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Le mani pietose di Käthe. Viaggio quasi alla rovescia nel cuore di una inciditrice1

di Flavio Arensi

"Talvolta i miei stessi genitori mi dicevano: "Ci sono anche cose piacevoli nella vita. Perchè mostri solo il lato oscuro?". Non avevo nulla da rispondere loro. L'altro lato, appunto, non mi diceva nulla. [...] Come Zola, o chi altro, una volta disse: "Le beau c'est le laid" (il bello è il laido)". Käthe Kollwitz

Il 10 agosto2 del 1914 Peter, come molti altri coetanei tedeschi, appena diciottenne riuscì ad ottener dai genitori lo straziato consenso di partire verso le trincee della Guerra; nessuno più oggi ricorda i nomi di quei caduti, e il loro sangue è semplice spreco. Quel giorno, la madre, l’artista Käthe Kollwitz, s’accorse - come un frutto non ancora maturo - d’aver liberato i suoi semi troppo precocemente perché attecchissero, e tutta la vita prese a scorrere nel doloroso ricordo di quel naufragio affettivo. Il catalogo della sua opera, che consta di circa duecentosettantacinque titoli grafici3, si chiude con la litografia del 1941 Saatfrüchte sollen nicht vermahlen werden4, citazione tratta dal goethiano Wilhem Meisters Lehrjahre, quale tentativo d’individuare uno schermo poetico alla follia della guerra, ma che divenne negli anni anche il suo "personale testamento"5 a difesa della collettività. Un rimando che è manifesto avvincente, poiché a differenza della sorte di Wilhem, messo nella condizione di maturare il proprio destino anche attraverso le peripezie assurde della giovinezza, i "semi" di casa Kollwitz (il figlio e il nipote omonimo, sacrificato nella seconda Guerra Mondiale), furono macinati in battaglia. Laddove il romanzo di Goethe tenta di declinare le aspirazioni dell'individuo estetico alle costrizioni di una società dominata dalla legge economica, l’opera della Kollwitz invece abbandona qualsiasi forma dialogica col potere, scegliendo piuttosto d’accompagnare le masse nel loro cammino talvolta desolante, e desolato. Nell’incisione Saatfrüchte, l’abbraccio della madre che accoglie come un qualsiasi animale spaventato, ieratica tuttavia, i suoi piccoli, raggela nel loro sguardo sospeso: in attesa di qualcosa che deve giungere inesorabile. La tensione si accumula al centro della scena, dove le grosse feline mani della madre, scimmiesca, si toccano, pronte a serrare qualora la minaccia concreti le intimidazioni. Non sono le mani disperate degli anni d’inizio secolo, alzate al cielo per richiamare il popolo alla rivolta (Carmagnole6, pagXXXX), o l’atrocità che disperante diventa pugno da calcare sulla fronte (Not7, pagxxxx), né quelle puntate all’estremità del cielo per chiedere la pace (Nie wieder Krieg8), oppure quelle pensose di molti autoritratti: qui sono sintesi di pietas, di serena rassegnazione, stanchezza. Sentimenti che già nel 1935 in Ruf des Todes (pag. XXX9) le permisero di rimanere impassibile al richiamo della Morte, la cui mano placida invita senza violenza - avvicinandole la spalla - ad intraprendere il grande viaggio, colla cortesia dell’amica che ti ricorda l’incombenza trascurata.
