Arte

I Macchiaioli. Capolavori della collezione Mario Taragoni
La raccolta Mario Taragoni di Antonio Paolucci

La raccolta Mario Taragoni

di Antonio Paolucci

Bisogna comprare quello che piace, in autonomia, almeno relativa, dalle mode e dalle tendenze in quel momento dominanti. Questa è prima regola da seguire quando si entra nel negozio dell'antiquario o del gallerista o quando sfogliano i cataloghi delle aste. Bisogna comprare senza preoccuparsi troppo dell'investimento, di quanto cioè potrà apprezzarsi, in un tempo più o meno lungo, la "cosa" che si compra. Perché "è detestabile" - scriveva Federico Zeri nella premessa a Il Conoscitore d'Arte, catalogo della esposizione che il Museo Poldi Pezzoli ha dedicato alla sua raccolta di sculture - quel tipo spurio di raccoglitore che acquista per investimento".

Giovanni Fattori (Livorno, 1825 - Firenze, 1908) - La cerca, 1880 - 1881 - Olio su tavola, 24,5 x 17,5 cm - Collezione privata

Giovanni Fattori (Livorno, 1825 - Firenze, 1908) - Il buttero, 1900 circa - Acquarello su carta, 51 x 39 cm - Collezione privata

Silvestro Lega (Modigliana, 1826 - Firenze, 1895) - La signora Clementina Bandini con le figlie a Poggiopiano, 1887 - Olio su tavola, 33,5 x 26 cm - Collezione privata

Giovanni Fattori (Livorno, 1825 - Firenze, 1908) - La preghiera della sera (o L'Ave Maria), 1875 circa - Olio su tavola, 47 x 33 cm - Collezione privata

Giovanni Fattori (Livorno, 1825 - Firenze, 1908) - Bambina in un bosco, 1890 circa - Olio su tavola, 33 x 18,5 cm - Collezione privata

