Wildt. L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt
Forlì - Musei San Domenico
Dal 28 gennaio al 17 giugno 2012
Adolfo Wildt (Milano, 1868 – 1931) è il genio dimenticato del Novecento
italiano.
La grande mostra che Forlì gli dedica al San Domenico (dal 28 gennaio al 17
giugno) per iniziativa della locale Fondazione Cassa dei Risparmi e del Comune,
è certo una scommessa: rendere popolare un artista tra i più sofisticati e
colti del nostro Novecento. La mostra è a cura di Fernando Mazzocca e Paola
Mola affiancati da un comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci.
Da sottolineare come questa esposizione, eccezionale per completezza e qualità
delle opere, rappresenti il primo tempo del “Progetto Novecento. Percorsi –
Eventi – Interpretazioni” che si svilupperà nel 2013 con la grande mostra DUX,
dedicata ad una ricognizione sull' “arte italiana negli anni del consenso”,
legittimamente proposta da Forlì, città del Duce.
Nel percorso al San Domenico, allestito dal parigino Wilmotte et Associès e
dallo Studio Lucchi e Biserni, la grande arte di Wildt sarà messa a confronto
con i capolavori di maestri del passato che per lui furono sicure fonti di
ispirazione. Da Fidia a Cosmè Tura, Antonello da Messina, Dürer, Pisanello,
Bramante, Michelangelo, Bramantino, Bronzino, Bambagia, Bernini, Canova, e con
i moderni con cui si è originalmente confrontato: Previati, Mazzocutelli,
Rodin, Klimt, De Chirico, Morandi, Casorati, Fontana, Melotti. Ma anche con
artisti come Klimt che a lui si ispirarono
Nell'uno e nell'altro caso non si tratta di richiami o confronti casuali, ma
puntualissimi, diretti, evidenti.
Insomma la più grande retrospettiva mai realizzata su Wildt ma anche una
sequenza di capolavori mozzafiato, scelti come confronto, quasi due mostre in
una, quindi.
Estraneo al mondo delle avanguardie e anticonformista, capace di fondere nella
sua arte classico e anticlassico, Wildt è un caso unico in questo suo essere in
ogni istante tutto e senza luogo.
La sua incredibile eccellenza tecnica e lo straordinario eclettismo furono
attaccati sia dai conservatori, che non lo vedevano allineato per i contenuti,
ancora pervasi dal Simbolismo, e per le scelte formali caratterizzate da
richiami gotici ed espressionisti estranei alla tradizione mediterranea e
all'arte di regime, sia dai sostenitori del moderno che mettevano in
discussione la sua fedeltà alla figura, la vocazione monumentale, il continuo
dialogo con i grandi scultori e pittori del passato, e la predilezione della
scultura come esaltazione della tecnica e del materiale tradizionalmente
privilegiato, il marmo, che lui sapeva rendere con effetti sorprendenti sino
alla più elevata purificazione dell'immagine.
Questi aspetti, che ne hanno condizionato per lungo tempo la fortuna,
esercitano oggi su di noi un fascino nuovo che solo una grande mostra può
finalmente restituire.
Partendo dall'eccezionale nucleo di opere conservate a Forlì, dovute al
mecenatismo della famiglia Paulucci di Calboli, protagonista della storia della
città e della storia nazionale, e grazie alla disponibilità dell'Archivio
Scheiwiller (il grande editore milanese che per via familiare ha ereditato
molte opere e materiali di Wildt), è oggi possibile radunare una serie di
straordinari capolavori di Wildt e ricostruire il percorso più completo della
sua produzione sia scultorea sia grafica.
L'idea che governa questa esposizione non è semplicemente quella di una
rassegna di carattere monografico, ma di un percorso che (come nel caso della
recente mostra di Forlì su Canova) metta in relazione profonda le sue opere con
quelle degli artisti - pittori e scultori - del passato (come Fidia, Cosmè
Tura, Antonello da Messina, Dürer, Pisanello, Bramante, Michelangelo,
Bramantino, Bronzino, Bambaia, Cellini, Bernini, Canova) e dei moderni
(Previati, Mazzucotelli, Rodin, Klimt, De Chirico, Morandi, Casorati, Martini,
Fontana, Melotti) con cui si è intensamente e originalmente confrontato,
attraversando ambiti e momenti diversi della vicenda artistica.
