Arte

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Paura della pittura di Carlo Levi e le paure di prospettive di Guido Sacerdoti
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Paura della pittura di Carlo Levi e le paure di prospettive

1944, Radio Firenze
di Guido Sacerdoti

La sera del 25 ottobre del 1944 dai microfoni di Radio Firenze Carlo Levi leggeva Paura della pittura. Quel testo lo aveva scritto due anni prima, e precisamente il 1° luglio del 1942, in un clima completamente diverso, quando il futuro dell'Europa era ancora oscuro. Lungo la guerra Paura della pittura per forza di cose non poteva essere pubblicato, così come non poteva essere pubblicato quel poema filosofico del 1939, del quale Paura della pittura può considerarsi uno dei capitoli, intitolato Paura della libertà, spietata analisi dei totalitarismi, delle guerre, delle religioni, degli Stati idolatrici1. Paura della pittura andrà alle stampe solo nel 19482, per poi venir riproposto in numerosi cataloghi ed essere richiamato da Levi in molti dei suoi scritti3.
"Poiché la pittura contemporanea, che ha inizio con la molteplicità cézanniana, che splende di disperata energia con Picasso, e che si spegne, caduta la sua Capitale4, con il realizzarsi nei fatti dei suoi vaticinii, è stata lo specchio divinatorio della crisi del mondo e dell'uomo, l'oracolo, misterioso nella sua semplice chiarezza, di un pericolo mortale"5.
Il pericolo mortale era la rottura "dell'identità dell'uomo col mondo, di ogni relazione come atto d'amore [...]. Costretti a vivere, ad accettare la vita in un mondo da cui si è assenti, assenti dunque ed estranei a noi stessi, avvolti dalla solitudine, nessuna passione ci è consentita, se non il terrore. Il terrore fondamentale e primordiale, la paura del mondo, della vita, della libertà, dell'uomo: la Paura della pittura [...]. Lo scritto si chiude con l'apparizione di un Levi-Messia che spazzerà via gli idoli della scissione dell'uomo dal mondo: "E forse è nato chi prepara, nei quadri, l'annuncio della fine della separazione, l'amoroso sorgere di una pittura senza terrore"6.

1942, "Prospettive"
In una natura morta di Francesco Trombadori, verosimilmente del 1942, intitolata Paura della pittura, è rappresentata, tra gli altri oggetti, una rivista dalla copertina rossiccia, sulla quale si legge distintamente un titolo: PROSPETTIVE - PAURA DELLA PITTURA. Si tratta della rivista diretta da Curzio Malaparte, per la quale Renato Guttuso aveva coordinato un'inchiesta sull'arte contemporanea7. Levi avrebbe dovuto inviare un suo contributo, che non arrivò probabilmente in tempo, o non arrivò affatto nella stesura che conosciamo come Paura della pittura8.
Guttuso aveva risposto alle proteste di Levi solo dopo qualche tempo: "Hai perfettamente ragione e, ti prego, scusa il mio silenzio. A me è dispiaciuto molto che non ci fosse il tuo pezzo in questo numero del quale s'era tanto pensato insieme e il cui titolo era nato da una tua frase, ti ricordi, di ritorno da Fiesole, sull'autobus"9.
La responsabilità sembra ricadere sulla direzione della rivista, e Guttuso insisterà ancora per avere il pezzo che Levi evidentemente non ha ancora inviato: " […] Malaparte ha affrettato la pubblicazione per cui sei rimasto fuori, mi ha intromesso Bartolini […]"10. "Intanto potresti scrivermi e mandarmi, infine, questo sospirato articolo, che io vorrei, a ogni costo, pubblicare" 11.
Ritardi a parte, le "varie ragioni" riguardavano l'antifascismo militante di Levi e il suo essere ebreo, condizioni evidentemente incompatibili con gli indirizzi di "Prospettive", che non andavano al di là di un timido atteggiamento di fronda nei riguardi del regime. In realtà tutti gli interventi dei "romanisti" su "Prospettive", a cominciare dall'editoriale di Guttuso, si muovono all'interno di un territorio alquanto angusto, se posto a confronto con l'ampiezza degli orizzonti esplorati da Levi, anche se lo stesso anno (1942) e il medesimo titolo (Paura della pittura) potrebbero apparire come una cornice cronologica e tematica potenzialmente unitaria. Lo sono bensì solo
formalmente, perché ai toni apocalittici, al dramma epocale evocato e alla chiarezza del bersaglio polemico individuato da Levi vediamo corrispondere il linguaggio stereotipato, il melodramma esistenziale, il ribellismo confuso di "Prospettive".
Ancora, la Paura della quale parla Levi ha il respiro epocale dei drammatici temi che riguardano la psicopatologia delle masse sugli scenari delle guerre e delle dittature. Le paure di Guttuso attengono piuttosto alla cronaca quotidiana delle discussioni tra artisti, e sembrano collocarsi come in un ambito privato indifferente alla tragedia che si consumava nel contesto storico – del quale c'è traccia bensì nell'oppressione, o nell'inquietudine, che gli stessi intellettuali conformisti verso i regimi totalitari certo vivevano: "Paura degli amici, dei nemici, dei critici, dei mercanti…" Non si rende esplicita, né da questo né dagli altri interventi, la ragione per la quale l'editoriale di Guttuso e l'intero fascicolo abbiano assunto l'impegnativo titolo Paura della pittura. Non è probabilmente casuale che anche nello scritto di Guttuso si ritrovi il termine "idolatria", però non nell'accezione iconoclastica del Levi memore del precetto biblico di non costruirsi idoli. L'idolatria alla quale si riferisce Guttuso sembra essere piuttosto quella che nutre il pittore nei confronti del formalismo, che lo costringe a ripetersi, ad aderire a canoni già praticati.
Sarebbe ingeneroso non contestualizzare (il fascismo è ancora al potere!) gli scritti dei pittori che collaborarono a questo numero di "Prospettive" (Renato Guttuso, Renato Birolli, Mario Mafai, Aligi Sassu, Orfeo Tamburi, Luigi Bartolini). Non è difficile, comunque, rilevare che le opere pittoriche di questi giovani negli anni Quaranta sono di gran lunga più "vere" ed esplicite delle loro divagazioni coeve raccolte nella rivista di Malaparte.


