quelle che la terra non offre a prima vista, che cerca il cuore del mondo, francescanamente. Ma questo scavare non è anche il raspare la terra del cane di Eliot nel crudelissimo aprile? Che ci fanno quei fiori tipicamente "lilla dalla terrra spenta" tra le lande del nord? Cosa pensa l’artista stando fermo sulla riva del ruscello? Eraclito, l’oscuro (che però scrive in modo inimitabile), ebbe forse la stessa intuizione del Trovante:"La Natura ama lo stare nel nascosto". Finora abbiamo cercato l’ adulto. Adesso cambiamo pista, torniamo indietro e cerchiamo il bambino, partendo dall’immagine centrale del catalogo (un arciere bianco e un cinghiale, stampata subito dopo lo stacco o confine di un’altra pagina buia, quasi a formare un gorgo tra il prima e il poi), il cui titolo è "fabula". Facciamolo immaginando la favola che ci narrerebbe questo bambino: "C’era una volta un cacciatore che, armato d’arco e frecce, cercava un cinghiale più grosso e pericoloso di quello di Euristeo. I monti del cammino erano azzurri come il passato di Alfonso Gatto , che era nato da quelle parti. Azzurri iperò non erano i monti ma gli occhi di Alfonso Il paesaggio era dorato come gli agrumi e i pomodori che crescono nella masseria di Angri, felice regno del principe delle arance. Improvvisamente si aprì una radura nel bosco dove c’erano pezzi di una scacchiera e,al centro, l’orologio di Linneo. Dovete sapere,miei cari, che le radure si aprono sempre all’improvviso come quando sbatte alle vostre spalle una porta che pensavate di aver chiuso. Sappiamo tutti infatti che le porte, per poter battere all’improvviso, esigono disattenzione. Forse non sapete chi era Linneo e cos’era questo orologio.Linneo era uno scienziato botanico, uno che studia le piante, i boschi e le foreste, e inventò un orologio fatto così: disegnò un cerchio per terra e negli spazi delle ore mise varie piante. Il sole, girando intorno alla terra (è il contrario, ma nelle favole è il sole che gira intorno alla terra, com’è giusto che sia) , toccava coi suoi raggi le piante che si aprivano ognuna a un’ora diversa. Se dunque gli avessimo chiesto "Linneo,che ore sono"?, avrebbe risposto: "la calendula meno un quarto". In quella radura però le piante erano tutte chiuse. Alzando gli occhi,il cacciatore vide che il sole non c’era, anche se non era notte. Pensò a un’eclisse. La terra cominciò a tremare come calpestata da zoccoli. Il cacciatore ebbe paura e caricò l’arco, pronto a scoccare la freccia su qualunque cosa si fosse mossa, compreso l’alfiere bianco che,sornione, con un sorriso diagonale faceva finta di non interessarsi per niente a lui. Silenzio. Sentiva solo il tumbtumb del suo cuore. Passa un’ora, passano due ore, ne passano tre a cavallo, Achille raggiunge la tartaruga, è finito il ponte di Messina, Gerusalemme è liberata, Calvino risolve i problemi di T0 , e il cacciatore stava sempre lì nel sempre. Si sentì un po’ stanco e, chinata la testa sul braccio che tendeva la corda dell’arco,si addormentò. Ovviamente sognò. Sognò che la mira non la prendeva lui ma il suo sogno perché lui dormiva come una scultura. Sognò che la punta della freccia era diventata la lancetta di un orologio o di una bussola. Sognò che il suo respiro si adagiava per terra come la polvere ad Angri nel mese di agosto e fa diventare rosa il rosso dei pomodori, che un uomo nero nero - lui intanto era diventato bianco come l’alfiere o una mummia - soffiava nei suoi polmoni come un fabbro sui mantici o lo sciroco africano.Vide il sole sorgere dal pozzo (c’era un pozzo?) al centro dell’orologio di Linneo e i fiori delle piante aprirsi tutti insieme. Le betulle betulleggiavano. "Non può essere vero", si diceva. E infatti era una cosa reale ma non vera o, se preferite, il contrario. Gli doleva lo stomaco. Qualcuno scavava con un’ansia viscerale, masticava bulbi e grugniva.. Un signore con un camice bianco e gli occhiali ("chi è lei?" - chiese. "Il dottor Saturno", gli fu risposto) scriveva con la grafite strani numeri ,come facciamo noi con i codici a barre, sui sassi,gli alberi, le montagne,le foglie, gli insetti, sullo stesso arciere e in più, sull’unghia del suo alluce, ci mise un sigillo di piombo. Fu allora che, guardandosi il piede, il cacciatore vide un cinghiale che brufolava nel suo stomaco e fu allora che si svegliò e la freccia gli scappò di mano, andando a perdersi dove poi la cercheremo".

La favola può continuare o iniziare in altri modi. Ad esempio:"C'era una volta un cinghiale che sgrufolo-sgrufolo e quatto-quattone viveva nella sua cinghialeria. Molti pittori gli volevano bene e lo cercavano per un po’ del suo pelo ,ottimo per i pennelli, in cambio di qualche ghianda….".