I temi da lui privilegiati, come quelli del mito e della maschera, gli
consentirono di dialogare anche con la musica (Wagner) e la letteratura
contemporanea, da D'Annunzio (che fu suo collezionista) a Pirandello e
Bontempelli; così, da ritrattista eccezionale quale era, con i magnifici busti
colossali di Mussolini, Vittorio Emanuele III, Pio XI, Margherita Sarfatti,
Toscanini e di tanti eroi di quegli anni, egli ha saputo creare un Olimpo di
inquietanti idoli moderni.
Wildt vuole condurre i gesti, i volti, le figure umane a una nudità essenziale,
coglierne l'anima consentendo al pensiero di giungere a un'armonia maturata e
composta tra la linea e la forma.
Nell'ambito del Progetto Novecento, da segnalare che a “Wildt. L'anima e le
forme tra Michelangelo e Klimt, allestita al San Domenico sono collegate altre
esposizioni sul territorio: a Faenza, al MIC – Museo Internazionale delle
Ceramiche, “La ceramica nell'età di Wildt”, a Cervia, ai Magazzini del Sale,
“Giuseppe Palanti. La pittura, l'urbanistica. La pubblicità da Milano a Milano
Marittima”, e a Predappio, nella Casa Natale di Mussolini, due mostre in
successione: “Archivio del Novecento. Marisa Mori, donna e artista del ‘900, il
talento e il coraggio” e “Renato Bertelli, la parentesi futurista”.
Wildt. L'anima e le forme
Nel 1916 il filosofo Georg Simmel si occupa dell'artista, all'interno di un
complesso saggio di interpretazione della pittura di Rembrandt, non a caso
interamente basato sui concetti di “anima” e di “forma”, gli stessi che danno
il titolo al saggio di Lukàcs (1911) da cui poi deriva anche il titolo di
questa esposizione. Come vedremo si tratta di un dualismo che pervade tutta la
cultura tedesca di questo periodo, e che arriva in Italia realmente solo con
l'opera di Pirandello, che si forma in Germania e conosce bene il pensiero di
Simmel. E non a caso Pirandello è uno scrittore che può servirci per capire
meglio l'uscita di Wildt dalla sfera simbolista, troppo angusta per il suo
continuo sperimentare.
Secondo Paola Mola, tra i curatori della mostra forlivese, l'esperienza
artistica di Wildt è diretta a restituire alla scultura “una sacralità e
un'eloquenza nuove”. L'idea di sacralità è da porre in correlazione proprio con
la scelta formale grazie alla quale lo scultore si distacca dai suoi modelli e
dai contemporanei.
Quando parla di Rembrandt, paragonandolo a Michelangelo e a Rodin, Simmel
introduce l'opposizione tra i concetti di “forma” e quello di “vita”. La forma
è fuori dal tempo, la vita immersa nel tempo. La forma è priva di forza, la
vita coincide con la forza. Sulla stessa lunghezza d'onda si muove inizialmente
anche il suo discepolo Lukàcs.
Nel ritratto classico, l'artista estrae dalla vita un determinato fenomeno e
gli dona un'esistenza propria, quell'esistenza che diventa espressione
spirituale definitiva, connessa alla qualità del fenomeno corporeo. La vita
produce una forma e poi la abbandona a se stessa. In Rembrandt la forma compare
solo come “il momento di volta in volta presente della vita”: è il momento
casuale con cui l'essenza dell'individuo, che è immerso nel divenire, si
manifesta all'esterno. In Michelangelo invece le figure, malgrado la loro
perfezione formale, subiscono una scossa interna che deriva dalla presenza
della vita e del destino, che sembrano attraversarle. La forma individuale è
solo “un recipiente o un simbolo” della vita dell'intera umanità. Proprio per
questo le figure di Michelangelo sembrano mancare di libertà: “il destino e la
vita, in quanto non appartengono unicamente a loro ma all'umanità in generale,
le opprimono; vorrebbero difendersene e liberarsene, ma non possono, poiché in
questo tuttavia consiste la loro essenza, l'essenza dell'umano – una
contraddizione concettuale, certo, un'incomparabilità logica con cui però si
esprime forse la tragicità inconciliabile di queste figure”. Questa è la
ragione per cui in Michelangelo si ha l'impressione che l'individuo si dilati
al di là della propria limitatezza.