Note
1 Nell'introduzione del 1946 a Paura della libertà Levi accenna al progetto di stendere anche un capitolo sull'arte moderna: "Vi doveva essere una parte introduttiva, che mostrasse le cause comuni e profonde della crisi [...] e molti capitoli o libri sui singoli argomenti, dalla politica (con una analisi critica delle ideologie liberali e socialiste) all'arte (con una storia dell'arte moderna)": C. Levi, Paura della libertà, Einaudi, Torino 1946
2 Id., Paura della pittura, in Carlo Levi, con testo critico di Carlo Ludovico Ragghianti e un saggio inedito di Carlo Levi, Edizioni U, Firenze 1948. Si cita dalla ristampa in C. Levi, Lo specchio. Scritti di critica d'arte, a cura di P. Vivarelli, Donzelli, Roma 2001
3 Cfr. ad es. AAVV, Carlo Levi, nella collana Autoritratto delle edizioni "Carte Segrete", Roma 1970, pp. 99-205; C. Levi, L'arte luigina e l'arte contadina (1951), in Id., Prima e dopo le parole, a cura di G. De Donato e R. Galvagno, Donzelli, Roma 2001, p. 42; Id., Paura e coraggio dei miti, ivi, p. 57; Id., Ragioni di una scelta, in Carlo Levi. Mostra antologica, catalogo, Mantova 1974, pp. 9-10
4 Con l'ingresso dei nazisti a Parigi nel giugno del 1940
5 Id., Paura della pittura cit., p. 23
6 Ibid
7 "Prospettive", numero monografico Paura della pittura, VI, 15 gennaio-15 marzo 1942, nn. 25-27.
8 Riproponendo Paura della pittura in appendice ad una lettera a Mario Alicata sull'arte e la libertà in "L'Unità", 24 marzo 1963, Levi ricorda, sbagliando, che il suo saggio era stato effettivamente pubblicato su "Prospettive". Ma in nessun numero della rivista compare lo scritto di Levi. Per una ricostruzione della vicenda, si veda F. Benfante, "Risiede sempre a Firenze". Quattro anni della vita di Carlo Levi (1941-1945), in Carlo Levi. Gli anni fiorentini. 1941-1945, Donzelli, Roma 2003
9 Ivi, p. 22
10 Ibid
11 Ibid