Le mani delle tante persone che affollano le incisioni di Käthe Kollwitz sono un prezioso indice per comprenderne le vicende, e insieme, divengono il commento partecipato alle sorti di altre anime. Mani che spesso si trasformano in abbracci, e poi strangolamenti, mani che offrono, tolgono, talvolta cercano di trattenere appassionate, anche invano come in Frau mit totem Kind10 del 1903 (pag.xxx), altrimenti con la compostezza manzoniana della madre di Cecilia, pronta a condividere la fine della sua creatura in totale abbandono; In Zertretene arme Familie11 (pag xxx), la mano del padre si rivolge alla moglie, poco sopra il viso afanitico della bambina, tra i cui capelli ancora più vetrosi giocano le sue dita toccando una vita ormai spenta; la particolarità di questa lastra non è l’inaudito sconforto del cappio teso dall’uomo ai famigliari, nel segno di una speranza troncata ed inaccessibile, ma gli occhi che smettono di volgere ad un panorama futuro, nel dolore cieco del padre, nella rassegnazione della donna, nella coscienza sfinita della figlia, in un gioco piramidale che inverte gli schemi antichi calando dall’alto lo sconforto anziché il sollievo. A un certo punta della sua vita, la Kollwitz pose fine alla drammaturgia sociale attraverso il ciclo Tod, ossia smise d’osservare la vita, finanche quella a breve cessante, per dedicarsi completamente alla Morte, senza più giri di parole, chiamandola al suo capezzale; ed è curioso che ad anticipare questa tematica, vi siano una serie di fogli di carattere tenero, spesso narrativi o popolari (cartellonistici), incentrati sul rapporto madre-figlio, con la grazia magari desunta dai delicati movimenti delle maternità duccesche, dove la carezza del Bambino alla Madonna qui non può che ribaltarsi sia di ruolo che di significato. E vi è una di queste sue Mutter12 (del 1929) intenta a camminare tenendo per mano l’infante piegata di lato, e subito viene in mente l’aratore della Bauernkrieg (pag. xxxxx) che ventitré anni prima trascina il vomere, in uno dei lavori più belli dell’artista. Queste donne coi loro bambini, per lo più in racconti al femminile dal riserbo e da un’intimità di sapore matriarcale, stemperano le crudezze della breve però intensa epopea di Proletariat sviluppata fra il tra il 1924 e il 1925 (benché pubblicata da Emil Richter nel 1926) e la serie di otto fogli litografici eseguiti tra il 1934 e il 1938 - pubblicati singolarmente - di Tod, ossia divengono il raccordo mediano fra questi due momenti esaltanti della produzione incisoria della Kollwitz; stanno nel mezzo13 come un balsamo tra le fatiche per la sopravvivenza del proletariato e delle classi meno abbienti, e la chiamata della nera Signora, ma nondimeno segnalano la vita, la maternità che prolifica pur nella miseria; un’onda lunga che s’affaccia nel primo foglio del ciclo Tod del 1934 (Frau vertraut sich dem Tode an14), dove, nello spirito accogliente delle maternità che lo anticipano, la Kollwitz piantò le sementi della cruda presenza della Morte, ma soprattutto dell’ineluttabilità cui è sottoposto il destino umano, appunto il morire. Il ciclo Tod, ultima