Arte

La biografia di Carlo Levi
Carlo Levi e Roma. Il respiro della città
Carlo Levi pittore a Roma negli anni Trenta di Daniela Fonti
Il Realismo mitico di Carlo Levi. Uno scrittore pił sperimentale del pittore di Filippo La Porta
Il Naturalismo essenziale della pittura di Carlo Levi Testo inedito di Carlo Levi firmato con lo pseudonimo di E. Sacerdoti e scritto nei primi anni Trenta
Paura della pittura di Carlo Levi e le paure di prospettive di Guido Sacerdoti
Carlo Levi e l'ambiente romano di Claudia Terenzi

Il Naturalismo essenziale della pittura di Carlo Levi

Testo inedito di Carlo Levi firmato con lo pseudonimo di E. Sacerdoti e scritto nei primi anni Trenta

Sebbene Carlo Levi concepisca la concreta attuazione dell'arte sua in funzione d'un complesso mondo di valori culturali, la sua pittura è immediatamente comprensibile per sola via di sentimento; anzi si direbbe che nel corso della sua esperienza Levi abbia fissato il principale intento di liberare la sua visione pittorica dall'intellettualismo, a cui s'informava la sua prima maniera, e di esprimere i valori originari della realtà con i mezzi d'una penetrazione semplicemente intuitiva. Possiamo definire la visione pittorica di Levi come un naturalismo essenziale, ossia come la traduzione del primigenio slancio genetico della natura in un integrale concetto pittorico.
A questo dipingere, intelligibile dal punto di vista del suo urgente e cosmico contenuto, Levi è giunto attraverso una progressiva revisione dei valori ed anche degli espedienti formali della sua prima maniera, della cui rapidissima fortuna nazionale ed internazionale egli apparve molto presto scontento. Al compiacimento d'una solenne ed aggraziata solidificazione di volumi sotto terse superfici di brillante colore in uno spazio chiaro e profondo dai piani e dagli intervalli aerei distribuiti secondo cadenze d'arcano numero, sottentra in lui - ed oggi mai s'è affermato con pieni risultati - lo studio intentissimo del momento in cui il fine, essenziale causa dell'essere, s'impadronisce della materia come di strumento per attuarsi nella natura - del momento, cioé, della più misteriosa ed evidente crisi della potenza che tende a recarsi in atto, dell'atto che preme, al suo farsi, contro l'ostilità dei suoi medesimi limiti. Di qui limportanza 'che ha, nella pittura di Carlo Levi il senso cosmico del moto, dello slancio, del premere, del divincolato irrompere dei plasmi organici, dell'irruzione di calde e dense fiumane di volontà abissale entro il conchiuso spazio ed il pietrificante silenzio dei mondi delle cose dipinte. Il moto trascinante, che separa le particolarità esistenziali dal principio assoluto dell'essere, fluisce d'impeto, nelle "cose dipinte" di Levi, tutto pieno ancora d'una tragica caoticità, e viene fissato nel quadro mediante un congelamento istantaneo dei suoi ribollimenti nativi. Di qui l'aspetto complessivo di questa pittura, nella quale anche una piccola natura morta sembra condensare catastrofi di lave vulcaniche, e in un carciofo o in un pino marittimo appuntano e si spampanano, con una specie di disperazione, le collere dell'Ade. I miti della nascita del mondo e dell'unicità del primo elemento di tutto ciò che è, si coordinano nella celebrazione d'un eterno dolore del parto tellurico. Nudi femminili, che diresti impastati di plancton; ramaglie che palpitano come intestini; dense arie, ove flottano i fiumi del sangue; montagne tumultuose di colore, che tepido sugo di midolla impiastriccia; sonni che non sai se di morte oppure di vita fetale; iridescenze di peritoneo su fallici gonfiori di frutti; chiome intrise di miele e di polline; schiume di latte materno; poltiglie di tenebre slabbrate dai lumi d'umide vive mucose - l'obbiettività integrale del naturalismo di Levi spolpa le cose dai fittizii regni animale vegetale minerale (nomi, non regni esistenti) sino a ridurre la loro costituzione alla materia d'un unico macrocosmo, spremente dalle proprie viscere la calda melma della propria vita.
Altra cosa è cogliere la realtà del prodursi del nascere cosmico per via di schemi concettuali: altra cosa è coglierla mediante quell'intuitiva immedesimazione della soggettività con l'oggettività, che sola è possibile per mezzo dell'arte ed in ossequio a quegli interessi che solo all'arte appartengono. Del resto, se un paragone è ammissibile tra la pittura e la poesia, nel caso di Levi si può pensare soltanto ad una segreta sua identità d'intenzioni con l'epica, anziché con la lirica, per l'oggettività e l'ostensività della sua pittura, mirante all'evidenza dell'essere, e per l'essenza d'ogni voglia di confessarsi - inconfondibile caratteristica.
La conoscenza preconcetta delle cose astratte e positive, che pure ha costituito una pretesa di scuole e di capiscuola, sarebbe qui fuor di luogo ed assolutamente sterile tanto al produrre l'arte quanto all'intenderla. Il naturalismo essenziale di Levi tende a rilevare - come valore comprensibile pittoricamente la più interiore genetica essenza delle diversificate forme del reale, in un linguaggio che la ragione non può comprendere discorsivamente esso vuole esprimere in pari tempo una esperienza profonda, in tutta libertà da ogni ispirazione od intenzione precostituita.
La lontananza, dal metodo intuitivo ed irrazionalistico di visione del mondo e dei valori pittorici nell'arte del Levi, d'ogni previo divisamento ipotetico, potrebbe far ricordare la parabola schopenhariana del sonnambulo, che proferisce luminose risposte su argomenti dei quali, allo stato di veglia, non sa più nulla.
Forse l'imminenza di questo concetto è consentanea a quanto vi ha di più inquietante, di più intimamente misterioso, nelle asserzioni iper-naturalistiche dei dipinti di Levi. Ma il risultato complessivo di questi dipinti, e la loro stessa spontanea piacevolezza - prodotta da una vibrante e sottile contestura sinfonica che un'attenzione esercitata trova subito immedesimata nella pastosa e tentacolare massa compositiva dei singoli pezzi - possono meglio farci indovinare in lui una suprema consapevolezza dell'arte come "giuoco" della finalità dell'arte come "spettacolo". L'ordine, che si può scoprire sotto il disordine apparente, il tumultuoso dibattersi, che si risolve in un accordo di prontamente accessibile evidenza, il risorgere, al di sopra d'un irriposato urgere di forme attraverso gli spazi, del riposo e della beatitudine del non-Essere (o "Essere" soddisfatto) circolante in sovrana solitudine fuori dai luoghi e dai tempi, appaiono allora come un termine, come una risoluzione, mentre non avremmo potuto accettarli come uno schema o come una direttiva preliminare.