Giuseppe Capogrossi al Guggenheim di Venezia; digressioni sull'allestimento
di Roberto Zanon
«La mia ambizione è di aiutare gli uomini a vedere quello che i loro occhi non percepiscono: la prospettiva dello spazio nel quale nascono le loro opinioni e azioni».
Queste parole di Giuseppe Capogrossi del 1955 ben sintetizzano la mostra a lui dedicata nelle sale del Guggenheim di Venezia e magnificamente curata e diretta da Luca Massimo Barbero. Capita raramente che un curatore abbia le competenze per mettere in opera, tramite l'allestimento, la comunicazione del messaggio che intende trasmettere.
La costruzione di un chiaro racconto, di cui la mostra è la parte finale e più appariscente, sottace il lungo periodo di ricerca, studio e approfondimento oltre che di organizzazione logistica per la raccolta delle varie opere. Un paradigma perfettamente esemplificato dall'eccellente esposizione veneziana che riporta la luce dei riflettori su un artista bandiera dell'arte contemporanea italiana e internazionale.
Barbero è riuscito a dimostrare che la matrice identificativa dell'opera di
Capogrossi non è un segno vuoto o stilistico, bensì un “elemento”, così
chiamato dall'autore stesso, che, in nuce sin dalle prime opere figurative, è raggiunto
- ma sempre in progress - tramite un sofferto percorso di ricerca. Una
sofferenza che traspare grazie alla scelta dei lavori selezionati (e di
particolare importanza appaiono, a questo proposito, quelli rinvenuti nella
Fondazione Archivio Capogrossi di Roma) e che le suggestioni e i diversi stati
d'animo delle ambientazioni ricreate attorno alle opere, aiutano a percepire in
modo decisivo. Nella terza sala, quando avviene il cambiamento di colore delle
pareti ma ancora permane il pavimento in legno, c'è la chiave per leggere il
Capogrossi più conosciuto. Qui alcune tele ed anche degli oli su carta rivelano
quel gioco di piani e quell'evocazione dello spazio che sempre, pur se in modo
diverso, caratterizzerà il lavoro dell'artista con l'origine del suo peculiare
segno. «Il segno, inteso come linea costitutiva della composizione, non più
autonomo e determinante, lascia spazio a campiture piu` vaste, annuncia il
segno/colore e l'azione simultanea delle diverse componenti. Orditure diverse e
per certi aspetti ‘contraddittorie' convivono in queste carte parlando lingue
diverse, tempi, ritmi, campiture che si esprimono in combinazioni ‘anomale' e
che raccontano il principio di questo ‘dubbio', del fare pittura in bilico, tra
l'informale e l'invenzione di una forma nuova, precisa» (Giorgio Mastinu, p.
201 del Catalogo che accompagna l'esposizione).
Nella seconda parte è esposto il Capogrossi più sperimentato con una
successione quasi mai diacronica, proprio per sottolineare ed evidenziare dei
temi di ricerca sempre presenti nel periodo maturo che diventano ricorrenti. In
questa seconda sezione il blu elettrico, con cui sono state dipinte alcune
pareti, è una citazione dello stesso colore scontestualizzante che il Maestro
aveva voluto per la Biennale di Venezia del 1954 e che accuratamente - pure
qui, dopo una ricerca metodica - è stato riproposto.
Conclude magistralmente la visita l'ultima ampia sala con le opere a grandi
dimensioni e nella quale traspare anche l'aspetto scenografico, ma mai
superficiale, del Capogrossi più conosciuto ed acclamato.
Informazioni
Capogrossi. Una retrospettiva
Luogo: Venezia - Collezione Peggy Guggenheim
Periodo: dal 29 settembre 2012 al 10 febbraio 2013
Info: tel. +39 041 2405411