Indice degli articoli di arte


Dello stesso Autore:
Lettera a uno studente dell’Accademia di Belle Arti
Un’occasione che si sta sprecando
A proposito della creatività

Lettera ad un giovane professore dell’Accademia

Di Franz Falanga*

Caro amico, giovane e novello prof, mi complimento con te perché sei riuscito, malgrado le difficoltà oggettive, le pastoie e le tipiche lungaggini burocratiche italiote, a diventare professore in una delle Accademie di belle arti in Italia. Se vorrai dedicare qualche minuto a leggermi, mi farà piacere raccontarti che aria tira nelle accademie. Ti sta scrivendo una persona che da qualche mese è stata, per raggiunti limiti di età come si dice nel triste linguaggio burocratico, collocata a riposo. Detto in soldoni, me ne sono andato in pensione. Questa mia nuova condizione mi permette di guardare con un distacco maggiore quello che sta accadendo nelle accademie e di scriverti, se possibile, con la dovuta leggerezza.

Ciò detto entro subito nell’argomento. Come ben saprai, le categorie che compongono l’Accademia sono tre: gli studenti, il personale non insegnante, i docenti. Ho collocato gli studenti al primo posto perché sono la componente più importante. Senza di loro l’Accademia non esisterebbe. Ho messo al secondo posto di questa mia personalissima classifica il personale non insegnante (questa dizione burocratica mi pare oggettivamente strana, non era meglio dire personale amministrativo?) per il profondo rispetto che nutro nei riguardi di queste persone che hanno cura che la vita amministrativa, didattica, burocratica e fisica funzioni al meglio. Al terzo posto, last but not least, ci siamo noi, i professori. Mi sarebbe piaciuto scrivere "i prof" ma siccome questa parola andava in fine di periodo, sarebbe dovuta essere seguita dal punto, fatto che non mi andava perché il termine prof (senza punto) è ormai diventato un sostantivo, un neologismo, che a molti può non piacere, ad altri sì (io sono fra questi ultimi).

Cominciamo dagli studenti dunque. Sono la realtà più intrigante e più straordinariamente creativa dell’istituzione. Ognuno di loro con i propri timori, le proprie speranze, i propri progetti per il futuro, le proprie furberie, la propria conoscenza/esperienza sul come trattare quei particolari personaggi che sono i prof, le loro piccole eredità culturali che si portano dalle scuole di provenienza, talora soddisfacenti, talora carenti. Ti accorgerai rapidamente che gli studenti del primo anno, appena entrati nella nuova struttura universitaria (chè dell’università della creatività stiamo parlando) hanno delle curiosità e delle passioni assolutamente straordinarie, sebbene talora ancora venate di illusioni e di ingenuità, ma non per questo meno intriganti. Dal secondo anno in poi ti accorgerai che loro, sempre gli studenti, iniziano a diventare più professionali, più composti nel loro affresco, più consapevoli del loro ruolo. Arrivati al termine degli studi noterai con una punta di malinconia che saranno diventati uguali ai soggetti dei quali ti parlerò più avanti, totalmente disincantati e provvisti di una buona dose di cinismo. Immagino ci siano delle buone ragioni per arrivare ad un risultato del genere. Queste ragioni, lascio a te il piacere di individuarle.

Passiamo ora al personale non insegnante. Questa dizione assurda e ridicola, ma ufficiale, raggruppa le persone che lavorano nelle segreterie, in amministrazione e i collaboratori, in tempi remoti detti bidelli.

Queste persone meritano tutto il nostro rispetto e la nostra simpatia, perché sono quelli che fanno funzionare la baracca e ne portano avanti con pazienza ed intelligenza le necessità che spesso sono difficili da gestire in quanto, in questo particolare momento storico, le Accademie stanno per entrare a pieno regime nel sistema universitario italiano.

Ed ora parliamo finalmente dei tuoi futuri colleghi, dei miei ex colleghi, dei tuoi futuri compagni di lavoro, dei professori, dei docenti. Ti prego caldamente di non usare il termine "insegnanti".

Una delle caratteristiche che caratterizza la società americana, specialmente quella universitaria, è lo straordinario allenamento al dialogo fra tutte le componenti della società/struttura. La disponibilità al dialogo è uno dei punti di forza di questa società. Certamente questa disponibilità al dialogo non è assolutamente l’anticamera delle perfezione, ma, in ogni caso, è una delle componenti di base sulla quale si possono costruire e fondare molteplici attività vitali e civili.

