Arte

La biografia di Alexander Calder
Calder - Roma - Palazzo delle Esposizioni
Su Alexander Calder. L'amicizia di Ugo Mulas
Testi storici su Alexander Calder

Testi storici su Alexander Calder

Romulus and Remus, 1928

Alexander Calder, 1898-1976
Romulus and Remus, 1928
Filo di ferro e legno
Dim: 77.5 x 316.2 x 66 cm
Solomon R. Guggenheim Museum, New York, 1965
© 2009 Calder Foundation, New York

Presentazione di Calder dal catalogo della Biennale di Venezia del 1952, quando vinse il Gran Premio di Scultura
di James Johnson Sweeney
La scultura di Calder è fondamentalmente americana. Le caratteristiche più evidenti della sua arte sono quelle attribuite alla tradizione americana della "frontiera": "quel rude vigore, unito a uno sguardo acutamente curioso" - come dice uno storico - "quella tendenza mentale, creativamente pratica, volta a cercare sempre nuovi espedienti, quella gagliarda comprensione delle cose materiali… quell'energia nervosa perennemente irrequieta, quella baldanza ed esuberanza, che sono un portato della libertà". In questo senso l'arte di Calder è un'espressione tradizionale della sua terra.
Ma il Calder è anche figlio del suo tempo. Il suo vernacolo è il vernacolo del suo tempo in America - un tempo nel quale le mobili frontiere della scienza, dell'ingegneria e della meccanica hanno dominato la fantasia popolare nello stesso modo che la frontiera geografica le dominava un secolo fa.
Al tempo stesso l'arte di Calder è l'illustrazione del saggio di Baudelaire Morale du joujou. Essa ci consente di comprendere tutto il valore dell'affermazione "le joujou est la première initiation de l'enfance à l'art". E una rassegna delle sue opere ha quella "gaîté extraordinaire" che, come afferma il Baudelaire, si trova sempre in "un grand magasin de jou-joux", e che "le rend préferable a un bel appartement bourgeois".
E questo è forse il contributo più originale del Calder: il suo ravvivare d'umorismo l'arte astratta. Nella sua scultura, attraverso la consapevole immissione dell'elemento giocoso, il Calder si mantiene indipendente dalla scuola dottrinale dell'arte astratta, così come da quella del surrealismo ortodosso. Al tempo stesso l'umorismo della sua opera è una sottile protesta contro la falsa serietà in arte e contro la presunzione dell'artista, sia esso un esploratore d'avanguardia o un accademico.


Introduzione del catalogo Calder della mostra di Torino del 1983 - Palazzo a Vela
di Giovanni Carandente
L'arte di Alexander Calder per come è universalmente nota, l'arte cioè dell'inventore delle aeree sculture che si muovono al minimo buffo d'aria (i mobiles, come li denominò Marcel Duchamp) nonché dei successivi stabiles (il nome, per questi, venne da Arp) e della multicolore festosa cosmogonia pittorica, trasse origine dall'innesto delle radici americane dell'artista nella cultura europea d'avanguardia, a Parigi, a partire dal 1926 e soprattutto dopo il 1930, in seguito all'incontro con Mondrian.
Ma la preistoria di Alexander Calder, di quegli che Fernand Léger allineò ai "maitres incontestés du beau inexpressif et silencieux" (Satie, Mondrian, Duchamp, Brancusi, Arp) e d'altro canto appropriatamente definì "un Américain 100/100", affonda le sue radici nel continente sconfinato che lo vide nascere, nell'ancestrale civiltà con cui l'artista si misurò nell'infanzia, nell'ambiente familiare e patriarcale che da tre generazioni aveva fatto dell'arte l'occupazione onorata dei propri membri, il nonno e il padre scultori, la madre pittrice.
La collocazione storica di Calder nell'arte del XX secolo è di conseguenza chiara: fu il primo grande americano (in parte simile al concittadino Man Ray) a distaccarsi dalla provinciale tradizione accademica e a promuovere, dopo l'"Armory Show", un destino totalmente rinnovato dell'arte d'oltre Atlantico, precedendo di gran lunga, in questo senso, la generazione eroica dell'Abstract Expressionism e dell'Action Painting.
Di Calder, quand'era vivo, spesso fotografia e critica scritta diedero resoconti stereotipati e distorti, o stucchevoli nel propagarne la giovialità, o superficialmente insistiti sull'aspetto ludico dell'opera, o persino capziosi nel sottolinearne la fragilità artigianale che è - all'opposto - uno degli aspetti più toccanti della sua creazione. Ma ora che la lunga vicenda terrena di Alexander Calder si è conclusa e il patrimonio di invenzioni che egli ha lasciato è integralmente ripercorribile, la grandezza della sua arte si fa ancora più netta, quanto incantevole e semplice resta per ognuno la qualità del suo messaggio.
Per merito di Calder, l'arte è tornata, nel bel mezzo della frastornante civiltà delle macchine, alle quiete sorgenti di una poetica natura minima, senza che questa eterna matrice d'ispirazione ne fosse per l'ennesima volta inutilmente plagiata. La nuova mimesi è fiorita esile come un verde stelo sul ceppo arroventato dell'era industriale ed è stata il nuovo annuncio esiodeo della magia dell'Universo.
Con Matisse e Klee, Calder ha inventato un'arte che non conturba, un'arte fausta per la serenità semplice che l'ispira, rassicurante per la purezza con cui si specchia nel lago terso della fantasia. Se si aggiunge che Calder ha impresso, fisicamente, il movimento alle sculture, un'azione che ne moltiplica gli stati, che attribuisce alle forme una dimensione temporale e le affida alla casualità di imponderabili equilibri, che situa l'opera nello spazio-ambiente, al chiuso o all'aperto, in modo che la successione delle immagini vi si avveri di continuo e in combinazioni inattese, l'importanza universale della sua arte si rivelerà in tutto il suo spessore.

Calder
Roma, Palazzo delle Esposizioni
Dal 23 ottobre 2009 al 14 febbraio 2010