Trompe l'œil. L'inganno dell'occhio
Perugia - Gallerie dei Gerosolimitani
Dal 25 maggio al 15 settembre 2013
25 artisti europei interpretano un tema classico in pittura: quello del trompe l'oeil, ovvero dell'inganno dell'occhio.
A riunirli intorno al progetto è Rob Smeets, celebre storico dell'arte e
collecteur olandese che nel suo buen retiro nel cuore di Perugia ha scelto di
trasformare lo storico complesso dei Gerosolimitani in un suggestivo tempio
dell'Arte.
Qui, ogni anno, riunisce un cenacolo di artisti intorno ad un tema che coniuga
antico e contemporaneo, attualità e memoria, suggestione e simbolo.
L'appuntamento quest'anno è dal 25 maggio al 15 settembre ed è di quelli da non
perdere.
Il tema del trompe l'œil, commistione di inganno e di verità, falso, più vero
della natura, ha percorso tutta la storia della pittura occidentale,
dall'antichità ai giorni nostri, sollecitando l'interesse soprattutto di
artisti fiamminghi e olandesi del Sei e Settecento, tra gli specialisti del
genere, come Cornelis Gijsbrechts, Samuel van Hoogstraten, Domenico Remps,
Jacob Biltius, Wallerand Vaillant, Cornelis Brizé, Christoffel Pierson, ma
anche di maestri italiani come Giuseppe Maria Crespi, Giuseppe, Caterina e
Pietro Leopoldo della Santa, dei francesi Jean-Baptiste Siméon Chardin,
Jean-Baptiste Oudry, Louis-Leopold Boilly, di una nutrita schiera di pittori
americani del tardo Ottocento come William Michael Harnett, John Frederick Peto
e John Haberle e, attorno agli anni trenta del Novecento, di alcuni esponenti
del Surrealismo.
Nella mostra perugina saranno venticinque gli artisti - noti pittori e scultori
contemporanei italiani e stranieri - a reinterpretare questo genere: Philip
Akkerman, Arnout van Albada, Agostino Arrivabene, Maurizio Bottoni, Mario ter
Braak, Karel Buskes, Tullio Cattaneo, Marco Cornini, Erkin, Henk Helmantel,
Lars Lehmann, Mark Lijftogt, Claudia Marchetti, Dennis Møgelgaard, Neil Moore,
Pieter Pander, Alessandro Papetti, Jaap Roose, Livio Scarpella, Piet Sebens,
Dino Valls, Gerrit Wijngaarden, Kik Zeiler.
Il saggio introduttivo del catalogo è firmato da Cristina Galassi, Associato di
Storia della Critica all'Università degli Studi di Perugia.
“Trompe-l'oeil”, cioè una rappresentazione pittorica che ha come fine l'inganno
visivo di chi osserva, che vuole fare apparire vero ciò che vero non è, che si
prende gioco dello spettatore, creando un'opera che aspira ad annullarsi come
pittura per presentarsi come frammento della realtà, grazie ad accorgimenti
cromatici e prospettici. Artisti di tutti i tempi si sono cimentati in questo
genere di pittura, apprezzato soprattutto dal collezionismo francese, olandese
e italiano dal XVII al XIX secolo, ma che affonda le sue origini nell'antichità
classica, da quando, cioè, nella sfida perenne fra vero e mimesi del vero,
soprattutto i pittori tentarono di andare oltre la verosimiglianza, ingannando
l'osservatore mediante una contraffazione della realtà.
La letteratura artistica antica e moderna, da Plinio il Vecchio, passando per
il Rinascimento e fino al Neoclassicismo, ha più volte descritto “gli inganni
dell'occhio” creati degli artisti, sempre con lo stesso scopo: tentare di
accreditare l'idea che l'arte può spingersi tanto avanti da confonderci sui
confini fra spazio reale e imitazione, prolungando il reale nell'immaginario.
L'aneddotica parla del grappolo d'uva del pittore Zeusi, che gli uccelli
beccavano tanto era verosimigliante, della finta tenda dipinta da Parrasio, che
Zeusi chiese di scostare per vedere il quadro, ma che è essa stessa il quadro,
del cavallo dipinto da Apelle, che avrebbe suscitato il nitrito di altri
cavalli, delle tegole dipinte, sulle quali i corvi avrebbero tentato di
posarsi, fino ai volatili rappresentati da Protogene sullo sfondo di uno dei
suoi quadri, ai quali, secondo Strabone, una pernice avrebbe tentato di
avvicinarsi. Ma Filostrato descrive anche un dipinto di Narciso alla fonte, con
un'ape posata su un fiore, tanto realistica da sembrare vera, al pari della
mosca che un giovanissimo Giotto in assenza di Cimabue, racconta Vasari,
dipinse sul naso di una figura del maestro, che, tornato, avrebbe tentato più
volte di scacciare con la mano.
