Renato De Fusco su i gioielli di Elviro Di Meo ed Antonio Rossetti
Uno storico francese Henry Focillon ha detto che la nozione di forma non è
separabile da quella di materia. Poiché la forma non agisce come un principio
superiore su una massa inerte, ma su una materia con determinate
caratteristiche, queste ultime condizionano la forma stessa, tanto da poter
“sostenere che la materia imponga la propria forma alla forma”.
Da questa intima relazione discendono alcune significative conseguenze. Le materie
hanno “una certa vocazione formale”, una loro particolare natura che influisce
sulla vita delle forme. In questo processo dialettico forma-materia, “quelle
materie così bene caratterizzate, così suggestive ed anche così esigenti
riguardo alle forme dell'arte sulle quali esercitano una specie d'attrazione,
si trovano da queste, di rimbalzo, profondamente modificate”; donde la notevole
distinzione tra materia dell'arte e materia di natura, tra forme artistiche e
forme naturali. Analogamente alla relazione tra forma e materia, l'autore
stabilisce quella tra la nozione di materia e la nozione di tecnica.
Considerandole inseparabili, definisce la tecnica “una poesia tutta di azione”,
ovvero il “mezzo delle metamorfosi” che si presentano a caratterizzare il
dinamico processo della vita delle forme.
Mi pare che le riflessioni di Focillon siano abbastanza appropriate al discorso
sui gioielli degli amici Di Meo e Rossetti. Intanto va detto che la loro
materia non è quella preziosa dei gioielli tradizionali - si associano alla
popolare cantata: “non ti potevo dare brillanti ed oro quello che volevi tu per
fare la signora” - ma per lo più è una materia povera: la plastica, il
lamierino, tutt’al più il bronzo. Ecco allora che il solo artificio, il fare ad
arte, rende preziosi gli oggetti, portatori di gioia, quindi gioielli.
L’adozione di materiali poveri comporta anzitutto che all’arbitrarietà iniziale di ogni
lingua ed arte si possa accedere senza il vincolo del risparmio e dei costi
propri di un materiale prezioso, da qui una maggiore libertà della fantasia; in
ciò consentendo col vecchio Veblen che criticava l’identificazione di bellezza
ed alto costo caratteristica della “classe agiata”.
Evidentemente non è solo il pregio dell’arte povera ad identificare i lavori della ditta
Gioielli 2000, né si tratta di una novella alchimia; essi hanno altre valenze;
non a caso si parla di architettura che, tra l’altro, è l’arte della
proporzione, dei rapporti, dell’orchestrare forme e materie diverse. Tali sono
infatti i contrassegni dei gioielli in esame, architetture, per così dire,
dell’età della miniaturizzazione.
Beninteso, questi gioielli non intendono fare la concorrenza ai gadget pluriuso o ai
microcips dei telefonini cellulari che, tra l’altro, sono diventati oggi anche
oggetti decorativi e da status symbol; infatti Di Meo e Rossetti non
disdegnano di progettare monili dalla forma più ampia che, peraltro, consentono
nuove espressioni. A differenza, poniamo, degli anelli la cui forma consente
solo articolazioni plastiche e/o simboliche, i monili e le “targhe” danno la
possibilità di articolare figure significative, addirittura narrative a mo’ di
sculture di bassissimo rilievo, i cosiddetti stiacciati, una tecnica cara a
Donatello.
Altra caratteristica degli oggetti di cui ci occupiamo sta nel rapporto della loro
gratuità con la prevalente componente prestazionale di tutto quanto si produce
nel campo del design. Questa reazione all’arte utile, all’usa-e-getta, al gesto
obbligatoriamente interessato, all’ipertelia, si motiva soltanto pensando ai
gioielli 2000 con la corbusiana espressione object à réation poetique.
Certo, è difficile oggi difendere l’”inutile indispensabile”, ma questo è certamente
preferibile al gusto oscuro eppure tanto diffuso dei piercing, dei tatuaggi,
del graffitismo di cui sono pieni i muri delle nostre città.
