Arte

Morlotti e Chighine. Opere scelte

Milano - Galleria Poleschi Arte
Dal 25 ottobre 2007 al 18 gennaio 2008

Con la presentazione della mostra Morlotti e Chighine. Opere scelte, la galleria Poleschi Arte indaga la stagione artistica che nel capoluogo lombardo, intorno alla metà del secolo scorso, segnò il cammino della pittura italiana verso i linguaggi della modernità, nel tempo del rapido progresso aperto al confronto internazionale.

Piccola darsena al tramonto, 1962

Alfredo Chighine
Piccola darsena al tramonto, 1962
Olio su tela, Dim: 54x65 cm

Le opere selezionate dal curatore Tino Gipponi rappresentano i più significativi momenti espressivi di Ennio Morlotti (1910-1992) e di Alfredo Chighine (1914-1974), focalizzando  un percorso che descrive la vicenda di due protagonisti assoluti dell'arte italiana.

Paesaggio, 1964

Ennio Morlotti
Paesaggio, 1964
Olio su tela, Dim: 64x78 cm

E' il 1938 quando Morlotti, nativo di Lecco, si trasferisce a Milano dove entra a far parte del gruppo Corrente con Cassinari, Guttuso, Birolli e compagni. Con circa 20 opere la mostra privilegia il suo decennio felice tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, con quadri significativi tra i quali Vegetazione del 1956, Sterpi del 1958, Granoturco del 1959 e Paesaggio del 1964. In questi dipinti l'esaltazione fisica del colore-materia accosta un riecheggiamento del referente esterno ai fermenti della ricerca informale da vero "ultimo naturalista", secondo la definizione di Francesco Arcangeli.

Composizione ocra verde, 1956

Alfredo Chighine
Composizione ocra verde, 1956
Olio su tela, Dim: 116x89 cm

Fiori, anni '60

Ennio Morlotti
Fiori, anni '60
Olio su tela, Dim: 70x50 cm

Una lezione, quella dell'informale europeo, pienamente recepita da Chighine, rappresentato qui da circa 20 opere, a partire dalla prima fase che agli inizi degli anni Cinquanta lo vede già privilegiare gli effetti di segno, gesto e materia: significativi, a questo proposito, sono Figura verticale del 1954, Composizione ocra verde del 1956, Spirali intrecciate del 1957, senza escludere Rocce di Positano del 1959. "Successiva sarà la fase - scrive in catalogo Tino Gipponi - distillata con un accento più personale e meditato, liricamente distesa in una struttura compositiva più semplificata in pezzature giustapposte, con la materia mai inerte stesa con la spatola nella varietà risonante di colori maturi, profondi, smaltati, di vitrea lucidità o di increspata granulosità".
A proposito della mostra il curatore commenta: "Ennio Morlotti e Alfredo Chighine sono due vicende umane e artistiche differenti, legate però da un sottile filo che nella diversità le accomuna, simili nella prontezza con cui hanno saputo cogliere i fermenti innovativi della ventata postguerra".

In occasione della mostra viene pubblicato un catalogo edito da Poleschi Arte con un testo di Tino Gipponi.