grande fatica dell’artista (in anni di una produzione incisoria rarefatta), coi suoi recessi grigioscurali, opposti alla netta bicromia che si muove per punti di luce (e d’ombre) della xilografia, è in qualche modo come il cenno docile della donna che offre la mano alla nemica Morte nella prima incisione, mentre i figli le si rintanano nel grembo, lasciando intendere quella remissiva e flebile partecipazione all’ultima chiamata, al crepare; è un tendere la mano al mistero atroce del perire, al suo avvinghiare senza pietà le persone deboli, gli affamati, gli idealisti, come il figlio Peter, come il politico Karl Liebknecht. Nel ciclo Tod, si prende commiato dalla trincea della vita, dopo una lunga battaglia perduta in partenza, mentre nei precedenti, denunciando l’assurdità del morire, e di certo morire, evince lo sforzo di capovolgere la sorte, ergere il trionfo pomposo della vita, anzi offrire il pretesto per scardinare i nessi causali del trapasso. Paradossalmente, questo irrompere nella vita è dato dalla mano della donna che nell’acquatinta Schlachtfeld15 (pag.xxx) si flette sul corpo di uno dei contadini uccisi in battaglia, secondo quando potè immaginare la Kollwitz leggendo il Der Grosse Deutsche Bauernkrieg di Wilhelm Zimmermann16, ambientato nella Germania rurale del XVI secolo: della figura femminea, ritorta, vestita di notte, è la mano posata sotto al mento del defunto ad illuminare come un fulmine l’ambientazione offuscata. Nel bozzetto conservato presso il Käthe Kollwitz Museum di Berlino, le gambe della figura sono piegate, e le dita bianche toccano le labbra del morto, in una sorta di ultimo bacio troppo difficile da offrire. Nell’incisione, il biancore della mano raggiunge il volto dell’uomo per accertare il ladrocinio di una vita ad opera della Morte: si tocca per sapere, per tenere. L’incredulità di Tommaso affonda nella carne del Cristo risorto di Caravaggio, aprendo la ferita nel costato destro, come racconta la tradizione, mentre altri due apostoli osservano ciò che non osano ma farebbero; qui, di converso, in questo campo di salme silenti, la fisionomia grottesca, bestiale, è di una femmina che non ha niente cui credere, aggrapparsi, e ancora meno in cui sperare. Le mani di questa vedova si sarebbero potute riposare sulla falce de Beim Delgen? (pag. xxx), oppure trattenere l’arma e una sciocca aspettativa in Bewaffnung in einem Gewölbe (pag. xxx), oppure alzarsi per lanciare con odio l’assalto in Losbruch17 (pag. xxx); sarebbe potuta essere la sposa del contadino che porta l’aratro (pag.xxx), e sarebbe in quel caso lui a torcersi fino a diventare un animale strisciante (Heinrich Zille, 1900, ill. xxxxxx); senza dubbio, simile al marito o all’amante, al fidanzato o al figlio, insomma quel corpo che esangue sta come una patata sul campo, la donna è schiava e vittima della sua condizione di contadina: ben altra immagine dall’aurorale contesto del romanticismo agreste di alcuni artisti francesi o inglesi d’inizio Ottocento, come in "The Early Ploughman" (l’Aratore primordiale), un’eloquente incisione di Samuel Palmer spesa a mitizzare il lavoro della terra.
