Arte

Trastevere. Societą e trasformazioni urbane dall'Ottocento ad oggi
La storia di Trastevere. Una chiave di lettura essenziale per la comprensione dei caratteri e dell'evoluzione di Roma cittą tra Otto e Novecento di Carlo M. Travaglini
Un profilo di lungo periodo: eventi e modificazioni del tessuto urbano di Trastevere di Keti Lelo e Carla Mazzarelli

La storia di Trastevere. Una chiave di lettura essenziale per la comprensione dei caratteri e dell'evoluzione di Roma città tra Otto e Novecento

di Carlo M. Travaglini

Inaugurazione del ponte di Ferro ai Fiorentini, con personaggi in posa, 1863

G. Altobelli
Inaugurazione del ponte di Ferro ai Fiorentini, con personaggi in posa, 1863
Archivio Fotografico Comunale

L'obiettivo della mostra su Trastevere è quello di contribuire a diffondere la coscienza dell'importanza fondamentale della storia urbana, della memoria, in definitiva della conoscenza, nell'analisi e nella progettazione della città contemporanea. Al di là di tante, e sovente giustificate, polemiche sull'assenza di qualità in molta architettura contemporanea e sul significato stesso del termine "qualità" con riferimento a contesti diversi, sembra a noi pregiudiziale e assai più fondato sul piano metodologico affermare il primato della conoscenza come base per corrette pratiche ed innovazioni urbane.

Il progetto su Trastevere è parte di un percorso di ricerca avviato da alcuni anni - l'Atlante di Roma moderna e contemporanea - che, sia pure per segmenti e sperimentalmente, sta trovando sue modalità organiche di messa a punto e di sviluppo.

Naturalmente è legittimo l'interrogativo: per quale ragione si è oggi scelto Trastevere? Fondamentalmente perché questo rione è una chiave di lettura essenziale per la comprensione dei caratteri e dell'evoluzione della città tra Otto e Novecento, anche per il periodo pontificio e non solo per quello post-unitario.

Nella Roma pontificia è un rione "fedele", ma pronto all'agitazione e alla protesta; densamente popolato, con pochi palazzi nobiliari e una diffusa edilizia comune, con molte chiese, monasteri, conventi, ed una altrettanto estesa presenza di ospizi, conservatori, ospedali, confraternite. Dopo il 20 settembre continuerà ad essere un rione povero, industrioso, caratterizzato da una sociabilità vivace, fatta di vita di strada, di luoghi di incontro (associazioni, osterie, feste); un rione con un'importante presenza di militari e di strutture di reclusione; un territorio, infine, con una significativa attività di istituzioni assistenziali, solidaristiche, educative e un luogo importante, soprattutto nel secondo dopoguerra, per la produzione e la sperimentazione culturale. Con il Gianicolo, poi, da sempre osservatorio privilegiato sulla città e nel 1849 teatro dell'eroica difesa garibaldina, Trastevere assurge a luogo della memoria della nazione.

Un luogo dunque strategico che anche il fascismo ha cercato di conquistare in vari modi: da alcuni interessanti interventi (l'edificio della GIL di Moretti), all'insediamento del Ministero della Cultura popolare e dell'Accademia d'Italia, dall'istituzione della Festa de' Noantri, in parallelo ai più tradizionali festeggiamenti religiosi, all'acquartieramento dei Battaglioni "M", fino alla grande innovazione del progetto di una città delle accademie, che avrebbe dovuto aprire - attraverso un'ampia serie di demolizioni - una nuova prospettiva urbana, dalla Chiesa Nuova alla sommità del Gianicolo. Ma vi è anche un altro motivo nella scelta di Trastevere ed è legato al fatto che lo studio di questo rione si colloca su una linea di continuità - certamente non solo di tipo spaziale - con un nostro precedente lavoro sull'Ostiense-Testaccio, e permette di riproporre e sollecitare tanti spunti di riflessione su due questioni a noi particolarmente care: Roma produttiva e il rapporto tra la città e il fiume, tema, quest'ultimo, ancora oggi tutt'altro che risolto sul piano di un'efficace integrazione e vivibilità urbana, e che deve costituire uno dei grandi impegni progettuali della Roma contemporanea. L'area di riferimento della mostra è il rione nella sua configurazione tradizionale e con un'attenzione ai confini, specie a quello sud-occidentale che costituisce, con il polo ferroviario e la collina di Monteverde, la zona di naturale espansione oltre le mura.

Cercare di rappresentare quasi esclusivamente attraverso le immagini oltre un secolo e mezzo di trasformazioni sociali e del tessuto urbano di un rione come Trastevere, che costituisce per vari aspetti, come si è visto, uno dei luoghi simbolici della città, non è stata impresa facile, specie potendo contare su risorse limitate. Se questo studio si è potuto portare a compimento, ciò è

dovuto esclusivamente ad un lavoro collettivo e ad un'ampia rete di collaborazioni scientifiche sviluppata nel tempo con numerose istituzioni culturali italiane e straniere.

La mostra fotografica è articolata su due sedi e tempi diversi - Museo di Roma in Trastevere (15 dicembre 2007-24 marzo 2008) e American Academy in Rome (14 febbraio-15 marzo 2008) - ma è frutto di un unico disegno organico, come è evidenziato anche dall'unicità del catalogo e dalla sua stessa struttura.

