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E vorrei dipingere un nudo come Giorgione

di Flavio Arensi

…la terra che tu calpesti è incancellabile…
Piero Bigongiari

Non è affatto assurdo accomunare il naturalismo grasso di Ennio Morlotti, almeno quello consecutivo alla sorpresa brianzola e adduana di Imbersago dei primi anni Cinquanta, colla pancia gonfia, nutrita e calma della donna che allatta il neonato nella Tempesta di Giorgione; quel suo ventre materno di un eros domestico e tranquillizzante, assente di alcun tormento, contrapposto cioè alla folgore lontana, alla furia forse incipiente oppure in via di allontanamento; in questa figura dunque ritroviamo non soltanto la materia più densa, quasi grondante, della pittura morlottiana, bensì le sue bagnanti, dalle prime asserzioni totalmente silvane, disperse nel groviglio della natura, alle ultime eminenti - dolorose - donne emancipate dall’orizzonte, tuttavia intrise e compartecipi del mistero profondo che anima il suo ampio de rerum natura. Per giungere a una tale liberata manifestazione egli batte un sentiero lungo, inizialmente legato alla stretta vicenda della storia chiarista; sono di questa matrice i primi scorci lacustri, esposti alla Mostra del paesaggio lecchese del 1937, tra cui I due ponti: un quadro probatorio dell’indole vedutista pur ancora acerba, che tuttavia liquidato è valso, insieme alla vendita di altri due oli presenti in rassegna, il conseguimento del primo viaggio parigino. Proprio nella Ville lumière egli incontra per la prima volta due opere fondamentali per il personale sviluppo estetico, le grandi Bagnanti di Paul Cézanne, attualmente custodite al Museum of Art di Philadelphia, e Guernica di Pablo Picasso, ora al Reina Sofia di Madrid: due registri contrastanti, una archetipale rispetto all’altro, soprattutto se attribuiamo al progetto cezanniano una parte integrante ed arricchente in quello picassiano; di certo esplicative di due soluzioni dissimili, da una parte l’arte di visione e dall’altra quella d’espressione. Gianfranco Bruno, che resta uno dei migliori interpreti della preoccupazione (e forse inquietudine) morlottiana, ha distinto più volte le diverse valenze, parlando a ragione di una "coscienza dilaniata" a proposito della preferenza del lecchese per una pittura che tende all’immagine in cui visione ed espressione coincidono; amalgama già evidente nell’esperienza anticipatoria di Adolphe Monticelli (Corteo nuziale del 1880 ne è un esempio perfetto), e da qualcuno individuata pure nel Emilio Gola più poetico e allucinato, fino al bergamasco Ermenegildo Agazzi, a dirsi che Morlotti sottende un cuore lombardo, ma non soltanto della Lombardia a cavallo fra Ottocento e secolo seguente, ma di quel dialetto antico e testoriano che potrebbe identificarsi nel Foppa o nel Romanino e più oltre.

Di Picasso, Morlotti inviscera un potente residuo formale, eppure è nel dialogo con Cézanne che egli contempla l’avviarsi di una nuova fase della propria storia, nel momento stesso in cui rinuncia senza rimpianti al rivolgimento cubista e scopre la natura, non nella mente ma dal vero, a Imbersago, col riverbero dei collinosi siti di Mondonico. Un passaggio imprescindibile dall’affermazione intima di una nuova intrapresa filosofica, dall’incontro con l’Esistenzialismo francese, con la rilettura all’alterità, e la discoperta dell’homme révolté che conduce al nodo espressionista in grado di rendere credibile l’interiorizzazione, la masticazione della realtà, in cerca del vero istintuale, del vero privato. Cézanne si confronta con una natura solidamente costruita, benché ne cerchi in un qualche modo il movimento impressionista attraverso le sensazioni, nella vista anzitutto: l’occhio, infatti, coglie le dimensioni e la luce, che egli esige di portare agli schemi più semplici, in una specie di riduzione fenomenologia ante litteram, nel tentativo di stabilire il fenomeno puro. In questo diverge Morlotti, che invece rinuncia all’indagine comunque sensoriale e dunque passa dalle sensazioni alla rappresentazione, nel valore che più s’avvicina - o tende – al traguardo di Goddlob Frege, ossia di quelle forme mentali che non appartengono al piano dei sensi, ma direttamente al contenuto della coscienza, per nulla autonome, poiché necessarie di un portatore che è unico e inderogabile, non sussistendo due persone aventi le medesime sensazioni.