Col buio pecioso ed inchiostrale la Kollwitz drammatizzò le incisioni conferendo loro il senso estremo della frase "il dolore è interamente nero" annotata nel diario il giorno di santa Lucia del 1922, l’anno in cui l’Ulisse e la Terra desolata posero il punto e a capo all’esperienza della letteratura e della poesia, mentre lei approfondì l’uso della xilografia, iniziando il suo ciclo più scultoreo e sofferto, il Krieg18. La sua arte è soprattutto arte del disegno, ma l’influenza (e l’amicizia) di uno scultore come Ernst Barlach (che diede i lineamenti dell’amica al volto del suo Todesengel - angelo della morte - di Güstrow) si avverte nei blocchi che compongono i passi principali della tematica. Si tratta di crocchi umani, nuclei di vicende luttuose in cui l’elemento tridimensionale funziona come concretizzazione della sofferenza, che - a dispetto del passato - non cerca la descrizione ma la sintesi del disagio. La forza espressiva della litografia puntualizza l’intento, in nuce alla fine degli anni Dieci - forse nella rielaborazione del lutto per la perdita del figlio - di cercare una dimensione solida dell’immagine che con altre tecniche incisorie la Kollwitz non sembrò ottenere. Le prime xilografie del 1920, ed in particolare Zwei Tote (A.v.K 158), in quel abbraccio fra mani essenziali e forti, dimostrano già una consistenza nuova, che nella ripresa del compianto sul corpo di Liebknecht19 diventa un vero e proprio recupero della tradizione lignea del gotico rustico mecklenburghese. I compagni che giungono a piangere il leader socialdemocratico sono fissi e stabili come perduti nell’angoscia della sconfitta irrimediabile, tuttavia colpiti da uno strano movimento di inquietudine, tanto quanto i giovani volontari che nel secondo foglio20 (pag. xxx) del Krieg, in un moto serrato di mani che cingono fra loro, sono trascinati dalla Morte: due rapidi segni curvi sopra le loro teste segnano lo spostamento, e la forma altrimenti non dinamica si muove al ritmo battuto sul tamburo della Signora. Ma è in Die Mutter21 (xxxx), sesto foglio del ciclo, che l’impostazione plastica si manifesta con maggiore intensità (esiste infatti anche una scultura, che insieme a Die Eltern22, deve considerarsi uno dei pezzi migliori); le madri si stringono una all’altra, formando una fortezza di carni per proteggere i bambini, spaurite, tuttavia vigili quanto lupi che attendono il cacciatore. Die Mutter anticipa e dialoga con Saatfrüchte, dopo vent’anni l’animo della Kollwitz non parrebbe cambiato: è semplicemente più affaticata (esistenzialmente), più disillusa; le giovani madri della xilografia sono nette, una coralità di mani che si aggrappano, come i prigionieri di Die Gefangenen23 (pag. xxx) ma con l’irruenza della Frau mit totem Kind (pag.xxx), la stessa paura da spezzare il fiato e bloccare i muscoli. La madre di Saatfrüchte è si protettiva, ma consapevole dei limiti umani, e questa consapevolezza rende tutto più mitigato, eppure non meno difficile da sopportare o capire; in questa incisione la figura materna è centrale, accogliente: si è citato l’incontro tra l’artista tedesca e l’arte italiana del Quattrocento, si è detto di Masolino e Masaccio24 però potrebbe pensarsi all’iconografia più ampia della Madonna della Misericordia, disponibile in molta scultura nordica, e pregevolmente in Piero della Francesca25. In tal caso, laicamente, si sostituiscono i fedeli con i tre bambini, e la Vergine con l’immagine avvolgente della donna. D’altro canto, il clima di Die Mutter è claustrofobico, concentrato in un ammassato nero scolpito da tocchi di luce bianca, con la silhouette limitata dai grembi di due giovani gravide, una delle quali - a sinistra - compie un gesto di allontanamento, e sovviene alla memoria la Madonna del Parto, di Piero26, che invece una mano la pone sul grembo gonfio come un frutto maturo già spaccato per lasciare i suoi semi. Quella mano è un segnale di fiducia, non allontana nessuno, ma accarezza la speranza che nascerà; sembra in certe occasioni che la gravidanza diventi nella Kollwitz un’aspettativa di cambiamenti, quasi le generazioni successive possano modificare la società ormai allo sbando. I figli sono comunque una ricchezza da proteggere e aiutare, cui tendere le mani compassionevoli di Helft Russland27 (pag.xxx); la popolazione schiacciata non ha altra ricchezza del futuro, dunque della prole, ma allo stesso tempo tale loro ricchezza appare debilitata e precaria - peritura. Nelle tre incisioni di Proletariat28 (elaborate nel biennio del 1924/5), l’artista mette a fuoco l’essenza del proletariato: in Erwerbslos (pag xxx), si ripropone l’ambiente famigliare di Zertretene (pag.xxx), ma questa volta il capofamiglia, anziché porgere il cappio, stringe il proprio collo - simulando di strozzarsi - con la mano, eletta per cenni luminosi nel buio pesto dell’inchiostro xilografico, mentre la moglie lo affianca, muta nella luce che proviene dalla finestra di spalle, e il figlio con gli occhi sbarrati dalla fame mostra la mano pallida e il cucchiaio pronto per la minestra. L’aura vangoghiana dei Mangiatori di patate qui si asciuga all’estremo, in un grido disperante per l’indigenza. Il secondo foglio, Hunger allestisce la Morte che frusta e rapisce un adulto ormai riverso (riproposta a tinte forti di Wien stirbt! Rettet seine Kinder del 1920, A.v.K. 148), mentre la fame aggredisce e zittisce i bambini urlanti. Anche in questo caso, come in Kindersterben, che non è altro della naturale fine dei piccini affamati, l’episodio erompe dall’oscurità, una tetraggine metaforica da cui fuoriescono le figure umane, delimitate in piccoli segni luminosi; la bara del bambino (Zille, ill. xxxx) sorretta dalle grosse mani materne raccoglie l’estremo riposo del piccolo, in un attimo di sovrumana dignità disarmante. Ugualmente ad altri cicli, in Proletariat la Kollwitz delineò una storia, una vicenda che senza per forza focalizzarsi su un unico protagonista è in grado di comporre una trama episodica. A partire dagli anni Venti, ed in particolare con l’assunzione della xilografia, il palcoscenico dell’artista si popola di ombre minimali, forme icastiche, smagrimenti dei personaggi popolani comparsi nei lavori giovanili.