Queste idee possono, in vario modo, aver agito anche nelle concezioni di Wildt.
Potrebbero essergli arrivate attraverso la mediazione di Franz Rose, che come
sappiamo lo aveva anche messo in rapporto con lo stesso Simmel. Ma così credo
che si possa anche spiegare meglio perché Wildt sembra essere all'incrocio di
esperienze tanto diverse quanto tra loro apparentemente inconciliabili: il
gotico e il barocco, il classicismo e il manierismo, l'espressionismo e il
simbolismo, il simbolismo visionario e la metafisica. Potremmo considerare
Wildt uno sperimentatore ossessionato dal rapporto tra vita e forme, e spinto
dal desiderio di realizzare opere che di volta in volta cercano una soluzione
diversa, ma coerente, all'interno di questo rapporto.
Wildt anticipa Avatar e Guerre Stellari
È sorprendente e del tutto innovativo guardare oggi alle opere di Wildt e
scoprire analogie con certi corpi e volti presenti nei grandi film fantasy e
fantascientifici, nelle saghe popolari di Guerre Stellari, de Il Signore degli
Anelli o nel più recente Avatar. Se sentiamo nel monumento funebre a Cesare
Sarfatti il fantasma di Darth Vader, o nel Rosario i corpi filiformi degli
alieni; e se vediamo nella testa della Concezione una nobilitata Madre di E.T.
ci rendiamo conto della straordinaria post-modernità di Wildt.
Le sculture realizzate nel 1921 per Carmela ed Ezio Boschi sono uno
stupefacente trasferimento moderno della Pietà Rondanini, ma la donna nella
navetta a lato è anche l'antenata d'oro di Neytiri, modellata in 3D dagli
effetti speciali di James Cameron.
Si tratta di forme che nascono tutte dall'immaginazione di altri mondi poste
più avanti e più vicino alle origini del nostro, così che in Wildt il medioevo
gotico si salda misteriosamente a quel medioevo prossimo venturo che sentiamo
imminente.
Il Parco del Novecento
Non c'è etica senza luoghi. Il luogo (ethos) è lo spazio della memoria. La sua
rivisitazione consente di dare una interpretazione al nostro presente. Agli
interventi che la Fondazione ha messo in cantiere per Forlì si aggiungono
quelli già predisposti per Predappio (ex Casa del Fascio), Castrocaro Terme e
Terra del Sole (Palazzo Pretorio) e Rocca delle Caminate.
A partire proprio dalle mostre al San Domenico, dagli interventi sui manufatti
novecenteschi in atto, nonché dalle forme di collaborazione culturale con le
città di Faenza, Cesena, Cervia, Modigliana, Tredozio, la Fondazione, d'intesa
con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia
Romagna, propone la realizzazione di un Parco del Novecento che coinvolga le
località dove il secolo trascorso, per la diffusione di movimenti artistici e
letterari, per le trasformazioni ambientali intervenute, ha inciso
profondamente.
Indagare in profondità i luoghi, studiarne e reinterpretarne le memorie,
segnalarli nuovamente collegandoli in un percorso coordinato che, anche grazie
alle recenti applicazioni informatiche, consenta di incentivarne la conoscenza
e la visitazione: questo è l'obiettivo del parco culturale.
Se guardiamo ai luoghi e ai protagonisti, per dire dei maggiori, possiamo
annoverare la Marradi di Dino Campana, San Mauro Pascoli con Giovanni Pascoli,
Cervia con Grazia Deledda, Giuseppe Ungaretti e Guareschi, la Casa Rossa
(Bellaria) di Alfredo Panzini, il Cardello (Casola Valsenio) di Alfredo Oriani,
passando per Marino Moretti (Cesenatico) e Renato Serra (Cesena). Vi sono poi
le città di fondazione come Predappio, o i paesaggi urbani come quello
forlivese o faentino, il circuito delle terme (da Castrocaro a Bagno) fino alle
colonie marittime.