Renato De Fusco
Breve Profilo del Prof. Renato De Fusco
Architetto, nato a Napoli, è professore emerito di “Storia dell'architettura” presso
l’omonima Facoltà della Federico II di Napoli. Ha insegnato “Storia del design”
presso l’Istituto universitario Suor Orsola Benincasa. Dal 1964 ha fondato e
diretto la rivista “Op.cit.” di selezione della critica d’arte contemporanea
(dedicata all’architettura, al design, alle arti visive). Premio Inarch per la
rivista nel 1967; premio Inarch alla carriera nel 2001. Dirige la collana di
critica dell’architettura e design della Franco Angeli di Milano; quella di
storia dell’architettura e design della Liguori Editore di Napoli; quella
dell’ADI (Associazione per il Disegno industriale) e la collana dei “Trattati
per l’architettura moderna” della Editrice Compositori di Bologna. Ha curato
tutte le voci dell’architettura, delle arti figurative e del design del Grande
Dizionario Enciclopedico, UTET, 1984. Ha ideato i due volumi dal titolo Gli
strumenti del sapere contemporaneo e redatto le voci architettura, arti
figurative e design, UTET, 1985. È socio onorario dell’ADI.
Le date principali del suo curriculum sono: 1953 laurea in architettura; 1954 fa
parte del MAC (Mavimento arte concreta), studia con Zanuso, collabora alla
“Casabella-continuità” di Ernesto. N. Rogers; 1955 entra nell’Istituto di
Storia dell’architettura dell’Università di Napoli, diretto da Roberto Pane;
1961 libera docenza in “Caratteri dell’architettura moderna”; 1972 vince il
concorso per ordinario di “Storia dell’architettura”; 2008 riceve il Premio
alla Carriera del “Compasso d’Oro ADI”.
Memnoteca Turrita / Towered Memory Shrine
Project: Elviro Di Meo, Antonio Rossetti, Architetti
Ph.: Patrizio Tesauro
Castelli, miniature, astri e alchimia, quattro elementi scelti a rappresentare la civiltà
del Trecento a Padova. Ambiti privilegiati in cui le capacità tecniche,
artistiche e scientifiche raggiunsero esiti formali straordinari, diventano la
fonte di ispirazione per le creazioni orafe della rassegna “La Padova carrarese
nel gioiello contemporaneo”. In questo clima favorevole allo sviluppo e alla
ricerca della creatività, si innesta il progetto della mostra-concorso
(Oratorio di San Rocco, 13 Maggio - 17 Luglio 2011) dedicata al grande maestro
Mario Pinton, che l’Amministrazione Comunale vuole onorare con questa prima
edizione del Premio Internazionale a lui intitolato. Più di sessanta autori,
provenienti da tutto il mondo, si confrontano su un tema che, pur sottolineando
un aspetto prettamente locale, dimostra come possa ritenersi internazionale la
produzione artistica: un esperimento estremamente positivo di interazione e
sincretismo tra una pluralità di linguaggi. “Memnoteca Turrita/Towered Memory
Strine” è il gioiello creato dagli architetti Elviro Di Meo e Antonio Rossetti.
“L’immagine della Padova medievale non può essere raffigurata come quella di un
‘intero’, ma come la ricucitura di frammenti: quasi una memnoteca. Una teca
nella quale vengono riposti questi frammenti che ci ricordano, ci fanno
assaporare il ‘senso’ di quella che fu la Città medievale, ma non il suo
‘significato’ reale. Il nostro piccolo oggetto, un pendente in ottone crudo, è
dunque una metafora”. Una piastrina, una sorta di rettangolo aureo, in cui,
come in uno “stiacciato masaccesco”, vi sono i merli delle mura, un brano del
Palazzo della Ragione, e una porta di città; dove, geometrizzato, è inserito lo
stemma dei Carrara. Questo è impreziosito con piccoli granati, perché prezioso
fu per Padova l’avvento della Signora dei Carraresi.