A metà degli anni Ottanta del Ottocento la Kollwitz studiò a Berlino alla scuola di Karl Stauffer-Bern, grazie al quale ebbe modo di incontrare Max Klinger, rimanendo affascinata dalla sua cartella incisoria Ein Leben29, tanto da spingersi a provare ella stessa la tecnica dell’incisione; da qui - per esempio - trasse alcuni spunti interessanti: da Sogni (Eine Leben foglio 3, ill. xxx), la geometria ingegneristica delle figure ammassate, o la grande mano su cui si equilibra la ragazza nuda in Ritratto nel nulla, (Eine Leben foglio 15, ill. xxx), ossia il cadavere di La morte come salvatrice (Vom Tode I foglio 10 del 1889, ill. xxx), il cui impianto potrebbe ritornare in Aus vielen Wunden blutest du, oh Volk30, (pag.xxx), inizialmente inserita nel ciclo Ein Weberaufstand31, poi ritirata. Del 1890 è la prima incisione Studienblatt (ill.xxx, A.v.K. 1), in cui si abbozzano alcuni particolari anatomici: il ruolo delle mani all’interno delle illustrazioni inizia a predisporsi (Handstudien del 1891, A.v.K 7, ill. xxxx), caratterizzando alcuni fogli, come An der Kirchenmauer (A.v.K. 17) ove la faccia coperta dalle dita assurge a metafora di una vitalità scoraggiata. Dall’opera di Klinger la Kollwitz mutuò l’idea di seguire le vicende umane, non però di un solo protagonista, bensì dell’intera comunità; l’occasione giunse nel 1897 ? quando ebbe modo di esporre parte del suo primo ciclo (iniziato cinque anni prima) Ein Weberaufstand, ispirato al brogliaccio di Gerhart Hauptmann Die Weber e ancora a certe atmosfere da romanzo di Emil Zola. Pur ammirando le grandi capacità del maestro, e a certe sue divagazioni nell’inquietudine poetica dell’inconscio, o meglio della notte, la Kollwitz cercò di rendere il contesto narrativo efficace, senza concedere nulla alla prosopopea politica. Si richiamano anche gli ambiente della pittura tedesca di fine Ottocento, in particolare Max Liebermann (vedasi il suo celebre dipinto Tessitoria di Loren del 1881, ill.xxx), benché il clima respirato provenisse da più lontano, non solo le battaglie intellettuali dei socialisti, ma il vento artistico spirante dalla Russia e ricondotto nelle scene popolari rappresentate di Vassilij Surikov (La presa della città di neve del 1891 ne è un campione) o la celebrata opera di Ilya Repin I battellieri del volga (1870-1873). Il tessuto melodrammatico di Hauptmann conta nell’impostazione iniziale, ma le scene esulano dal testo d’origine, quantunque le opere dimostrino un certo portato teatrale. Le incisioni, tre litografie e tre acqueforti, svolgono la trama partendo dalle motivazioni di base della rivolta, sviluppando una scansione ritmica assillante: la miseria della classe operaia e dei tessitori conduce inesorabile alla morte dei più poveri, facendo così insorgere prima gli intenti cospiratorii, poi la insurrezione, quindi la sconfitta (prevedibile). Das Ende32 (pag. xxxx) è persino disarmante: una fine annunciata, coi corpi dei rivoltosi morti ai piedi dei telai-sarcofagi, mentre una figura nera, dai pugni candidi, come un cero di sego, guarda impotente svanire i suoi sogni. I semi di un destino migliore sono andati perduti. La Kollwitz non accettò mai la prevaricazione sociale, al di là dei proclami politici e di un etica laica, consacrante la vita umana e la dignità di ogni essere vivente. Soprattutto non poté accettare, ancor più dopo la scomparsa del figlio, di veder facilitato il lavoro alla vecchia nemica Morte, non senza una fioritura completa della vita. Saatfrüchte sollen nicht vermahlen werden. Quando il 5 ottobre 1914 scrisse sul Diario "Lettera d’addio a Peter. Come se il figlio mi fosse ancora una volta staccato dal cordone ombelicale. La prima volta per la vita, ora per la morte", il ruolo del nascituro e del morituro si confondono; chi ha dato vita e morte a chi? Chi ha bucato la terra per deporre il suo seme prezioso e chi ne ha strappato il germoglio? Tutto è lotta, tutto è combattere./ Merita l’amore e la vita/ Solo chi giorno per giorno deve conquistarli (Goethe).

Note:
1 Giovanni Testori, nel 1980, parlando di Federica Galli riscoprì il vocabolo desueto che identifica il femminile del termine incisore.
2 Per i riferimenti relativi ai Diari (come in questo caso) e degli scritti autografi di K. Kollwitz si rimanda alla selezione bibliografica approntata negli apparati in catalogo.
3 Secondo la catalogazione di A. von dem Knesebeck (vedasi bibliografia).
4 I semi da frutto non devono essere macinati Lehrbrief , litografia (realizzata nel dicembre del 1941), catalogo A. von dem Knesebeck n. 274); il titolo è mutuato dal testo goethiano "Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister". D’ora in poi il catalogo generale verrà indicato come A.v.K.)
5 Diario del 1941 (dicembre).
6 Carmagnola, acquaforte (1901), A.v.K. 51, ispirata al romanzo di Charles Dickens The tale of two cities (Racconto di due città).