Questa "disponibilità al dialogo" di cui ti sto parlando, e di cui, lo avrai ben compreso, sono absolutely innamorato, non esiste assolutamente fra i professori delle accademie italiane. Potrebbe apparire una questione di secondaria importanza ma non lo è. E ti spiego subito il perché. Non c’è un luogo più dedicato alla comunicazione delle accademie di belle arti. Mi pare intuitivo e mi pare altrettanto banale il cercare di spiegartelo, lo comprenderai agevolmente da solo. Un luogo più emblematico dell’accademia dove si addestrano le nuove generazioni a comunicare per mezzo delle immagini, sensazioni, atmosfere, messaggi e quant’altro, non c’è nel panorama istituzionale universitario italiano, oltre, ovviamente alle facoltà di architettura, che sono istituzioni sorelle, alle quali dovremmo guardare con interesse, intensità, passione, curiosità. Alle quali ci legano affinità elettive, non per nulla nei primi decenni del secolo scorso, da una costola delle accademie nacquero le facoltà di architettura.

Ma torniamo alla non disponibilità al dialogo dei professori delle accademie. Non disponibilità al dialogo fra i professori, lo ripeto. Questa chiusura porta a risultati davvero devastanti. Senza dialogo ci si rifugia nei propri orticelli privati, nei propri domini, nelle proprie mura, nelle proprie personalissime giungle private, nei propri personalissimi circuiti, facendo così diventare le accademie un circuito chiuso e complicato anziché un circuito aperto e complesso.

Con il passaggio delle accademie nella fascia d’istruzione universitaria, alcuni illusi, fra i quali chi ti sta scrivendo, pensavano che la struttura delle accademie sarebbe cambiata radicalmente, ma tutto questo, grazie ai "non dialoganti", non è accaduto. Mi spiego meglio. Prova a prefigurarti la struttura dell’Università. E’ abbastanza facile ed intuitiva. Immagina una scala a pioli. Ogni piolo è un esame. Fatto un esame ne fai un altro, e così via fino ad arrivare in cima alla scala. In cima c’è la laurea. Ho esemplificato moltissimo ma capirai in seguito il perché di questa mia esemplificazione. Adesso prova a prefigurati la struttura dell’Accademia. Se non vieni dall’Accademia non la conosci, se poi sei un laureato la conosci ancora meno. A te, caro amico, che non vieni dagli studi accademici, tenterò di raccontare come, invece, all’oggi è configurata la struttura dell’accademia.

Pensa ad un cerchio, nel quale cerchio siano racchiuse le materie fondamentali dell’accademia e cioè pittura, scultura, scenografia, decorazione. Intorno al cerchio immagina tante freccette rivolte verso il centro del cerchio stesso, ognuna delle quali corrisponde alle materie cosiddette complementari, quali Elementi di Architettura ed Urbanistica, Design, Storia dello spettacolo, Mass media, Fotografia, e molte altre. Fra queste freccette ci sono alcune freccette più grandicelle che rappresentano Storia dell’Arte, Incisione e Anatomia. Ricapitolando, avrai notato che ci sono materie fondamentali (quelle nel cerchio) materie un po’ meno fondamentale quelle fuori del cerchio, e materie che stanno a metà strada fra le fondamentali e quelle meno fondamentali.

Se sei un professore che abita nel cerchio, non continuare a leggermi, se sei un professore con la freccia piccola continua pure a leggermi, se sei un professore a metà strada, per esempio se sei un professore di storia dell’arte, per te la lettura di questo articoletto è assolutamente ininfluente, visto che il tuo interesse è rivolto a una politica di buon vicinato con gli abitatori del cerchio, un po’ meno con le freccette. In questa struttura parecchio particolare, i prof poi, a loro volta, si dividono in cinti dell’alloro accademico (quelli laureati, quelli, ovviamente, provenienti dalle università) e in quelli non laureati, quelli cioè provenienti dalle accademie che all’oggi, lo ripeto, sono praticamente diventate università.

A questo punto di questa descrizione della struttura accademica non è ancora chiaro il suo funzionamento. Cercherò, se ne sarò capace, di chiarirtelo il meglio possibile. Adesso vado giù con l’accetta.

