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Donna che nuota sott’acqua di Arturo Martini (1889-1947)

Scultura in marmo di Carrara eseguita nel 1941 - 42

Ci vogliono dieci secoli per superare la Donna sott’acqua
(Arturo Martini, Colloqui sulla scultura, Treviso 1997, p. 205)

Donna che nuota sott’acqua, 1942

Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947)
Donna che nuota sott’acqua, 1942
Marmo di Carrara - Dim: 79 x 87 x 130 cm

Sono in molti a pensare che la Donna che nuota sott'acqua sia "uno dei capolavori della scultura italiana del nostro tempo" (G. Perocco, Arturo Martini, Milano 1966), a ritenere che sia "la scultura più importante del secolo" (N. Stringa, Arturo Martini al Museo di Treviso, Verona 1996, p. 34) oppure a definirla "marmo inimitabile…scultura per antonomasia" (C. Pirovano, Scultura italiana del Novecento, Milano 1991, pp.124-125).

Martini realizza la scultura dopo una lunghissima gestazione intellettuale. La geniale idea di rappresentare un corpo immerso nell'acqua è frutto della visione di Ombre bianche, un film (che è tra l'altro la prima pellicola sonora della Metro Goldwin Mayer) realizzato da W. S. van Dyke nel 1928 e ambientato in Polinesia. Una ripresa di donne che nuotano sott'acqua aveva colpito l'artista che aveva immediatamente pensato a una trasposizione in scultura, ma aveva poi abbandonato il progetto per quasi quindici anni.

Tra il 1938 e il 1940 Martini è nel pieno di una profonda crisi, durante la quale pensa di abbandonare la scultura per dedicarsi alla pittura e medita anche di rifiutare la cattedra che gli era stata offerta all'Accademia di Venezia; è quindi ancora più sorprendente che, a guerra ormai iniziata, l'artista trovi l'energia e la volontà per affrontare quelli che saranno i tre impegni maggiori dell'ultima fase della sua attività (tragicamente interrottasi nel 1947): il Tito Livio, i bassorilievi per l'Arengario e la Donna che nuota sott'acqua. Questa fase di eccezionale creatività culmina con la sala alla XXIII Biennale (1942) in cui Martini espone i risultati di questa fase della sua ricerca, che segnano il definitivo abbandono di una poetica naturalista.

Dell'opera si conosce un bozzetto in bronzo (1941-42, Treviso, Museo Civico) in cui l'invenzione plastica è già definita. Martini la trasferisce poi nel marmo bianco di Carrara servendosi di una parte dello stesso blocco utilizzato per il Tito Livio. Una volta terminata la scultura, con un gesto drammatico e risolutivo, l'artista decide di staccare la testa dal tronco. La forza plastica impressionante della scultura è in gran parte dovuta a questa difficile scelta, ancora più che alla novità del soggetto e dell'impostazione o ai volumi compatti e monumentali. La concezione di Martini è anzitutto plastica, scultorea: egli ritenne probabilmente che la testa, emergendo da uno dei lati, avrebbe sbilanciato la composizione che risulta invece riequilibrata e compattata da questo intervento. La mancanza della testa è anche funzionale all'allontanamento dal naturalismo a cui si accennava: il modellato di una testa conserva sempre qualcosa di inevitabilmente aneddotico che avrebbe contrastato con la pura scansione di masse che caratterizzano questa scultura.

La mancanza di un punto focale dominante, che la testa avrebbe sicuramente costituito, consente la fruizione della scultura da tutte le angolazioni e da tutte le altezze. Questo risultato - probabilmente il maggiore che un artista si possa aspettare - è testimoniato dal fatto che nelle innumerevoli riproduzioni di questa scultura gli angoli scelti per fotografarla sono sempre differenti. Per la maggior parte delle opere, anche tridimensionali, la scelta di una visione frontale è quasi obbligata o, anche nei casi migliori, ci si deve limitare a pochi punti di ripresa privilegiati e sempre ripetuti.

Martini, infine, può essere stato spinto verso la decisione di rimuovere la testa anche dalla volontà di confronto con la statuaria classica e antica, le cui opere ci sono spesso pervenute acefale o mutile. Il riferimento classico, rafforzato dal candore del marmo e, soprattutto, dalla scansione ritmica dei pieni e dei vuoti, dalle proporzioni e dalla compattezza del blocco è evidente e conferisce un carattere mitico e fuori dal tempo di questa scultura.

L'idea stessa di presentare un corpo immerso nell'acqua è rivoluzionaria e consente straordinarie possibilità plastiche ed espressive. Anzitutto Martini presuppone la presenza di un elemento - l'acqua - impossibile da tradurre in scultura. I tentativi fatti in passato di renderne nel marmo o nel bronzo il moto incessante si erano rivelati tutti inadeguati e sterili. Martini sceglie invece l'unica strada praticabile: suggerire la presenza dell'acqua imponendola all'immaginazione dello spettatore ed evitando la rappresentazione diretta. Questo effetto viene ottenuto con strumenti puramente scultorei. Quello che conta, infatti, per Martini è l'effetto che l'acqua esercita sul corpo: il sostegno alle masse immerse.

Ancora una volta si nota che Martini trascura gli elementi aneddotici (come ad esempio avrebbe potuto essere lo scompigliarsi dei capelli nelle onde) per concentrarsi sugli elementi specifici del suo linguaggio, con un approccio tipicamente contemporaneo che lo avvicina ai grandi scultori del tempo, ad esempio Costantin Brancusi, Henry Moore, Hans Arp.

L'immaginario sostegno dell'acqua permette di disporre le membra con la massima libertà, badando esclusivamente ai ritmi e all'armonia della composizione. L'acqua si dispone ad accogliere il corpo, di cui conserva un'impronta e ci restituisce il calco istantaneo di una posizione in movimento continuo. L'abbandono a un elemento avvolgente, al sostegno uniforme di un liquido che è anche simbolo di rinascita e rigenerazione, ha presumibilmente anche un significato simbolico e si pone certamente in parallelo col ritorno di Martini all'attività di scultore, a cui si accennava sopra.

Presentata alla Biennale di Venezia del 1942, la "Donna che nuota sott’acqua" non fu premiata, ma fu acquistata alla chiusura della mostra per 100.000 lire da un collezionista italiano, che la espose in rare occasioni fino al 1950. Dopo di allora, la scultura non fu mai più esposta in pubblico (nonostante siano documentate numerose richieste di prestito, in Italia come all'estero) e questo, insieme alla precisa nozione della sua importanza, ha contribuito a creare intorno ad essa un vero e proprio mito in absentia.

Arte Moderna e Contemporanea, catalogo Christie’s, Milano 24 maggio 2005, p. 128 - 131


Articolo pubblicato l'8 luglio 2005