MORLOTTI E CHIGHINE. OPERE SCELTE
A cura di Tino Gipponi
Testo in catalogo di Tino Gipponi
Ennio Morlotti e Alfredo Chighine, due vicende umane e artistiche differenti, legate però da un sottile filo che nella diversità le accomuna. Faticoso e anagraficamente un po' ritardato l'avvio del pittore lecchese, più ancora sofferto e tormentato quello del milanese di origine sarda, prematuramente scomparso a sessant'anni nel 1974. Basta leggere il suo epistolario da me curato, riassunto con l'emblematico titolo di "Morire sconosciuto e misero" per rendersi conto di quanto impervia sia stata la strada della vocazione artistica e quanta "desolazione tombale" l'abbia accompagnata. Stessa generazione, con minima differenza di età: del 1910 il primo, morto nel 1992, e del 1914 l'altro.
Studi più regolari per Morlotti, irregolari per Chighine, come irregolare è stato il suo percorso esistenziale acquietatosi solamente negli ultimi quindici anni con una serenità mai provata prima.
Simili invece nella prontezza con cui hanno saputo cogliere i fermenti innovativi della ventata postguerra aggiornata su modelli di un'avanguardia misconosciuta perché repressa dall'onda autarchica per lo più retorica del ventennio.
Eloquente è il ritratto di Chighine delineato da Morlotti per la mostra romana del 1969 alla galleria "La Nuova Pesa". Una prova di amicizia e di stima con un'indulgenza sorpassante certe impuntature di carattere in sintonia con l'amico fraterno Franco Francese, acuite dalla vita disordinata del pittore milanese e dal disagio dell'incomprensione o dalle aspirazioni frustrate, unitamente alle delusioni per la mancanza di successo che di contro Morlotti e il suo gruppo stavano raccogliendo. Un disagio persuasivamente riassunto da Francese quando affermava che in quel torno di tempo "la mortale angoscia" era pari a "una disperata speranza".
Per capire lo stato d'animo basta citare, sempre dal carteggio intercorso fra i due amici, quanto raccomandava Alfredo, con la caratteristica scrittura a dettato continuo, al sodale Franco nel dicembre del 1948, quando Chighine aveva già partecipato - ed era ancora un operaio - alla Biennale di Venezia dello stesso anno con due sculture in legno, di intensità plastica, ma ancora lontano dalla svolta informale che lo consacrerà grande fra i grandi. Riportiamo fedelmente il brano: "... Questi anni a contatto con quel gruppo Morlotti ci ha infrollito ed è stata veramente una disgrazia e noi ci siamo cascati da ingenui con tutto quello che avevamo di nostro, la cultura convenzionale di quelli e il falso gusto mi fanno schifo, ricordati che quella gente non ci ha mai dato nulla e sono dei provinciali che si illudono di saperla lunga non sanno stare nel loro brodo. Dovremo lottare duramente per combattere quella presunzione che in essi è ben radicata ... e che noi non aderiremo mai a cose combinate da loro".
Chighine come Francese, critici insoddisfatti, esigenti, con valutazioni pungenti, spesso aspre e con un'oltranza non sempre condivisibile data dai caratteri poco accomodanti nella convivenza sociale e disposti a rifiutare le convenienze. Resta che il detto-scritto (il sopra accennato non conosciuto da Morlotti) risultava mai disgiunto dal detto-parlato, spesso di  rude schiettezza nei vari conversari.
Riprendiamo il testo di Morlotti, condotto con una cadenza rievocativa convincentemente descrittiva: "Sono passati ormai trent'anni da che lo conosco e non mi sembra affatto cambiato. Lo stesso dialetto milanese arguto e bellissimo, che incantava ascoltarlo .... Era già allora una forte natura e un carattere ben definito. Lo ricordo seduto al tavolo del Giamaica anche per interi giorni. Beveva tutto quel che gli offrivano. Non appena però vendeva un disegno o trovava qualche soldo spariva e nessuno sapeva dove fosse. Si nascondeva a lavorare finché i debiti glielo permettevano. Abitava in una zona ticinese, era amico dei teppisti locali, aveva modi scanzonati e aperti da proletario di periferia. Girava allora quasi sempre con sottobraccio una grande cartella in cui c'erano dei grandi disegni a carboncino grosso a fare largo. Erano nudi femminili e maternità, testimonianze di anni drammatici molto appassionati e dolenti ... I giovani che allora oltre a Chighine erano Aimone, Bergolli, Francese, Peverelli, Crippa, Dova sembrava avessero trovato una frenetica intesa comune, sembrava quasi lavorassero in "équipe", e la carica era tale da prendere qualche volta forma di "bagarre". Il semplice adeguamento a modi espressivi europei che il fascismo aveva precluso, avvenne con tale violenza ed entusiasmo da diventare avventura esaltante, perciò fatto in se stesso creativo. Ma questo stesso bruciante passaggio che causò poi tante dispersioni e sbandamenti, affrettò invece in Chighine il processo di maturazione e diede nel contempo il segno decisivo della sua personalità ... Si ebbe cioè fin da allora l'impronta della grossa natura che l'accompagnerà per sempre, e le caratteristiche del suo lavoro a tutt'oggi ... Nel suo pedale basso di grigi e rosa aveva convogliato e nascosto tutta la nostalgia e la malinconia di muri e cieli lombardi. Nelle nuove forme la sua materia luminosa aveva raggiunto un nuovo incantato splendore".
