Arte

Le meraviglie di Venezia. Dipinti del '700 in collezioni private
Un percorso tra dipinti di storia, ritratti, scene d'interni, paesaggi: immagini di Venezia nel Settecento di Annalia Delneri
Vedute esatte e vedute ideate da Carlevarijs a Bison di Dario Succi

Vedute esatte e vedute ideate da Carlevarijs a Bison

di Dario Succi
Curatrice della mostra Le meraviglie di Venezia. Dipinti del '700 in collezioni private (Gorizia - Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia - Palazzo della Torre - Dal 14 marzo al 27 luglio 2008)

Estratto dal testo in catalogo Marsilio

Le origini del vedutismo veneziano affondano in quella tradizione pittorica che allo scadere del Quattrocento aveva trovato in alcuni grandiosi dipinti di Gentile Bellini e di Vittore Carpaccio le prime accurate raffigurazioni dello splendore delle costruzioni architettoniche della città. Nella Processione in piazza San Marco di Bellini e nella ripresa dell'area realtina con l'antico ponte ligneo sul Canal Grande nel Miracolo della reliquia della Croce di Carpaccio (Gallerie dell'Accademia, Venezia), la città lagunare, pur svolgendo il ruolo di fondale scenografico dei celebrati eventi miracolosi, viene resa con una esattezza che conferisce a quei grandiosi teleri il ruolo di straordinari documenti iconografici. La Processione belliniana ci restituisce l'assetto quattrocentesco della piazza con l'Ospizio degli Orseolo sull'area delle erigende Procuratie Nuove mentre sulla facciata della basilica di San Marco le immagini degli sfolgoranti mosaici originali - in seguito sostituiti - risultano perfettamente leggibili.

Francesco Guardi - Il Palazzo Ducale dal Bacino di San Marco - Olio su tela, 54,7x72 cm

Francesco Zuccarelli -  Paesaggio fluviale con pastorelle e armenti - Olio su tela, 116,8x132,1 cm

Giovanni Antonio Canal detto Il Canaletto - Il Molo e il bacino di San Marco -  Olio su tela, 53,4x70,8 cm

Bernardo Bellotto - Il Canal Grande dal Campo di San Vio al bacino di San Marco - Olio su tela, 55,5x80,6 cm

Michele Marieschi - L'isola di San Giorgio con la punta della Giudecca - Olio su tela, 58,4x86,4 cm