Nel lavoro dei primi anni Quaranta si contano diverse Figura con gesso, gli interni che contestaulizzano l’uomo in un museo cosificante, nella prospettiva sbilenca che però anima anche gli esempi similari al Paesaggio a Monticello, ovvero al successivo Dossi, sicché figure e luoghi esprimono due opposte tendenze o facce di una medesima medaglia. Morlotti compie una rivolta arbitraria contro ciò che egli ritiene cingere d’assedio la maggior parte dell’arte occidentale: il formalismo, per il maestro lecchese, s’annida e occupa le principali tendenze artistiche del Vecchio e del Nuovo Continente. Una malattia strisciante cui non manca di rivolgere l’attenzione, opponendovi il proposito d’individuare fra sfera interiore e natura una profonda risonanza, come due diapason che intonano la medesima nota. Risuonare, non equivale ad addolcire o virare il veduto, bensì descrivere attraverso la coscienza il sentimento, pur crudele e crudo, del dato originario (come d’altronde esercitano i dipinti di Graham Sutherland); in tale crudezza nascono le bagnanti, nei primi esempi delle lavandaie lungo l’Adda del 1952, e in prototipo ne La siesta dello stesso anno, quadro rivelatorio di una fase teorica conclusiva e del insorgente riavvio. La natura assume le caratteristiche umane, e – di converso dal precedente esplicitato nelle figure rese elementi di una più vasta ed inanimata gipsoteca – il cosmo entra nella condizione umana, palpitando al fluire del sangue, delle emozioni, delle grandiosità e piccolezze dell’essere vivente. Non a caso, la riscoperta del creato sbilancia l’indagine di Morlotti all’esterno del suo studio, abbandonando i richiami al picassismo, al cubismo, al morandismo che sono esempi di arte mentale.

È nella sacralità della carne che Morlotti scrive i nuovi caratteri di una più alta epopea, derivabile soltanto attraverso il dispiegarsi di un approccio fisico differente da quello normalmente percepito o esibito, ossia l’adesione al corpo ansante della terra e dei suoi elementi. Ci si sposta, così, nell’ambito poetico definito dallo "organismo vivente" di Piero Bigongiari, da quel suo procedere per tracce nel segno della Creazione, nell’orma dell’organico. Qui meglio si comprende il distinguo operato fra arte di visione, che pregusta l’acuto intervento emozionale, e quella d’espressione che invece risolve l’assetto strutturato del motivo: in entrambi i casi, come un destino paritetico ed oscuro, le due direttrici rischiano di sfociare nel paventato formalismo, di qualunque genere sia. Per sfuggire alla catastrofe degli estremi, Morlotti scende nel profondo agonismo del servizio pittorico, desistendo dal fascino contemplativo o dissecativo, bensì arrangiando l’immagine grondante dove l’informale significa il consenso totale alla vita. Se le macchie boschive, gli arbusti, si aprono nel tenore di ferite dai lembi e concrezioni di polpa affastellate come nelle due Vegetazione (schede in catalogo n. 4 e n. 6; quadri per altro esposti alla XXIX Biennale di Venezia del 1958), o in Fiori, il paesaggio esplode in una inedita teoria della realatività in cui il microscopico diviene macroscopico, Imbersago, per tornare a coagularsi in forma di orizzonte ravvicinato, Paesaggio, Colline. Le bagnanti, quelle presentate inizialmente alla Biennale di Venezia del 1954, poi emendate e evolute in seguito nei cicli più noti, sono di fatto il presupposto di una forma primordiale, che stilla dalla selva dopo essersi inebriata del dato organico, come una pupa al termine della metamorfosi. Il Nudo del 1952, oramai fuoriuscito dai primi studi della metà degli anni Cinquanta, assomiglia maggiormente ai motivi vegetali, al tema dei carciofi, agli Arbusti e al Granturco: è un moncherino, un abbozzo larvale negligente dei problemi euclidei approfonditi nel periodo cubista, mentre aggiunge la tensione di un incontro fra piano naturale ed umano, giustificando il reperimento da parte di Bruno di quella "interminabile tensione" che fa della koinè di Morlotti un "linguaggio europeo ma soprattutto attuale". Attuale perché esclusivo di un’epoca, ossia di un solco storico ed estetico categorico, però inattuale - ancora una volta in tono fregeano - perché non plagiato in forma diretta o indiretta dai sensi.