Comprare pensando all'investimento spesso di rivela un errore anche in termini economici. Chi, cento anni fa, avesse acquistato un Sano di Pietro, oggi, in valuta reale, realizzerebbe forse la metà del prezzo pagato in origine. Perché cento anni fa Sano di Pietro e i primitivi senesi e fiorentini erano allo zenith della fortuna critica e quindi del valore di mercato. Poi sono intervenuti nuovi studi storico artistici e nuove sensibilità estetiche, sono profondamente mutati le tendenze culturali e gli orientamenti del gusto. Tutto ciò ha influito sul mercato che ha depresso i primitivi toscani e portato alle stelle altre scuole, altre epoche, altri autori; per esempio i protagonisti del Seicento barocco e naturalista. Cento anni bisognava comprare quadri barocchi o caravaggeschi, quando quasi nessuno, nella critica e nel mercato, li prendeva in considerazione. Chi allora lo avesse fatto, avrebbe lasciato in eredità ai nipoti valori pari a cento o mille volte l'investimento iniziale.
Chi compra ciò che piace, senza pretendere di realizzare ogni volta e necessariamente l'affare, quello è il vero collezionista. Soccorrendo le circostanze, i mezzi e la fortuna da quel tipo di intelligente amatore può venir fuori Mario Taragoni, un uomo che, spinto dalla curiosità e dalla passione, ha messo insieme la squisita raccolta di macchiaioli oggi offerta, in Palazzo Franchetti di Venezia, alla ammirazione del pubblico colto.
Mario Taragoni, "gran borghese" degli anni trenta, dirigente a Genova della Banca d'America e d'Italia, non comprava per investimento. Come tutti gli uomini che hanno con il denaro un rapporto professionale, sapeva che la finanza è una cosa molto seria che esige attenzioni competenze e logiche assai diverse da quelle che governano il mondo dell'arte. Quando comprava, comprava perché sollecitato da quel tipo di curiosità che non saprei definire se non con la parola "innamoramento". Taragoni amava i macchiaioli ma - questo è importante - non li amava in modo generico, indifferenziato. Infatti il vero collezionista è colui che sa stringere il fuoco dell'obiettivo su un'epoca, su uno o più autori e poi lo affina ulteriormente privilegiando aspetti specifici, tendenze particolari di quell'epoca e di quegli autori. Valga un esempio. Si può amare il Settecentoveneziano in tutta la sua variegata affascinante complessità ma poi occorre scegliere, all'interno di quel secolo, gli artisti e le opere che avvertiamo congeniali. Una operazione del genere ha splendidamente realizzato, nell'arco della sua vita, Angelo Guido Terrazzi consegnandoci quella quadreria superba, degna davvero di Cà Rezzonico, gremita degli Amigoni e degli Zuccarelli più belli del mondo, che ci ha lasciato stupiti e ammirati, l'estate scorsa, al Vittoriano di Roma. Criteri non dissimili hanno governato la nascita e la formazione della raccolta Taragoni. Il nostro collezionista sapeva tutto dei macchiaioli. Era ben consapevole che la fase davvero innovativa e la stagione pienamente compiuta della "macchia", si realizzano quando le novità tecniche sperimentate sul quadro di figura vengono applicate al paesaggio en plein air o a quello speciale paesaggio moderno che è l'interno borghese. Sapeva bene, sulla scia di Ojetti e di Cecchi, quanto di profondamente nuovo e allo stesso tempo di antico, ci fosse nel "primitivismo analogico" del Canto dello Stornello e della Rotonda dei Bagni Palmieri. Eppure all'interno del movimento macchiaiolo, Mario Taragoni era attratto dagli aspetti più obliqui, più intimistici, più sperimentali di quella stagione e di quegli autori. Sosta sotto la pioggia del vecchio Fattori, il Lega febbrile e visionario degli anni tardi, le varianti sentimentali e eccentriche di Armando Spadini e di Mario Puccini, toccavano la sua sensibilità di collezionista più delle opere improntate a squisito equilibrio formale uscite dalla stagione di Castiglioncello e di Piagentina. Sotto questo aspetto la raffinata antologica dell'Ottocento toscano raccolta in Palazzo Franchetti assume importanza scientifica non irrilevante perché apre una prospettiva se non inedita certamente inusuale sul movimento macchiaiolo. Una prospettiva, un punto di vista inventati e sperimentati da un colto collezionista che aveva letto i libri, studiato e valutato critici, storici, galleristi ma che poi, in ultima analisi, aveva saputo guardare con i suoi occhi e decidere con la sua mente e con il suo cuore.
La collezione d'arte privata (la Taragoni è una delle pochissime dedicate all'Ottocento arrivate praticamente intatte fino ad oggi) è importante perché unisce al valore delle singole opere il valore aggiunto della loro aggregazione. La personalità del collezionista, la sua formazione, i suoi gusti, le sue frequentazioni sociali, l'epoca storica nella quale si è formata, tutte queste cose fanno un insieme di significati che si sovrappone a ciascuna opera moltiplicandone e amplificandone lo spessore semantico. Studiare una collezione d'arte nella sua formazione e nel suo contesto storico, è una delle avventure più straordinarie che uno storico dell'arte può concedersi. Come sanno bene Stefano Cecchetto e Silvestra Bietoletti, autori dei saggi in catalogo. Dico questo pensando al futuro di Palazzo Franchetti, la mirabile residenza privata affacciata sul Canal Grande oggi proprietà dell'Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti. È necessaria una premessa. Viviamo in un'epoca che vede moltiplicarsi ovunque le offerte espositive. Si fanno mostre d'arte dappertutto e sugli argomenti più diversi. Comincia a diffondersi un senso di sazietà e di confusione che gli operatori del settore avvertono e registrano ormai da qualche anno. Io credo che il futuro sia delle specializzazioni. È necessario che le varie sedi espositive si diano un carattere riconoscibile, una linea culturale definite che si ripeta negli anni.
Palazzo Franchetti a Venezia ha fatto una scelta: il collezionismo d'arte. L'anno scorso abbiamo presentato gli autoritratti degli Uffizi. Leopoldo de' Medici gentiluomo raffinato e eccentrico, cardinale di santa romana Chiesa e cadetto della famiglia granducale, poco dopo la metà del Seicento, decise di raccogliere le immagini che gli artisti suoi contemporanei avevano di se stessi. Ne è venuta fuori una linea collezionistica originale che si è accresciuta nei secoli fino a costituire ma delle singolarità più preziose degli Uffizi. Una raffinata antologia di questa linea collezionistica è stata presentata in Palazzo Franchetti suscitando un successo tale che siano stati costretti a replicarla a Londra.
Quest'anno è il momento di un altro collezionista, Mario Taragoni. Un uomo del XX secolo che si occupava di banca e di affari, che aveva una sua idea dell'Ottocento pittorico italiano e che con minuziosa pazienza, con curiosità, con passione e con metodo, ha messo insieme una serie cospicua di piccoli capolavori. Piccoli per le dimensioni, piccoli per il carattere intimo, sentimentale, poetico. Grandi, in realtà, per lo sguardo nuovo che ci permettono di allungare sulla stagione più bella della nostra storia artistica moderna. Il mio augurio è che Palazzo Franchetti possa continuare su una linea espositiva che non ha altri esempi in Italia e che promette esiti tanto inusuali quanto gradevoli.