Nel Cinquecento gli inserti vedutistici, raffiguranti quasi sempre l'area marciana simbolo del potere della Repubblica Serenissima, furono inseriti sullo sfondo di alcuni dipinti, tra cui il ruggente Leone di San Marco commissionato nel 1516 a Vittore Carpaccio (oggi nel Palazzo Ducale), e la pala dipinta da Tiziano nel 1520 per Alvise Gozzi, dove il maestro cadorino ha sinteticamente profilato i Granai di Terranova, il Palazzo Ducale, il campanile e la basilica di San Marco tra i bagliori di un infuocato tramonto. Solo verso la metà del secolo successivo l'interesse per la produzione di vedute propriamente dette cominciò a svilupparsi a Venezia sulla scia di quanto era avvenuto nei paesi nordici: non a caso fu un tedesco trapiantato a Venezia, Joseph Heintz il Giovane (Augsburg 1600 circa - Venezia 1678 circa) l'anticipatore di un genere destinato a un clamoroso successo. Nelle opere di questo poliedrico artista, autore anche di tele religiose e di inquietanti stregozzi, la puntuale descrizione della realtà urbana si accompagna alla messa in scena di feste e avvenimenti della vita pubblica veneziana espressi con una concitazione frenetica, una vivacità cromatica, un gusto cronachistico nella resa delle numerosissime macchiette, destinati ad influire sull'arte di Luca Carlevarijs, il pittore che diede il via alla gloriosa stagione del vedutismo veneziano settecentesco. Durante il xviii secolo la Repubblica di Venezia conosce un periodo di grande splendore nelle lettere e nelle arti, accentua la fama di città del lusso e del piacere, accoglie con prudenza le idee del rinnovamento illuministico provenienti dalla Francia restando ancorata alla mentalità mercantile delle origini, sulla quale aveva basato la volontà di espansione e l'accumulo di enormi ricchezze. Nella prima metà del secolo la città vive in un'alta tensione spirituale: l'ambiente lagunare è una realtà cosmopolita, ricca di fervore creativo, di confronti stimolanti, densa di traffici e di affari e centro di estenuanti diatribe teoriche. Nelle belle arti una folla di specialisti - pittori di storia e di figura, paesisti, vedutisti, architetti, incisori, scultori - e una miriade di imprenditori, di editori, di eccellenti botteghe artigiane, operavano alacremente conferendo alla Dominante la dimensione di emporio internazionale, punto di diffusione di migliaia di dipinti, incisioni e opere d'arte che raggiungevano i più lontani paesi contribuendo in maniera determinante alla formazione dell'idea di Venezia nell'immaginario collettivo.
Mentre la decadenza politica si faceva sempre più incalzante, i nobili - che non si sarebbero mai sognati di pensare che per vivere fosse necessario lavorare - aprivano gli sfarzosi palazzi offrendo al popolo lo spettacolo di una ricchezza abbagliante e di un'atavica propensione ai piaceri, rinchiudendosi contemporaneamente nella difesa dei propri privilegi sociali.
A sua volta la borghesia laboriosa operava nella fierezza della propria condizione e nell'assoluta fedeltà alle leggi della Repubblica, partecipando a feste e spettacoli e compiacendosi, all'occasione, di esibire arredi lussuosi, dipinti aulici dei maestri della tradizione lagunare e scelte figurative non conformiste di paesaggi, capricci, vedute, battaglie, burrasche, nature morte.
Il popolo viveva la propria semplice quotidianità, non priva di piccoli piaceri e soddisfazioni, in un'illusione di libertà che consentiva di dare sfogo, nel lavoro artigiano, al buon gusto estetico e all'innato istinto creativo, godendo della propria condizione sociale e partecipando alla vita cittadina senza porsi troppi problemi.
Nobiltà, borghesia e popolo erano uniti dal gusto per le feste, gli spettacoli teatrali, i divertimenti che si protraevano per buona parte dell'anno con regate, ricevimenti, ingressi ufficiali, sagre parrocchiali. Il palcoscenico di questo grande teatro era costituito dalla città con le sue calli e campielli e, soprattutto, dalla piazza San Marco e dalla contigua Piazzetta dove lo spettacolo rumoroso e coinvolgente raggiungeva l'apice. Su questa complessa realtà urbana e sociale si innestò quasi naturalmente il fenomeno del vedutismo, un genere pittorico che nel Settecento conobbe la sua stagione trionfale e che a Venezia assunse valenze del tutto originali, perché seppe realizzare, soprattutto con Canaletto ma anche con Bellotto, Marieschi e Francesco Guardi, una fusione perfetta tra la particolarissima forma urbis e i relativi abitanti.
Spetta a un artista olandese giunto a Roma nel 1674, Gaspar van Wittel, il merito di aver portato a piena maturazione il genere della veduta, superando quell'attenzione verso il paesaggio romano - carico di fascino evocativo e tendenzialmente interpretato in chiave di vanitas come testimonianza della caducità delle opere umane - che era stato codificato nel rovinismo dei pittori nordici attivi nell'Urbe nel corso del XVII secolo: ad essi era mancato quel legame diretto con la realtà della città contemporanea che si coglie nella serie di incisioni di Giambattista Falda Vedute delle Fabbriche, Piazze, et Strade […], pubblicata nel 1665, che costituì un evento fondamentale per la genesi del vedutismo.