Sono gli oggetti quotidiani il Leimotiv del trompe l'oeil, come ha scritto Jean
Baudrillard, oggetti che fuoriescono dallo spazio del quadro e invadono quello
dell'osservatore, dominandolo: oggetti lasciati al caso, o visti sotto una
visuale diversa come il Quadro voltato di Gijsbrechts, oggetti qualunque,
spesso fuori del tempo e sottratti così alla transitorietà del reale,
stoviglie, utensili, bicchieri, forbici, soprammobili, cavalletti da pittore
“chantournes”, cioè sagomati come dei cavalletti reali, pêle-mêle, cioè
un'accozzaglia di frammenti disparati del reale, talora resi logori dall'uso, i
cosiddetti “porta-lettere”, che raccolgono fotografie, miniature, carte,
giornali, ritagli di vita, trattenuti da lacci, qualche volta ricoperti da una
patina di polvere, guardati in altri casi attraverso vetri rotti, dai quali fa
capolino l'autoritratto dell'artista, come il capolavoro di Boilly, La raccolta
di disegni, presentato al Salon del 1800, talmente illusionistico da spingere
gli spettatori a toccarne i vari strati. Ma anche banconote - quella dipinta da
Harnett alla parete di un quadro gli procurò l‘accusa di contraffazione -,
trofei di caccia, uccelli morti, animali o figure, che evadono dai limiti di
cornici troppo anguste per contenerli, catapultandosi nello spazio neutro dello
spettatore, che mettono in guardia sulla vanità e sul fascino, poco durevole,
del mondo delle apparenze.
Appesi alle pareti, a pannelli lignei, a ante di porte, ospitati in vani che si
aprono in interni privati, librerie o armadietti, come i “cabinets” dipinti,
celeberrimo lo Scarabattolo, attribuito a Domenico Remps, che rappresenta sugli
sportelli e dietro di essi gli oggetti preziosi posseduti dal principe
Ferdinando de' Medici, ma anche introdotti da archi, nicchie scavate, davanzali,
balaustre e tende, spesso inchiodati o legati con fili e nastri da cui pendono,
modernamente reinterpretate da puntine e nastri di scotch, gli oggetti
approfittano dell'ambiente circostante, arretrando o avanzando nello spazio ma
cercando sempre di comunicare l'idea della profondità, di un terzo spazio. Si
cerca la profondità, ma si cerca soprattutto l'attitudine ad essere sorpresi di
chi osserva, il suo momentaneo spiazzamento, la sua complicità, ricorrendo
molto spesso anche all'ironia e allo scherzo.
La vocazione alla mimesi entra in crisi nel Romanticismo. Balzac, nel
Capolavoro conosciuto, del 1831, dichiara che “la missione dell'arte non è di
copiare la natura ma di esprimerla”, fornendo spunto alle considerazioni
successive di Cézanne. La fortuna del trompe l'oeil si eclissa, superato da
impressionismo e fotografia. Conosce un fortunato revival nell'arte americana
degli ultimi decenni del secolo XIX e spuntano capolavori di penetrante ironia,
come Spennato a puntino di Harnett ma anche la Drogheria del povero di Peto,
versione plebea degli aristocratici “cabinets des curiosités” ma tramonta
inesorabilmente nell'arte europea del primo Novecento, che confina le
potenzialità mimetiche e illusionistiche alle arti minori, agli arredi, alla
decorazione d'ambiente.
E' interessante notare che nel 1800, quando viene inventata la parola francese,
il trompe l'oeil come genere è già obsoleto.
Eppure esiste una via moderna per il trompe l'oeil, come già aveva suggerito il
Surrealismo, che ha riproposto il principio di imitazione a vantaggio della
visione onirica e dello straniamento delle apparenze sensibili.
Il trompe l'oeil ha ancora oggi qualcosa da dire, una sua modernità come la
mostra vuole dimostrare.
La sua attualità consiste, come scrive Ernst Gombrich, nel legame che unisce
pittore e spettatore, “sul reciproco potenziarsi dell'illusione e dell'attesa”.
Ogni inganno dell'occhio presuppone la presenza di un contesto
spazio-temporale, in questa occasione, una moderna galleria e la partecipazione
di uno spettatore attivo, che interagisca con l'opera, che la guardi, la studi,
la osservi, prima per crederla reale, poi, per ammirare l'abilità del suo
artefice, quindi per provare attrazione, divertimento, sorpresa o paura ma
anche per riflettere.