Ennio Morlotti, un'affermata, forte personalità tale da consacrarlo protagonista assoluto con il suo naturalismo materico accompagnato dall'inquietudine di una ricerca di perdurabile travaglio. E poggiando da subito sulla materia l'aveva concepita secondo Giovanni Testori, uno dei suoi più acuti esegeti insieme a Francesco Arcangeli, "come punto generante della realtà" con tutta l'emozione catturata dal vero, della natura con il suo sentimento. Un'immersione continua la sua, dentro la complessità del referente naturale, nel grembo della sua realtà, per cercare il momento germinante che sta nascosto dentro le cose. E sarà la materia nel suo magma e concretezza organica il principio fondamentale del mondo morlottiano, già al proscenio negli anticipati paesaggi di Mondonico del 1944, per trovare poi morfologicamente la sua esaltazione dai primi anni Cinquanta, con rimandi e tangenze agli impasti e ispessimenti dell'informale europeo. Morlotti sarà in definitiva Morlotti, con tutta l'individualità della definizione, perché artefice coerente del proprio naturalismo moderno, autentico "ultimo naturalista" secondo la formulazione di Arcangeli da considerarsi a latere dell'informale e con la materia appunto in funzione intensificante ed eloquente delle immagini, pur sempre di suggestione e pretesto naturalistici anche quando di vago riecheggiamento. Per Morlotti tutto è natura e tutto è "miracolo nella vita che si forma" e nel suo duro, inquieto impegno lavorativo ha cercato il proprio stile, riuscendovi con un'autonomia e un'originale espressività, affermatesi nell'individualità di una "scrittura" pittorica di materia e di luce. Nella creatività della sua rappresentazione non sono tanti gli schemi compositivi e sull'iterazione di queste ridotte tematiche (paesaggio, figure di nudi, brandelli di vegetazione, indagati da vero "insetto dentro le cose", e teschi come ammonimento di severa meditazione esistenziale), l'artista lecchese ha insistito con ossessiva caparbietà, mai persuaso di avere risolto il mistero dell'arte con la trasformazione dell'organicità, della realtà naturale e umana nella pulsione del risultato artistico. Significativi a questo proposito, fra altri esposti, alcuni capolavori in mostra quali Vegetazioni del 1956, Sterpi del 1958 , Granoturco del 1959 e Paesaggio del 1964.
Alfredo Chighine. Più passa il tempo e maggiormente cresce la sua statura di artista protagonista dell'informale e come sostenuto da Emilio Tadini "uno dei più grandi, in assoluto. Nel mondo, voglio dire. Anche se tanti critici non se ne sono mai accorti".
Troppo negligentemente dimenticato e oggi finalmente collocato nel suo meritato spazio con una voce inconfondibile di respiro europeo. Sommo colorista con soli venti anni di lavoro e con una ineguagliabile sensibilità e rara armonia musicale del colore, obbligatoriamente da considerare costante sicura del suo straordinario talento. Una lirica bellezza nell'accensione smagliante di raffinati, penetranti accordi cromatici che per sua definizione dovevano possedere la distesa emozionalità "di un canto ben intonato".
Intelligente assimilatore con varie contaminazioni e influssi, in particolare nel primo periodo, dal 1954 e fin verso i primi anni Sessanta, conservando la libertà dello spirito e padrone di una personalità ben distinta (ecco un'altra similarità con Morlotti) che è l'inequivocabile identità dell'operare. A un primo periodo più dichiarato nel suo magma vitalistico, intricato di guizzi segnici, di grovigli, matasse, reticoli, intrecci di linee gestuali e colorismo rutilante cui non risultavano estranei sussurri e assonanze ai maestri antesignani dell'informale europeo, subentra un secondo momento più meditato, distillato con un accento più personale, liricamente disteso in una struttura compositiva più semplificata in pezzature giustapposte, con la materia mai inerte stesa con la spatola. Superfici compatte nella densità e varietà risonante dei colori maturi, profondi, smaltati o di increspata granulosità, a volte liquidi, di vitrea lucidità o di velata atmosfera avvolgente come negli splendidi grigio-cenere intensi di luce, con l'aggiunta di un decorativo labile grafismo dal segno spezzato simile a un sottile ricamo.
Alfredo Chighine non è ancora conosciuto o meglio conosciuto nella pienezza del suo valore come invece è già avvenuto per un maestro come Ennio Morlotti. Ma la strada è ormai aperta e il tempo è sempre riparatore, e questa mostra voluta dall'intraprendente Vittorio Poleschi per la sua galleria di Milano accomuna due grandi artisti, diversi ma simili nella contiguità manifestata dall'irrinunciabile aspirazione di tendere con coerente ostinatezza a risolvere il mistero dell'arte per conquistarne "una bellezza sufficiente in sé", secondo la persuasiva definizione di Roberto Tassi.

Informazioni

Morlotti e Chighine. Opere scelte


Luogo: Milano - Galleria Poleschi Arte
Foro Buonaparte, 68 - Milano

Periodo: dal 25 ottobre 2007 al 18 gennaio 2008

Inaugurazione: giovedì 25 ottobre 2007, ore 18

Orari: da martedì a sabato dalle 10/13.30 e 15.30/19.30; lunedì 16/20. Domenica 28 ottobre 16 / 20

Ingresso: libero

A cura di: Tino Gipponi

Catalogo: Edito da Poleschi Arte, con un testo di Tino Gipponi

Info: Galleria Poleschi - tel. 02 86997098 - 02 86997153 - fax 02 877339