Arte

Il Nuovo dopo la Macchia. Origini e affermazione del Naturalismo toscano
Il Nuovo dopo la Macchia di Tiziano Panconi

Il Nuovo dopo la Macchia*

di Tiziano Panconi

Conclusasi la ben nota restaurazione macchiaiola, almeno nella sua prima fase di intransigente rigore formale e di sottrazione narrativa, alla metà degli anni sessanta in coincidenza con l'affermazione del realismo francese, in tutta Europa sulla base di una sensibilità condivisa e, come vedremo, in Toscana in modo del tutto speciale, si avviò la modificazione di quella ricerca sperimentale che, per il suo carattere intransigente, aveva prodotto una netta scissione con la cultura figurativa accademica, volgendo nell'arco di un trentennio alla piena affermazione delle filosofie naturaliste.

Adolfo Tommasi, La Portatrice d'acqua, olio su tela, cm 169x109, Proprietà Società Terme Montecatini

Telemaco Signorini, Mercato del Bestiame, olio su tavola, cm 28,5x16, Proprietà Museo della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano

Telemaco Signorini, Mercato del Bestiame, olio su tavola, cm 28,5x16, Proprietà Museo della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano

Telemaco Signorini, Il mercato vecchio di Firenze

Nel breve spazio che mi è riconosciuto cercherò dunque di tracciare un itinerario storico ideale, necessariamente parziale, di quel processo di ammodernamento e di definizione di questo filone espressivo movimentista, conferendo alla riflessione, destinata a un lettore avvertito, un taglio per quanto possibile asciutto, escludendo arbitrariamente, mio malgrado, passaggi ritenuti rilevanti per la cronaca storica ma meno utili alla immediata fruibilità di un discorso necessariamente contenuto entro questi limiti ristretti.
Come dicevamo, una presa di distanze trasversale da parte delle nuove generazioni avvenne a Firenze come a Parigi, continuo contraltare della esperienza artistica italiana di questo secolo, nei confronti delle istituzioni accademiche statali, fiorite nei maggiori centri culturali europei fin dal Settecento e preposte istituzionalmente alla formazione dei giovani artisti, attraverso l'insegnamento della prospettiva, della storia e della mitologia ma, soprattutto, della disciplina del disegno esercitata, prima, per mezzo della estenuante trascrizione dell'iconografia classica, propedeuticamente frammentata in fotogrammi anatomici o in circoscritti insiemi muscolari, poi, attraversando progressivamente le diverse fasi della più difficile copia dei gessi fino alla riproduzione di modelli umani.
Attingendo alla letteratura e alla storia, i celeberrimi professori di accademia - nel collegio fiorentino a cavallo degli anni quaranta e cinquanta spiccavano i nomi di Bezzuoli, Ciseri, Pollastrini, Ciaranfi, ecc. - promulgavano una cifra espressiva di integrale e capillare trasposizione narrativa, subordinata, tuttavia, a canoni compositivi prestabiliti rispondenti, per esempio nel più considerato caso di Bezzuoli, a un archetipo verista di tipo neo-secentesco e neo-barocco, nel quale tele di grande formato erano abitate da personaggi preponderanti, spesso illustri o comunque di estrazione nobiliare, storica o mitologica, contenuti in una salda impostazione luministica di reminescenza caravaggesca. Sull'esempio de L'ingresso di Carlo VIII in Firenze, dipinto da Bezzuoli nel 1829 su commissione del granduca Leopoldo II, nelle elaborazioni più tipiche del quadro letterario o di storia della tradizione accademica toscana, intorno al protagonista principale del racconto era riunito un nutrito gruppo di personaggi che restituivano il senso della narrazione, attestando, con la loro partecipazione corale sottolineata dalla platealità della mimica e della gestualità, l'importanza stessa e il rango dell'alto dignitario rappresentato. Su questo archetipo di figurazione romantica venivano pian piano innescati elementi di novità, quale fu per esempio l'ambientazione verosimile della scena, non più adattata a una quinta del tutto immaginaria appositamente costruita fra le pareti dell'atelier, dove inevitabilmente dominavano le tonalità ombrose degli interni male illuminati dell'epoca, ma tratta dal vero, da un paesaggio reale di cui si poteva cogliere la chiara intonazione naturalista, come nel noto caso dell'Incontro di Dante e Beatrice di D'Ancona, presentato alla Esposizione Nazionale di Firenze nel 1861, nel quale la ricostruzione del fondo è data da uno scorcio dell'Arno ai Tiratoi nell'ora del crepuscolo.