Il Museo di Roma in Trastevere - sede quanto mai naturale per questa iniziativa - ospiterà la parte quantitativamente più corposa dell'esposizione articolata nelle prime cinque sezioni, dedicate, rispettivamente, a tracciare un profilo di lungo periodo delle trasformazioni del territorio, segnalando i principali eventi e modificazioni del tessuto urbano; a rimarcare la consistenza di un pregevole patrimonio culturale, che si distingue non solo per alcune straordinarie emergenze ma anche per un particolare paesaggio urbano che ha delle caratteristiche uniche per la città, sia nel tessuto edilizio e nella trama viaria di origine medievale di alcuni settori sia nel Gianicolo e nelle sue pendici da S. Pietro in Montorio a S. Onofrio; a raccontare il cruciale rapporto con il fiume, la gettata di nuovi ponti, che profilano riassetti urbanistici e linee di espansione, ed anche il profondo modificarsi, l'affievolirsi di questo rapporto con la costruzione della grande barriera dei muraglioni. Nelle ultime due sezioni presenti al Museo, dedicate a "Luoghi e forme dell'assistenza, della formazione, della reclusione e della produzione" e a "Società e cultura", è la popolazione che irrompe con maggiore nettezza sulla scena e si possono apprezzare i mutamenti delle condizioni di vita e del costume, nel quadro di una permanente vitalità del rione che conosce nuovi innesti e forme di sperimentazione culturale, specie a partire dagli anni Sessanta del Novecento. La sezione della mostra dedicata al Gianicolo sarà invece allestita negli ambienti messi a disposizione dall'Accademia Americana, anche per offrire, a diretto contatto con lo spazio fisico del colle, una percezione più vivida dei suoi caratteri (anche degli elementi di separatezza e distinzione dal rione e dalla città) e dei valori simbolici che il luogo è andato assumendo nel corso dell'Ottocento (e poi in parte perdendo negli anni a noi più vicini).

Credo non vi sia romano che non abbia passeggiato per le vie di Trastevere, magari per recarsi ad un locale di ristoro o di intrattenimento, oppure che non si sia recato sul belvedere del Gianicolo oppure, ancora, che non abbia percorso il grande mercato di Porta Portese. Per parte mia ho vissuto ripetutamente queste esperienze e ho anche abitato per un anno in via della Lungara; conservo un ricordo vivido dell'immagine dominante del grande monumento equestre di Garibaldi e delle "voci" provenienti dal vicino carcere di Regina Coeli. Tuttavia il momento del mio più intenso incontro con Trastevere e con i trasteverini risale a quando preparavo, sotto la direzione di Amintore Fanfani, una tesi di laurea sulla storia del lavoro a Roma nell'Ottocento pontificio. A quell'epoca il rione era il grande centro produttivo della città, con, in particolare, una diffusa manifattura della lana. La documentazione d'archivio restituiva un quadro che ancora oggi, sia pure in forme e in contesti diversi, presenta elementi di attualità, come nelle agitazioni contro le innovazioni - nello specifico le macchine - considerate come causa di disoccupazione, oppure nella protesta verso la concorrenza dei cosiddetti "pamparampazzi" in una irreversibile fase di decadenza dell'industria tessile romana; i "pamparampazzi" - ci spiegano in una memoria gli imprenditori lanieri romani - "sono Lavoratori del Regno di Napoli, i quali cacciati dalla necessità a procurarsi altrove un sostentamento, abbandonano la Patria e le Famiglie e vengono in Roma a prestar l'opera loro nell'Arte della Lana. Non distratti da cure, sempre timorosi di perdere il pane, assai pratici dell'Arte, instancabili nella fatica esercitano il mestiere indefessamente sempre e più ancora di quello che ne porta la giornaliera obbligazione" (ASR, Camerlengato, parte I, busta 8, fasc. 32 a). Questa identità tra mondo del lavoro e Trastevere si sarebbe mantenuta a lungo, come dimostrano le rare immagini delle manifestazioni operaie dei primi del Novecento al Teatro Cossa o all'Orto Botanico e quelle delle sigaraie a piazza Mastai. Questa digressione è utile a rimarcare il fatto che, anche partendo da un territorio delimitato, i ragionamenti sulla città e sui problemi del presente si possono dischiudere a tutto tondo.

La mostra, come ogni lavoro che trova una sua concretizzazione, è un punto di arrivo; ma a noi piace considerarlo soprattutto come un punto di partenza in più direzioni: verso un nuovo cantiere di studi e verso un dibattito approfondito, capace di coinvolgere saperi diversi, su Trastevere contemporaneo e sul suo futuro possibile.

La perdita nel corso del tempo di alcune centralità (il porto, il mercato ortofrutticolo cittadino, il Centro sperimentale delle Ferrovie dello Stato) e l'affievolirsi di altre (il ruolo della stazione di Trastevere) suggeriscono di puntare sulla tutela e la valorizzazione del grande patrimonio culturale. Si tratta di un'opera impegnativa, che deve tener conto anche della peculiare identità del territorio legata al lavoro (importante è quindi un recupero e un riuso coerente di emergenze di archeologia industriale come l'ex-Arsenale pontificio o l'ex-Centro sperimentale delle Ferrovie) e che è insidiata da un degrado strisciante e, talvolta, perfino da non meditati interventi di riqualificazione urbana. A conclusione di queste note non posso non rinnovare i miei sentimenti di viva riconoscenza ai numerosi colleghi, a partire dai co-curatori della mostra, e alle molte istituzioni che hanno contribuito a rendere possibile questa iniziativa.

Un ringraziamento particolare va poi all'assessore Silvio Di Francia, a Paola Pavan e a Maria Elisa Tittoni per avere accolto il progetto ed averci incoraggiato a realizzarlo nel quadro di un'efficace interazione scientifica e culturale tra università e città.