7 Miseria, litografia (1893/7) A.v.K, primo foglio del ciclo Ein Weberaufstand (Una rivolta dei tessitori).
8 Mai più guerra, litografia (1924) A.v.K. 205
9 La morte chiama, litografia (1935), catalogo A.v.K 169.
10 Donna con bambino morto, acquaforte (1903) A.v.K 81.
11 Calpestati, acquaforte (1900) A.v.K. 49 bis. L’incisione è tanto foglio autonomo, che parte composita della lastra Aus vielen Wunden blutest du, oh Volk.
12 Mutter Krausen’s Fahrt ins Glück (Il viaggio di mamma Krausen verso la felicità). Questa incisione del 1929 (A.v.K. 248) è stata scelta come immagine guida del film omonimo diretto da Piel Juzi cui la Kollwitz partecipò come consulente artistico (vedasi la nostra scheda a pag.xxxx del presente catalogo). Per tale motivo l’opera è precedentemente catalogata dal Klipstein (scheda 238) come Plakat zum Zille Film, lasciando cioè intravedere un netto richiamo alla prima parte del film nella quale vi è una sequenza dedicata all’opera di Heinrich Zille.
13 Credo che queste "maternità dolenti e reali" possano cominciare nel 1926, si potrebbe pensare con Städtisches Obdach del 1926 A.v.K 226, per finire con il primo foglio del ciclo Tod, Frau vertraut sich dem Tode an (Donna che si affida alla Morte) del 1934 A.v.K 264.
14 Tod (Morte), l’ultimo ciclo grafico della Kollwitz inizia col foglio Donna che si affida alla Morte (1934), A.v.K. 264.
15 Campo di battaglia, acquaforte (1907), sesto foglio del ciclo Bauernkrieg (Battaglia dei contadini), A.v.K 100.
16 Per i rapporti fra la Kollwitz e la letteratura rimando al testo di Micaela Mander in questo catalogo.
17 Le tre incisioni appartengono al ciclo Bauernkrieg, e sono Affilando la falce (1905) A.v.K 88; Presa d'armi nella cripta (1906), A.v.K 96; L'assalto (1902-03) A.v.K (70).
18 Guerra, secondo ciclo dell’artista è composto da sette xilografie eseguite tra il 1921 e la fine del 1922.
19 La prima opera commemorativa è un acquaforte, A.v.K 145, poi come xilografia in diversi stati A.v.K. 159.
20 Die Freiwilligen (I volontari), xilografia (1921-22) A.v.K.173.
21 Le madri, xilografia (1922) A.v.K. 176.
22 I genitori (tema affrontato anche nell’incisione), è scultura monumentale posta nel 1932 al cimitero di Roggevelde (Belgio), non censurata dai nazisti sarà poi spostata al cimitero militare di Vladsloo-Praedboch (Belgio); stessa sorte è capitata al monumento intitolato La Madre, del 1931/32
23 I prigionieri, acquaforte e cera molle (1908), A.v.K 102, settimo e ultimo foglio de Bauernkrieg.
24 Catherine Kramer, Käthe Kollwitz, Bergamo 1993, pag. 113.
25 L’opera è situata nella Pinacoteca comunale di San Sepolcro.
26 L’opera è allestita all’interno delle ex scuole di Monterchi, in sede provvisoria ormai da decenni.
27 Aiutiamo la Russia, litografia (1921), A.v.K. 170. l’incisione verrà utilizzata per fare un cartellone pubblicitario in soccorso alla popolazione russa.
28 Proletariato comprende tre fogli xilografici, qui citati nell’ordine: Disoccupato (1924-1925) A.v.K. 215; Fame (1925) A.v.K. 222; I bambini muoiono (1924-1925) A.v.K. 216.
29 Kramer, op.cit. pag. 42. Klinger lavorò al ciclo Ein Leben (Una vita) dal 1880 al 1884, ispirandosi al romanzo Alberatine di Christian Krohg, in cui si racconta l’ascesa sociale e la caduta (fino alla prostituzione) della protagonista.
30 Da tante ferite sanguini tu, o popolo, acquaforte (1893-97) A.v.K 32.
31 Una rivolta dei tessitori. L’intento iniziale era di raccontare il malessere dei tessitori, ispirandosi alla letteratura, in primis il romanzo della rivolta operaia di Emile Zola, Germinal (1885), ma nel febbraio del 1893 Gerhart Hauptmann mette in scena la prima teatrale Die Weber (Tessitori) al Freie Bühne di Berlino, offrendo alla Kollwitz il pretesto migliore.
32 La fine, litografia, (1893/7) A.v.K. 38.


Articolo pubblicato il 12 aprile 2006