Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre
Forlì - Musei San Domenico
Dal 2 febbraio al 16 giugno 2013
Dopo aver dedicato una grande mostra a un protagonista degli Anni Venti del Novecento come Wildt, Forlì intende approfondire un altro momento della cultura figurativa del secolo scorso, relativamente al clima di un'epoca che ha lasciato una forte impronta, soprattutto dal punto di vista urbanistico e architettonico, sulla città di Forlì e su molti altri centri della Romagna.
Nel primo dopoguerra, da cui prende avvio la mostra per inoltrarsi fino
all'epilogo tragico del secondo conflitto mondiale e del fatidico 1943, la
cultura italiana, attraverso i suoi migliori esponenti, si sentì investita
della missione di creare nuove espressioni artistiche per il Novecento,
secolo che non si era in realtà ancora rivelato. Il più lucido interprete di
questa missione fu il letterato Massimo Bontempelli, che nel 1926 dando vita
alla rivista “900” dichiarava: “Il Novecento ci ha messo molto a spuntare.
L'Ottocento non poté finire che nel 1914. Il Novecento non comincia che un poco
dopo la guerra”. La nuova esposizione ai Musei San Domenico intende rievocare
un clima che ha visto non solo architetti, pittori e scultori, ma anche
designer, grafici, pubblicitari, ebanisti, orafi, creatori di moda cimentarsi
in un grande progetto comune che rispondeva, attraverso una profonda revisione
del ruolo dell'artista, alle istanze del cosiddetto “ritorno all'ordine”. Il
rappel à l'ordre, manifestatosi già durante gli anni della guerra, scaturiva
dalla crisi delle avanguardie storiche, in particolare il Cubismo e il
Futurismo, considerate l'ultima espressione di un processo di dissolvimento
dell'ideale classico che era iniziato con il Romanticismo e si era accentuato
con l'Impressionismo e i movimenti come il Divisionismo e il Simbolismo che lo
avevano seguito.
Nasceva non come semplice ritorno al passato, ma come ripresa dei soli canoni
ritenuti adatti alla realizzazione di un pensiero e di una volontà artistica.
“Una solida geometria di oggetti, una nuova classicità di forme”, per Carlo
Carrà, mentre De Chirico concludeva il suo scritto programmatico sul ritorno
della figura umana esclamando: “Pictor classicus sum”.
Il modello di una ritrovata armonia tra tradizione e modernità, sostenuto da
questi artisti – tra cui ebbero un rilievo maggiore Felice Casorati, Achille
Funi, Mario Sironi, Carlo Carrà, Adolfo Wildt e Arturo Martini – avrà, anche
grazie allo spirito critico e organizzativo di Margherita Sarfatti, il sostegno
da parte del regime che era alla ricerca della definizione di un'arte di Stato,
come il lungo e differenziato dibattito sulle riviste dimostra. I regimi
dittatoriali europei non mancheranno di utilizzare a fini propagandistici e di
consenso il linguaggio classicista degli artisti e in molti casi la loro stessa
complicità. Ma l'altezza della loro arte non può essere negletta o appiattita
su ragioni ideologiche.
La mostra rievoca le principali occasioni in cui gli artisti si prestarono a
celebrare l'ideologia e i miti proposti dal Fascismo, basti pensare
all'architettura pubblica, alla pittura murale e alla scultura monumentale.
Verranno documentate la I (1926) e la II (1929) Mostra del Novecento Italiano;
la grande Mostra della Rivoluzione Fascista, allestita a Roma nel 1932-1933 in
occasione del decennale della marcia su Roma; la V Triennale di Milano (che
vide la con-sacrazione della pittura murale intesa come arte nazionalpopolare
volta a far rivivere una tradizione illustre); la rassegna dell' E42 di Roma.
La pittura murale e la scultura monumentale, che furono con l'architettura
l'espressione più significativa e riuscita di quel periodo, vengono indagate
all'interno degli edifici pubblici, come i palazzi di giustizia, delle poste,
delle università. La considerazione delle più impegnative realizzazioni
urbanistiche e architettoniche ci consente di capire quanto è stato realizzato
anche a Forlì e in altri centri della Romagna.
La mostra presenta i grandi temi affrontati nel Ventennio dagli artisti che
hanno aderito alle direttive del regime, partecipando ai concorsi e
aggiudicandosi le commissioni pubbliche, e da coloro che hanno attraversato
quel clima alla ricerca di un nuovo rapporto tra le esigenze della
contemporaneità e la tradizione, tra l'arte e il pubblico. La presenza di
dipinti, sculture, cartoni per affreschi, opere di grafica, cartelloni murali,
mobili, oggetti d'arredo, gioielli, abiti, intende offrire una visione a tutto
tondo del rapporto tra le arti e le espressioni del costume e della vita,
confrontando artisti e materiali diversi. L'obiettivo comune era, infatti,
quello di ridefinire ogni aspetto della realtà e della vita, passando dal mito
classico a una mitologia tutta contemporanea.
Il compito dell'artista, così lo sintetizza Bontempelli, diviene quello di
“inventare miti, favole, storie, che poi si allontanino da lui fino a perdere
ogni legame con la sua persona, e in tal modo diventino patrimonio comune degli
uomini e quasi cose della natura”.
Attraverso i maggiori protagonisti (pittori come Severini, Casorati, Carrà, De
Chirico, Balla, Depero, Oppi, Cagnaccio di San Pietro, Donghi, Dudreville,
Dottori, Funi, Sironi, Campigli, Conti, Guidi, Ferrazzi, Prampolini, Sbisà,
Soffici, Maccari, Rosai, Guttuso, e scultori come Martini, Andreotti, Biancini,
Baroni, Thayaht, Messina, Manzù, Rambelli) risalterà la varietà delle
esperienze tra Metafisica, Realismo Magico e le grandi mitologie del Novecento.
Questo superamento della pittura da cavalletto per recuperare il rapporto tra
la pittura e l'architettura significò il grande ritorno al Quattrocento
italiano visto come fonte di ispirazione per gli artisti contemporanei. Giotto,
Masaccio, Mantegna, Piero della Francesca, per quel loro realismo preciso,
avvolto in una atmosfera di stupore lucido, appaiono particolarmente vicini.
Guardare al
Quattrocento o all'antichità non significava recidere i legami con l'arte
contemporanea europea, certo non con quegli artisti che, come Picasso e Derain,
a partire dal secondo decennio del Novecento avevano già fatto lo stesso
percorso, passando dalla scomposizione e dall'astrazione
cubista alla ricomposizione della figura e a una nuova classicità in cui
venivano presi a modello l'antico e la tradizione italiana.
Non solo i dipinti, le sculture o l'architettura, ma anche le opere di grafica
e i manifesti diventarono parte integrante dell'immagine della città moderna.
Il Novecento passò dall'arte alta agli oggetti della vita quotidiana, dove si
respirava la stessa atmosfera di ritorno alla misura classica, anche nella
manipolazione di materiali preziosi. Lo testimoniano gli splendidi mobili e gli
altri oggetti di arredo disegnati da Piacentini, Cambellotti, Pagano,
Montalcini, Muzio, Gio Ponti e i gioielli realizzati da Alfredo Ravasco. Mai
come nel Novecento anche le vicende della moda si intrecciarono e si
identificarono con quelle della cultura e della politica, originando, tra il
sogno parigino e l'autarchia, la prospettiva della grande moda italiana.
Informazioni
Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre
Luogo: Forlì - Musei San Domenico
Piazza Guido da Montefeltro
Periodo: dal 2 febbraio al 16 giugno 2013
Informazioni e prenotazioni: Tel. 199 75 75 15