Joe Colombo e l’invenzione del futuro
di Roberto Zanon
Prima Sezione
Progetto di Architettura
Cesare - in arte Joe - Colombo moriva nel 1972 all’età di 41 anni. Trentatré anni dopo, alla figura del designer scomparso, la Triennale di Milano, in collaborazione con il Vitra Design Museum di Weil am Rhein, dedica un’antologica dal 16 settembre al 18 dicembre 2005; la più completa che sia mai stata organizzata, a testimoniare che il messaggio lasciatoci è ancora vivo e contemporaneo. Non poteva che essere così vista la mole di progetti ancora del tutto attuali presenti nel mercato e il titolo dell’esposizione: "Joe Colombo: inventing the future" riassume il concetto egregiamente. Sbilanciato verso un mondo futuribile egli ha saputo realmente precorrere i tempi tant’è che le molte sue realizzazioni, anche quando rese obsolete dalla tecnologia, dalle normative o dai materiali, posseggono un significato le cui valenze rimangono perfettamente intonse. "Era l’uomo del futuro e oggi è l’uomo del presente" così ha concluso l’intervento di presentazione Ignazia Favata, sua ex assistente di studio, nell’illustrazione della rassegna. Un personaggio portatore di un messaggio assoluto, indiscutibile, "concreto" e al contempo "visionario".
Seconda Sezione
Isola con le lampade in primo piano e isola con le sedute sullo sfondo
Appellativi giustificabili dal fatto che oltre ad essere riuscito a vedere più avanti di tutti negli anni a lui futuri, ha anche e comunque avuto un riscontro immediato nella sua contemporaneità. La lettera in esposizione riportante le alte royalty maturate in un solo trimestre nelle vendite di un suo prodotto stanno perfettamente a testimoniarlo.
Seconda Sezione
Isola con le lampade
La mostra approntata alla Triennale ben documenta questa personalità fallendo però completamente nell’apparato allestitivo. È come fare un dolce al cucchiaio; se gli ingredienti, nella giusta quantità, sono buoni non può che risultare piacevole anche il risultato, ma è la sapienza del pasticcere che riesce a rendere sinergiche le peculiarità e potenzialità dei singoli ingredienti per confezionare il "manicaretto" finale. Davide Rampello, il presidente della Triennale, aveva accennato, introducendo l’evento, ad un "allestimento sofisticato"; definizione questa che nasconde, forse una implicita, inconscia (?), critica negativa. Quello che è debole non è tanto l’impianto "museologico", bensì l’aspetto "museografico". Il racconto dell’opera di Joe Colombo è stato infatti ben organizzato da Mateo Kries del Vitra Museum in quattro sezioni: gli ‘50 con la formazione artistica all’Accademia di Belle Arti; gli anni a cavallo tra ’50 e ‘60 quando dal progetto architettonico inizia a focalizzare l’attenzione sul mondo degli oggetti; il decennio successivo in cui concentra le proprie visioni sul prodotto; l’ultimissimo periodo della sua vita quando l’attenzione verso l’artefatto si amplifica fino al contenitore ed alle relazioni spaziali che si innescano con gli arredi.
Seconda Sezione
Teca espositiva
Ciò che non regge è l’interpretazione del "supporto", il modo in cui questa storia è raccontata. Il ruolo dell’allestimento in questo caso è di coinvolgere, di legare il valore comunicativo dei singoli manufatti per innescare delle relazioni spaziali che permettano una lettura amplificata rispetto al contesto nel quale gli stessi prodotti siamo abituati a vedere tutti i giorni. E tale dovrebbe anche essere il ruolo di una mostra come questa, altrimenti il rischio è di allestire uno show room di arredamento, in questo caso "monografico", con l’opera di uno dei più capaci designer che la giovane storia della disciplina ci ha offerto. Non era certo un compito facile, però bisognava ci fosse il coraggio di rischiare, di coinvolgere nel progetto di allestimento qualcuno di altrettanto "esuberante", magari Philippe Starck, visto che più volte i due sono stati accomunati in termini di "esplosività" creativa.
Terza Sezione
Gli anni della maturità
Sicuramente il problema di rendere la mostra itinerante – indiscutibile atteggiamento contemporaneo che finalizza gli sforzi di più istituzioni portando l’esposizione in contesti variati – e quindi necessariamente flessibile ha condizionato il progetto, ma questa è solo un’attenuante. La storia delle esposizioni temporanee ci dimostra più volte come con questo stesso vincolo siano state messe in opera delle strutture esemplari in termini allestitivi. La carenza è quindi riscontrabile nei termini puramente progettuali da parte dello studio Dieter Thiel che ha curato l’ allestimento.
Quarta Sezione
Letto cabriolet e mobile Rotoliving
All’inizio è stata posizionata una struttura lignea a graticola che accoglie modelli, foto, disegni, anche un video posizionato ad una improbabile altezza, ingabbiati in una costruzione non solo deja-vue, ma anche scoordinata rispetto al successivo ambito scandito dalle forme del cerchio. Qui sono state collocate tre pedane circolari poste leggermente inclinate su una base sferoidale con appeso dall’alto, in corrispondenza della prima di queste, un elemento con la stessa forma però orientato verso il basso. In queste isole sono stati riuniti nella prima i progetti di lampade e lampadari mentre nelle altre sue una serie di sedute e poltrone. Il colore grigio scuro di queste strutture alternato alla laccatura lucida del piano di una delle pedane, l’assenza di un controsoffitto che contenga tutto l’ambito della sezione, la presenza di un singolo sparuto piccolo monitor posto ancora inspiegabilmente in alto, il collocamento di sofisticate – queste sì – teche tridimensionali in plexiglas e legno (con documenti, schizzi, immagini e modelli) hanno lasciato il luogo in balia di sé stesso.
Joe Colombo
Sedie modello Universale, 1965
Questo ha influenzato non tanto la percezione degli oggetti, ma le potenzialità espressive che essi avrebbero avuto se coinvolti in un contesto interpretativo. Viene qui eclissato il ruolo della disciplina che sembra essere relegata alla creazione di ambienti astratti e allontananti, assolutamente non giustificabili. Nella terza sezione della mostra ritorna la matrice del quadrato ricreando implicitamente un environment di ascetiche assonanze giapponesi, nulla di più lontano dal connotato impiego e controllo della geometria in possibili articolazioni spaziali presente nell’opera di Joe Colombo. Nell’ultima parte è presente la delusione più grossa. La possibilità di coinvolgere in un volume appositamente costruito (o ricostruito) le ultime congetture tridimensionali del designer milanese non sono per nulla state surrogate dalle pur belle e piacevoli gigantografie relative all’Habitat Visiona del 1969 a Colonia. Qui il discorso sullo spazio e il rapporto che il contenitore instaura con gli oggetti viene a cadere proprio per la mancanza dell’involucro. Il letto Cabriolet e il mobile Rotoliving esposti sopra una banale pedana rossa hanno perso ogni valore spaziale. Si rischia lo scivolone interpretativo che dal complesso ambito dell’architettura degli interni capitombola nella soggettività lasciata all’arredatore, antitesi della figura progettuale di Joe Colombo che l’esposizione qui vuole suggellare.