Un genere, insomma, che, sviluppandosi su diversi binari insieme alla cosiddetta e più attuale pittura dal vero, costituiva innegabilmente il nodo focale dei continui aggiornamenti stilistici: da quello purista introdotto da Pollastrini e da Mussini, al colorismo morelliano o al bozzettismo di Ussi, fino a quello, più direttamente attinente al nostro discorso, dovuto ai dipinti di storia contemporanea di Fattori, dalla metà degli anni cinquanta impegnato anche nella pittura di Macchia e di lì a poco pronto a far convergere le due esperienze in una soluzione unica di compiuto naturalismo.
I professori dell'accademia, svolgevano un'attività didattica nella quale era tuttavia già nascosto il seme di una controversa forma di primitivo realismo connesso, comunque, alla rappresentazione formalmente oggettiva dei modelli storici, rimanendo anche responsabili del condizionamento del gusto, esercitato attraverso il controllo dei premi, dei concorsi pubblici e delle esposizioni, sedi queste ultime deputate alla esibizione delle opere di arte contemporanea e al confronto diretto fra artisti, dove si manifestavano la polemica e la contrapposizione fra le molteplici tendenze espressive attraverso le quali si procedeva alla trasformazione e al rinnovamento del linguaggio figurativo che fin dai primi anni sessanta, facendo fronte agli integralismi accademici e perfino alle istanze più progressiste inizialmente avanzate dagli esegeti della Macchia, volgeva sicuro verso il compiuto Naturalismo manifestatosi poi pienamente negli anni settanta, ottanta e novanta.
Al pari di altre rassegne italiane e europee e sull'esempio del più antico Salon de Paris, istituito nel 1667 ma aperto più o meno a tutti gli artisti in realtà soltanto nel 1848 dopo la proclamazione della Repubblica, le mostre promotrici di Firenze, maggior centro nazionale per l'arte, aperte nel 1845 e frequentate da un pubblico numerosissimo, erano una occasione irripetibile per la propagazione della pittura nella società civile e, attraverso l'autonomia di scelta e il libero mercato, decretavano l'oggettivo successo e la diffusione delle opere di un artista o di un indirizzo creativo specifico, contrapponendo così il gusto fortemente condizionato delle committenze pubbliche, prevalentemente ipotecate a prudenti citazioni dal passato dei pittori istituzionali, colme di educativo sentimentalismo nazionalista, ai generi nuovi del bozzetto storico e della pittura dal vero, di gusto rurale, alto borghese o di genere.
Sebbene in questo nuovo contesto, differenziatosi poi nella vasta pluralità delle sigle di appartenenza, non mancassero, né in Italia né in Francia, le fratture e le incomprensioni fra le frange realiste più avanguardiste, per definizione sempre avanti al gusto comune, e la platea delle esposizioni, impreparata a cogliere le novità dell'ultima ora, questo fu tuttavia il terreno su cui si produsse il costante progresso dell'arte toscana, che avanzò prima cercando di dissipare le pedanti consuetudini narrative accademiche imprimendo una svolta luministica e essenzialista, poi recuperandone i caratteri, addolciti e naturalizzati, di circostanziato e morbido descrittivismo.
L'estrazione accademica dei giovani pittori attivi in Toscana fra il 1860 e il 1900/1910 (momento che potrebbe, quanto meno convenzionalmente, sancire la conclusione del movimento naturalista) e quindi la loro congenita inclinazione a preferire alla rarefazione dell'immagine la tenuta formale del disegno, così come la piena assimilazione del costruttivismo luministico macchiaiolo, composto sull'assioma luceombra, nonché la convergenza, in questa regione, di soggettività tanto diverse fra loro, provenienti da ogni parte d'Italia, ma anche i viaggi d'erudizione compiuti da Parigi a Firenze e viceversa, portarono fin dalla prima metà degli anni sessanta alla precoce messa in opera di un linguaggio verista che già potremmo ragionevolmente definire naturalista, risentendo parzialmente e soltanto in termini di principio generale, della drammaticità della ruvida narrativa del Realisme courbettiano. Fu nel trapasso dal quadro storico a quello di macchia e, da questo, a quello verista socialmente impegnato e nell'intreccio fra la varietà di queste componenti stilistiche, dovuto anche alla rapida mutazione del contesto sociale italiano e toscano, che si innestarono le prime vere esperienze naturaliste di questo novero di pittori pronti a riconoscersi nelle poetiche, più edulcorate, della rappresentazione del vero, non più soggetto frammentato di coraggiose sperimentazioni formali ma oggetto di una attenta riflessione complessiva.
