Biografie

Marino Marini

Marino Marini

Marino Marini nasce a Pistoia il 27 febbraio 1901. A sedici anni si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Firenze, dedicandosi in un primo tempo al disegno e alla pittura; alla scultura si avvicina solo a partire dal 1922.

Nel 1929 si trasferisce a Milano, chiamato da Arturo Martini ad occupare la cattedra di scultura presso la scuola d'arte di Villa Reale a Monza. Dello stesso anno è la prima importante scultura, Popolo, in terracotta , con la quale Marino si rivela al pubblico e alla critica.

Nel 1931 realizza Ersilia, una scultura in legno policromo considerata una delle opere fondamentali e nel 1932 presenta a Milano la sua prima personale.

La sua opera comincia ad ottenere i primi riconoscimenti importanti con la partecipazione alla Quadriennale di Roma; alla II Quadriennale nel 1935 vince il primo premio per la scultura.

Nel 1936 compare il Cavaliere, un'opera di notevole significato anche per la successiva evoluzione della ricerca, di cui Marino realizza due versioni, una in bronzo ed una in legno, ora in Vaticano.

Nel 1938 incontra Mercedes Pedrazzini, che sposa alcuni mesi più tardi e che chiamerà affettuosamente "Marina" quasi a sottolineare il legame che unirà entrambi per tutta la vita.

Nel 1943 Marini si rifugia nel Canton Ticino insieme con Marina: sono, questi anni di esilio, particolarmente importanti per l'artista: in Svizzera conosce e frequenta alcuni grandi maestri dell'arte contemporanea - Giacometti, Wotruba, Otto Bänninger, Haller, la Richier - la cui opera concorre all'approfondimento dei suoi temi e della sua ricerca.

Il

Il giocoliere, 1940

Continua in questo periodo il ciclo delle Pomone, figure femminili simbolo di fecondità, un tema già avviato nel 1935. Con l'Arcangelo prende forma anche la serie dei Miracoli, opere che scaturiscono dall'angoscia, dal dolore, dalla distruzione che la guerra e la violenza provocano all'umanità e di cui Marini sente profondamente il peso. L'anno successivo al suo rientro in Italia (1947) sarà per lui decisivo: partecipa alla XXIV Biennale di Venezia con una sala personale e, nell'occasione, stringe profonda amicizia con Henry Moore; nello stesso periodo incontra il mercante americano Curt Valentin, che lo invita negli Stati Uniti e gli organizza una grande personale a New York ed una serie di esposizioni che contribuiscono a far conoscere la sua opera nel mondo.

L'arte di Marini è ormai nella più alta considerazione: nel 1952 ottiene il Gran Premio Internazionale di Scultura alla Biennale di Venezia, nel 1954 il Gran Premio Internazionale dell'Accademia dei Lincei di Roma, nel 1959 esegue la grande composizione equestre, alta ben cinque metri, destinata ad una piazza dell'Aja. Si susseguono poi numerose mostre - a Monaco, Rotterdam, Stoccolma, Copenhagen, Oslo, Helsinki - che culminano con le grandi antologiche al Kunsthaus di Zurigo nel 1962 e in Palazzo Venezia a Roma nel 1966.

L'atrio

L'atrio del Museo Marini a Pistoia

Giocoliere

Giocoliere e cavalli, 1950

Il

Il Fondale, 1953

Nel 1968 riceve a Göttingen la più alta onorificenza tedesca con la nomina a membro dell'Orden pour le Mérite fur Wissenschaften und Kunst.

Nel 1976 alla Nuova Pinacoteca di Monaco di Baviera gli viene dedicata una sala permanente e nel giugno del 1979 nelle sale del Palazzo Comunale di Pistoia si inaugura il Centro di Documentazione dell'Opera di Marino Marini, che raccoglie oltre i disegni e le incisioni, la grande scultura Miracolo ed altre opere di formato minore, una biblioteca specializzata, una fototeca ed una videoteca che documentano la vita e le opere dell'artista

Marini muore a Viareggio il 6 agosto 1980.