La struttura dell’arco, essenzialmentre un triangolo con una bisettrice, la troviamo spesso sotto forma di rombi, trapezi irregolari, nei lavori di Orazio, stilizzata in rosso, come linea di confine che delimita moggi di visione. Dopo questa "fabula" vi sono altre "fabulae" e radici che radicheggiano e lune avvolte su sé stesse come lunache. E’ "fabula" la "carta del mondo"; è "fabula" la storia di questo umanissimo artista il cui cuore batte come le tammorre dell’agro salernitano o del Vesuvio, le cui betulle sono ornate d’aria piombata e gli insetti,le larve, sono come le lucerne che si accendono a Somma Vesuviana dopo i riti agrari, oniriche nelle loro cornici geometriche , quando chi vuole suonare il tamburo vada fuori le antiche mura: oggi,in questo nuovo giorno antico,tornano i morti e ti è consentito solo ascoltare la persefonìa dei silenzi del grano, chiedere grazie alla vergine tellurica e nera. O Aitano, daresti il tuo arco d’argento come ex-voto alla stella Diana delle origini. Queste luci si accendono nei suoi paesaggi dappertutto, vivono di soffi irregolari come i fiori colti dalle ninfe pompeiane dipinte sulle tavolette del museo di Napoli; sulle farfalle, come macchie di fuoco vulcanico quasi a formare una maschera che la natura indossa,timorosa di essere "scoperta"; sulla salamandra, il mitridate vegetale, l’"acquamadre" di Octavio Paz, che passa indenne nel fuoco ma che,attraversata la sua idea, muore. Le salamandre di Orazio sono chiazzate di giallo tra cubetti di rosso,il che vuol dire che,restando immobile l’animale, sono i colori a moversi e intercambiarsi. A noi piace anche immaginare che così l’artista ha creato lo stemma della Napoli sotterranea.

Chiudo il catalogo. Vedo l’ombra che campeggia sulla copertina giallo-sulfureo dietro un’onda di vapore. Non è,Gaetano, che hai dimenticato la tua ombra alla solfatara di Pozzuoli ed è lei che ti cerca? Rileggo il titolo: "Trovante". La parola si spezza come un ramo di betulla, come il bastone nell’acqua: c’è un "ante".

Quando scrivo per un artista finisco sempre per comporre una poesia. Lo farò. Prima, però, desidero fare un omaggio molto più bello a questo "anacoreta", come lo chiama Daverio, che trascorre la sua esistenza nel giardino d’Epicuro del nord e che, come il grande greco, vive nascostamente (o di nascosto). Ho detto prima che l’atteggiamento euristico, tipo di una mente sempre giovane, è fonte di creatività e scoperte. Vediamo se è vero. Quelle che seguono sono alcune immagini della "lucertola" elaborate dai ragazzi di una scuola media del rione Toiano (Pozzuoli). Tralascio, per una immediata lettura e comprensione, i poeticissimi e da me invidiatissimi errori grammaticali nonché il grande repertorio d’immediatezza della percezione non ancora organizzata dall’analisi logica. Queste parole, Gaetano, si addicono alla salamandra che vive attaccata al muro del tuo spirito:

"su una roccia una salamandra innocua come l’acciaio. Guarda il suo riflesso attraverso l’acqua.
Il suo riflesso fa un suono che si allontana. I suoi occhi si inoltrano nel fuoco invulnerabilmente grande"
"la lucertola conversava con una farfalla che la prese e se la portò in un silenzio molto alto"
"la lucertola è un segno di riconoscimento ma se poi i bambini la uccidono è un segno di solitudine"
"la lucertola è un coccodrillo piccolo che soffre di tanta luce"
"la lucertola fa amara la visione perché appena ti vede scappa via"
"la lucertola alla fine muore con uno slancio mai esistito"
"la lucertola scappa ma tanto il gatto la prende con un lungo silenzio"
"la lucertola è un animale rampicante, tristezza maculata"

Alla fine leggemmo l’ "ode alla lucertola" di Pablo Neruda. Beh, Pablo non ci fece una bella figura. Dopo quelli dei bambini ecco il mio testo per te. Ovviamente, per non fare la figuraccia di Neruda, mi sono tenuto un po’ su, con citazioni culte che i bambini non conoscono ancora e dunque non possono fregarmi (l’inizio è il primo dei versi aurei della scuola pitagorica):

venera innanzitutto gli dei immortali, secondo la legge, e serba il giuramento.
Abbi cura di mettere il piede sulle impronte degli altri.
elogia il muschio,il passero,l’anguilla.
tieniti sempre stretto all’essenziale.
giudica l’accaduto alla luce dei fatti
in cui accade e,cadendo, li illumina.
il riccio in alto a destra sullo scoglio
sia per te , rimando al fondale
dove il granchio fa sogni col carapace
e la conchiglia chiude misteriosa le valve
quando passano in fila i pesci del silenzio.
loda ciò che scompare
prima di scomparire - per te è poco
ma sicuro

Mimmo Grasso

Articolo inserito il 29 febbraio 2004