Nelle accademie di belle arti italiane ci sono i professori di serie "A" che sono quelli che abitano nel cerchio, e ci sono i professori di serie "B" quelli che sono vestiti da freccette. Fra i quali si aggirano i fratelli prof di storia dell’arte che guardano con simpatia al cerchio e con meno simpatia alle freccette.

Prima considerazione, avrai notato che, mentre per la descrizione della struttura universitaria ho usato grosso modo una trentina di parole, quando ho dovuto descriverti la struttura delle accademie, le parole mi pare abbiano oltrepassato abbondantemente le centocinquanta. Qualche cosa vorrà significare questa disparità numerica, ma andiamo avanti. Che cosa comporta l’esistenza del cerchio abitato dal professore del corso di scenografia, dal professore del corso di pittura, dal professore del corso di scultura, dal professore del corso di decorazione? Non so se queste denominazioni nel prossimo futuro subiranno qualche modifica nel nome, resta il fatto che queste sono le materie cosiddette fondamentali. Giova ricordare che a queste materie cosiddette fondamentali, circa una trentina di anni, fa furono affiancate le nuove materie (le freccette, escluse le storie dell’arte che già esistevano) chiamate inizialmente corsi speciali, istituite per cominciare a dare dignità universitaria alla futura struttura universitaria accademica. Questi corsi speciali vennero in seguito chiamati corsi complementari, mai capito il perché.

Ma torniamo ai residenti nel cerchio. Queste materie, all’oggi, sono le materie madri/padrone dell’intera struttura accademica. Non si muove foglia/laurea che non debba passare assolutamente sotto la forca caudina dell’approvazione culturale della materia fondamentale. Qualunque prof, cerchio, freccetta, freccetta più grande, può seguire uno studente che voglia laurearsi su un qualsivoglia argomento, con la differenza sostanziale che, mentre i professori freccette devono sottostare loro e gli studenti alla "approvazione" della laurea da parte dei prof che stanno nel cerchio, i prof che stanno nel cerchio non devono sottostare all’approvazione di chicchessia.

Orbene, mio caro amico professore/freccetta che mi stai leggendo a te pare una struttura che possa funzionare quella che ho cercato disperatamente di descriverti? O non pensi che tutti i prof abbiano pari dignità culturale e che chiunque di essi debba poter compiere il percorso di ricerca con il proprio laureando senza l’assillo del giudizio di un altro prof "al di sopra", solo perché residente nel famoso cerchio?

I giochi sono ancora aperti nel senso che nei regolamenti, che si stanno per iniziare a redigere, queste caratteristiche, diciamo così padronali, dovrebbero essere chiarite e presumibilmente corrette nel profondo. Ragione di più perché le freccette collaborino attivamente e non supinamente con gli abitanti del cerchio nella maniera più costruttiva possibile, e il contrario, ovviamente. Ma qui sorge il problema che consiste nel fatto che spesso le freccette, per ragioni a me assolutamente incomprensibili, preferiscano la strada della vittima, addirittura arrivando ad amare i loro carnefici.

L’ho buttata sul ridere, ma la situazione di subordinazione che vige tuttora nelle accademie è pesantissima e non porta assolutamente al rinnovamento effettivo di questi straordinari centri universitari che dovrebbero esaltare e consolidare la creatività della nuove generazioni. Fatto questo che è spesso offuscato da queste medievali maniere di concepire il sapere "artistico" a tutto svantaggio degli studenti, che come dicevo ad inizio articolo, escono dall’accademia in apnea, in stato di grande stanchezza e remissività culturale.

Dimenticavo di dirti che gli studenti, quando arrivano al compimento dei loro studi accademici sono diventati in tutto e per tutto simili ai loro prof, fatto questo che certe volte mi intristisce un filino.

Magari se ne avrò voglia e se mi divertirà il farlo, scriverò della anomalia dell’accademia che, pur essendo diventata università, non dispensa, all’oggi, "lauree" ma "diplomi accademici", e parlerò dei due gruppi di prof che caratterizzano questa vita un po’ tumultuosa delle nostre amate accademie; parlerò cioè dei prof laureati e di quelli che laureati non sono. Se certi argomenti si affrontassero con decisione e chiarezza, quanti inconvenienti avremmo da tempo risolto!

 

*Franz Falanga
Laureato in architettura all'IUAV. E' stato Direttore del Dipartimento di progettazione all'Accademia di Belle Arti di Venezia e titolare della cattedra di Elementi di architettura e urbanistica


Articolo inserito il 2 marzo 2004