Il viaggio di van Wittel a Venezia, dove soggiornò tra il 1694 e il 1695, fu di importanza ideale perché la sua presenza si intrecciò, sia pure inconsapevolmente, con la storia del grande vedutismo lagunare alla cui nascita contribuì in maniera determinante un artista friulano, Luca Carlevarijs. Vedutista, paesista, incisore, cultore di matematica e di architettura, Carlevarijs operò a cavallo tra Seicento e Settecento in un prisma di interessi che, partendo dall'attenzione per il repertorio ambientale e figurativo dei neerlandesi italianizzanti e dei bamboccianti, riuscì ad individuare soluzioni linguistiche e tagli prospettici destinati a diventare normativi per i successori. Negletti gli aspetti minori, la quasi totalità della produzione ruota intorno alla piazza San Marco, alla Piazzetta e al molo verso l'imbocco del Canal Grande o verso la riva degli Schiavoni. Esiste una netta differenza fra van Wittel e Carlevarijs nel modo di "sentire" la veduta: l'olandese rifinisce accuratamente le sue estese e lucide visioni panoramiche di Roma, Venezia o Napoli, rendendo con lo stesso distaccato registro luministico città molto diverse e privilegiando scorci inusuali, tradotti in immagini di una precisione quasi tagliente; il friulano rivolge l'attenzione ai centri di potere della Repubblica per evocarne il valore mitico-simbolico, concentrandosi nella resa dell'atmosfera particolarissima della città e sull'interesse cronachistico delle macchiette, colte nella realtà degli atteggiamenti quotidiani. Gli edifici, pur esattamente delineati, presentano contorni morbidi e i loro profili in lontananza sfumano in un velo di nebbia. Su questi elementi architettonici, naturali e umani, Carlevarijs interviene operando la sintesi attraverso il valore unificante della luce: per essa la veduta si eleva dal livello di documento dotato di una certa fedeltà topografica a quello di immagine la cui qualità si realizza e si afferma attraverso la poetica riproduzione dal vero della città delle lagune.
Nato a Udine il 20 gennaio 1663 e rimasto a sei anni orfano di entrambi i genitori, nel 1679 il giovane Carlevarijs si trasferì a Venezia insieme alla sorella Cassandra che lo aveva in cura e andò ad abitare in una casa sita sulle fondamenta del Carmine dove rimase per tutta la vita. La vicinanza con il palazzo degli Zenobio e le spiccate doti culturali gli propiziarono la protezione di quella ricca famiglia dalla quale gli derivò il soprannome di Luca da Ca' Zenobio. All'inizio del secolo l'artista era già largamente affermato, come dimostra l'inserimento del suo nome - come pittore di Paesi e di Architettura, e Prospettiva - sia nella Guida de' forestieri inclusa nella seconda edizione (1700) dei Viaggi di Vincenzo Coronelli, sia nell'edizione del 1704 dell'Abecedario Pittorico di Pellegrino Orlandi. Dal 1708 al 1713 e dal 1726 al 1728 Carlevarijs risulta iscritto nei registri della fraglia dei pittori veneziani. Nel 1714 fu a Udine nella sua qualità di "soggetto intendentissimo d'Architettura" per giudicare il progetto della nuova cattedrale. Gli ultimi anni della vita furono amareggiati dall'affievolirsi dell'interesse dei committenti per la sua produzione pittorica in concomitanza con l'affermarsi dell'astro di Canaletto. Colpito da paralisi progressiva nel 1728, morì a Venezia il 12 febbraio 1730.
La pubblicazione all'alba del nuovo secolo, nel 1703, della raccolta di acqueforti Le Fabriche, e Vedute di Venetia dedicata da Carlevarijs "Al Serenissimo Prencipe Luigi Mocenigo Doge di Venezia" fu il vero atto di nascita del vedutismo veneziano. Ricca di centoquattro tavole frutto di un lungo e faticoso impegno, la silloge incisoria si impose ben presto all'intelligenza generale per la peculiarità della sintassi impaginativa, il taglio libero degli elementi compositivi e l'ariosità atmosferica: a quel vastissimo repertorio di vedute di canali, campi, chiese e palazzi attinsero largamente i migliori vedutisti del secolo, da Canaletto a Marieschi, nelle cui tele sono spesso evidenziabili le desunzioni dalle ardite riprese prospettiche del friulano. Allo stesso 1703 risale la prima veduta conosciuta, L'ingresso solenne in palazzo Ducale dell'ambasciatore francese de Charmont (collezione Terruzzi, Bordighera) avvenuto il 29 aprile 1703: la tela, capofila di una nutrita serie di magniloquenti variazioni sullo stesso tema commemorativo, dimostra che Luca Carlevarijs era attivo come vedutista fin dagli inizi del secolo ed era così affermato da potersi assicurare una commissione di grande prestigio. Pur non essendo un protagonista, il pittore friulano contribuì in maniera decisiva alla svolta antibarocca dell'arte veneta incanalando la tematica paesistica e lo spazio prospettico in direzione di quella poesia atmosferica che costituì una delle più alte conquiste del Settecento veneziano. Per questo specifico ruolo Carlevarijs va considerato come personaggio tutt'altro che secondario in quel processo emancipativo del vedutismo veneziano che indusse gli artisti, più che a riprodurre fedelmente gli aspetti della città, a elaborare delle immagini equivalenti e soggettive.

Gorizia, 13 marzo 2008