Il quadro di macchia, espoliato da ogni connotazione narrativa per dare forza e vigore alla oggettività della luce, estese il suo punto di vista dal particolare, un muro, una strada, o soltanto un breve scorcio, all'insieme del paesaggio, spesso animato, dove l'incanto della natura convive con la umanità che la abita. Lo spazio, prima volutamente ristretto entro i limiti di una scatola ottica chiusa, si aprì a inquadrature prospettiche, ancora ravvicinate e quindi capaci di cogliere interamente i caratteri formali e sentimentali del soggetto, ma tuttavia comprese in un panorama più ampio e contestualizzato, dove l'interesse primario per le geometrie della forma si legava alla registrazione narrativa.
Se il dipinto di storia, pur subendo continue modificazioni, sopravvisse, vacillando fra consensi e dissensi, almeno fino al terzo quarto del secolo, la pittura di paesaggio, presente in maniera sempre crescente all'interno delle esposizioni fiorentine e nazionali, si affermò proprio attraverso quelle connotazioni dialettali locali che erano state rigettate dalla pittura ufficiale fermamente ancorata all'archetipo classicista.
Il paesaggismo naturalista primeggiava nelle esposizioni dell'ultimo trentennio dell'Ottocento, restituendo dignità al racconto tipico, quale denuncia e testimonianza delle condizioni di vita della civiltà contadina delle piccole circoscrizioni provinciali che era in effetti la colonna portante della società italiana post unitaria. Un primo fondamentale contributo in questo senso era stato portato ancora una volta, nella seconda metà degli anni sessanta, dai Macchiaioli della cosiddetta Scuola di Piagentina, «…Un luogo di campagna “umile e modesta” come la ricorda Signorini, pianeggiante con orti, frutteti e ancora poche case; le colline celebri di Fiesole, San Miniato e Arcetri si scorgono solo in lontananza. Qui appena fuori dalle mura, uscendo da Porta alla Croce, [...] abitavano contadini occupati nella coltivazione degli ortaggi, e poche famiglie borghesi, non aristocratiche, che vivevano in villette, casali, assai diverse dalle dimore di campagna signorili…», nelle quali, come nella casa dei Batelli, si respirava un clima di protezione e accogliente familiarità. Quasi in parallelo con l'esperienza di Castiglioncello, ricapitolazione sintetica della luce e della vitalità cromatica della Macchia, a Piagentina le forzature chiaroscurali venivano sorprendentemente meno aprendosi a tonalità più tenui, di pacato intimismo, recuperando in questo ufficio l'amore per l'interno di gusto borghese, di estrazione olandese o comunque nord europea, ma soprattutto ispirato alla vita reale, al convivio quieto della gente comune considerata non sempre nei momenti di maggiore responsabilità civile o di specificità sociale.
I significati morali e linguistici di questa ampia e caratteristica ricognizione condotta fra le pareti domestiche delle abitazioni civili costituirono il punto di partenza per l'estensione della questione naturalista degli anni ottanta e novanta, spostando il baricentro dell'interesse per la registrazione della vita contemporanea, dalla melodrammaticità quasi sottaciuta nella misurata mimica dei personaggi, indifferentemente, alla compostezza unisona del ritratto ambientato, di cui sono esempi magistrali Reveriè e La ragazza in giallo di Simi, fino alla marcata platealità delle riunioni campestri o cittadine delle quali è emblematico Contadini a Settignano, eseguito nei primissimi anni ottanta da Focardi.
Così, accanto alla figura dell'uomo chiamato a fare la storia, a costruire il futuro, si affacciava finalmente, e nella pienezza del suo ufficio, l'immagine muliebre, assunta a icona della rappresentazione familiare, una configurazione di rigenerata freschezza, quando emancipata, alla moda e consapevole della sua femminilità, quando fiera del suo ruolo di spicco all'interno del tessuto sociale matriarcale contadino, quando, invece, sopraffatta dal proprio destino.


Tiziano Panconi
Curatore della mostra:
Il Nuovo dopo la Macchia. Origini e affermazione del Naturalismo toscano
Montecatini Terme (Pt) - Polo Espositivo Terme Tamerici
Dal 16 luglio 2009 al 18 gennaio 2010

* Estratto dal testo in catalogo Pacini editore