La poetica
La figura di Marino Marini risulta una delle più interessanti all'interno del panorama culturale ed artistico italiano di questo secolo. Negli anni '30-'40 Marino conduce una ricerca rivolta all'elaborazione di una forma“pura”, mediante il recupero e la rielaborazione in chiave moderna della tradizione etrusca e medioevale. La sorella Egle, poetessa scrive di lui:“Marino nasce mediterraneo nella conca tirrena, terra di antica vena in cui egli affonda le sue radici fisiche e morali e ove insistono l'amore per il campo, l'ombra serena di Giotto, la scarnità umana di Masaccio e quella dell'agitato modernissimo Pisano”. Il tema del cavaliere che si configura in questi anni, sarà una costante della sua opera, quasi un segnale simbolico della sua personale visione del mondo. Come lo stesso Marino amava dire,“c'è tutta la storia dell'umanità e della struttura nella figura del cavaliere e del cavallo; in ogni epoca di essa. All'inizio vi è un'armonia fra essi, ma alla fine, specie dopo l'ultima guerra irrompe violento fra di essi il mondo della macchina, che frattura questa simbiosi in maniera drammatica ma non meno viva e vitalizzante”. Infatti, a partire dal 1943 è possibile verificare segnali di cambiamento nella resa plastica del tema: le forme si aprono, diventano violente, piene di tensione; il rapporto fra cavaliere e cavallo diventa drammatico, conflittuale. Nel dopoguerra Marino accentua la tensione dinamica delle sue opere, giungendo alla deformazione, a superfici scabre e scarnite. Il tema della Pomona, simbolo della fertilità, della femminilità prosperosa ed accogliente, lascia il posto in questi anni a figure legate al mondo del circo e del teatro: giocolieri e ballerine sono caratterizzati da forme allungate, fortemente espressive, accentuate da tracce di colore che talvolta le rendono inquietanti. La serie dei Cavalli e Cavalieri vede le figure del gruppo fondersi, costituire blocchi dalle forme scarnificate, dense di pathos. Questa fondamentale variazione stilistica rispecchia una violenta variazione nella visione delle cose in Marino Marini. L'episodio della guerra lo colpisce fortemente, l'uomo perde dignità, valore.“si costruì, si distrusse/un canto desolato restò nel mondo”: con questa citazione letteraria Marini rispose ad un amico che gli chiedeva quale idea poetica simboleggiasse un'opera che stava nascendo in quel momento. Ed è sempre Marino che racconta:“(..) io, nato sereno, in un clima tranquillo, nel segno di un'educazione sicura e, da un certo punto di vista estetico, perfetta, sono entrato nel mondo delle agitazioni del ventesimo secolo e, attraverso queste agitazioni, ho cambiato la forma, l'espressione della mia scultura...”.( Marino Marini, citato da Erich Steingraber, in Marino Marini pittore, Priuli e Verlucca, 1987, p.IX) Anche nella grafica e nella pittura di Marini si verifica un cambiamento in chiave espressiva; il colore diviene più brillante, corposo e si tramuta in simbolo. Le forme, anche sulle tele, si disgregano. Non raccontano, non descrivono ma evocano. In questo senso lasciamo la parola a Marino:“Come nell'amore, nell'arte non si può spiegare tutto, certe parti rimangono nell'ombra luminosa del mistero.”( Marino Marini citato da Lorenzo Papi, in Marino Marini pittore, Priuli e Verlucca, 1987, p.XIII).


La critica
Gianfranco Contini, sostiene che Marino Marini sia stato dotato di una“mentalità scultorea”, e porta a sostegno della sua affermazione contributi critici illustri come quello di Vitali, che vede nell'opera di Marini una aspirazione a una rappresentazione del dato naturale che giunga a un assoluto plastico; o ancora, di Argan, che evidenzia il superamento del conflitto fra plastica dei volumi e plastica impressionistica. Inoltre, secondo Guido Giuffrè, nel video “La grande arte” anche in video:“nessuno come Marino in questo secolo realizzò la tradizione nella modernità”. La tradizione, tiene a sottolineare Giuffrè non è per Marino pedissequa fedeltà al passato ma“ fede in certi valori, valori del mondo, dell'uomo, della storia, un certo modo di vivere, una certa considerazione della vita e delle sue vicende”. La modernità di Marino è per Giuffrè“ consapevolezza del proprio tempo” intesa come adesione completa a nuovi criteri, nuovi valori, al pensiero contemporaneo. Del resto, Georg Picht in Kunst und Mythos( Struttgard 1987), sostiene che“l'arte anche nel XX secolo vive di esperienze mitiche”. E Werner Haftman sottolinea che l'opera di Marino va proprio vista in questo senso.“Anch'essa - scrive Haftman - appartiene ai massimi livelli dell'arte moderna, che trovavano le loro immagini e le loro forme a partire da esperienze fondamentali mitiche.” Marino Marini, come ricorda Haftman, si definiva spesso “un discendente degli etruschi” e quando, “tentava di imitare i loro gesti come per spiegare meglio ciò che volevano dire, allora diventava un'unica cosa con le sue creature, anch'egli di questa razza particolare dall'origine remota”. In sostanza, la“definizione di una risolutiva figura mitica archetipica è il compito autentico che Marino Marini si propone di affrontare attraverso la sua scultura”. Un capitolo a parte meritano i ritratti eseguiti da Marino Marini. Guido Giuffrè a questo proposito scrive:“le teste, cioè i ritratti che Marino ha saputo fare, non erano delle sculture ma dei romanzi completi”. E lo stesso artista scrive che dopo aver fissato gli elementi formali essenziali“bisogna entrare nello spirito del personaggio: qui è la difficoltà di immaginare questa fisionomia nello spazio dell'umanità, cioè quello che rappresenta riguardo agli altri uomini, alle altre personalità umane; detto questo è tutto fatto. Questa verità deve resistere in me fino a completare l'opera ritrattistica. (..) esaurito questo compito, piazzato il soggetto nel regno dei morti che rimangono vivi, consegno la mia opera”.