Come la prospettiva dei grandi richiami vegetativi è per lo più orizzontale, e sale verticalmente nella denuncia del dettaglio, nel campo ristretto di un fiore o di un fico, o della spiga del granturco, le bagnanti mantengono indistintamente la predilezione per l’alto quanto per una sorta di verticalità orizzontale. Colla ripresa del tema alla metà degli anni Ottanta lo spazio si dilata nuovamente, l’obiettivo dischiude il circondario, s’allarga per intraprendere lo sguardo sul contesto ambientale, ancora come in Giorgione: Figura sulla riva III, Figure nel paesaggio II. Vi è stata, nel frattempo, l’epifania ligure che avviene al sommo della stagione degli anni Cinquanta e permette a Morlotti - come in passato l’incontro coi luoghi di Mondonico e Imbersago - il rilancio delle tematiche usuali, parallelamente a una loro nuova modalità di lettura e visione, nonché allo studio di innovativi temi da inserire nel davvero complesso catalogo dei suoi ricorsi pittorici. Attraverso l’ennesima scoperta naturalistica e paesaggistica, stavolta in terra ligustica, l’artista assume quello che Giovanni Castagnoli interpreta come il "punto di distanza" cui segue un’alternativa dimensione d’intervallo coll’immagine precedentemente assorbita, anzi affogata nel colore e nella materia: Liguria studio n. 2 e Liguria studio n. 10. Mai le bagnanti di Morlotti smettono il senso rassicurante e disteso del paesaggio, perché non elaborano sensualità ossessiva, ma ingenua e sublimato amore naturalistico, come l’Eldorado o i Poeti di Renato Birolli, il Gineceo di Arnaldo Badodi, gli Uomini rossi di Aligi Sassu (tutti compagni di strada in Corrente), la scuola tedesca del Die Brücke espressionista, altrimenti il solare ultimo Edvard Munch.

A cominciare dal 1975 Morlotti inscena il ciclo delle rocce, che si inserisce simmetricamente a quello dei teschi - esauritosi in una parentesi di sette anni, a cominciare dal 1970. Rocce e teschi, come spesso avviene nella poliglotta attività del pittore, catturano l’identico sguardo esistenziale, e precorrono l’ultima stagione delle nuove bagnanti, per il rigore con cui l’autore rintraccia il soggetto all’interno dell’ampio piano o scenario della natura. D’altronde, questi due intendimenti, indovinano l’impulso rattristato di certe bagnanti, quasi un precoce addio. In particolare le ultime realizzate, Quattro bagnanti e Tre bagnanti, databili rispettivamente 1991 e 1992, insistono sull’orizzonte negato, quindi chiudono l’apertura che invece trionfa nei primi lavori, quelli degli anni Trenta, come appunto I due ponti, nonché nei panorami liguri. È una siepe che "il guardo esclude" e che dei teschi e delle rocce trattiene l’ultimativa sensazione di insuperabilità. I teschi, vanitas vanitatum e denuncia della condizione temporanea dell’uomo, si rivolgono ai corpi gravi delle bagnanti non come monito bensì approdo a una situazione definita ed insuperabile. Lo Studio di paesaggio n. 6, l’ultimo realizzato da Morlotti prima della morte, pregusta invece una felice riapertura coloristica dello spazio, e sembra recuperare un certo interesse per la luce che invece s’assorda e imbrunisce in molta sua vegetazione, ma non nella ripresa delle bagnanti, sulle quali risplende sempre il sole. Il clima ordinante, quasi dimenticativo del caos entropico, riporta alla Tempesta di Giorgione, al nudo che si staglia in un territorio vasto, sconfinante nel cielo, poiché alto e basso qui si specchiano, se non in motivi ed elementi tipici del mondo, in contrapposizioni di spirito, fra tumultuosa ansietà del fulmine, e placida sicurezza femminea. Una sicurezza che è pace, rinuncia al disordine, totale assentimento alla sorte del Creato.

Riferimenti bibliografici principali
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Articolo inserito il 19 aprile 2004