Arte

Conversazione con Arnaldo Pomodoro

di Ivana Riggi

Arnaldo Pomodoro è considerato uno dei più grandi artisti a livello mondiale. Oggi sono felicissima perché ho l'opportunità di potere conversare con lui.

Maestro Pomodoro, la ringrazio per avere accettato il mio invito.
Se è d'accordo, mi piacerebbe che iniziassimo a tracciare un suo profilo umano.
Lei nasce a Morciano di Romagna nel 1926 e si trasferisce a Milano agli inizi degli anni Cinquanta. Mi racconterebbe qualche ricordo legato alla sua famiglia, alla sua terra di origine? Il capoluogo lombardo ha in qualche modo influenzato la sua formazione artistica?
Le prime immagini che ricordo sono le rocce, le fenditure aspre e misteriose, la natura stessa dei luoghi meravigliosi del Montefeltro, dove ho trascorso l'infanzia e l'adolescenza. Poi le cose fatte dai grandi artisti, da Raffaello, a Piero della Francesca, a Bramante, a Francesco di Giorgio Martini. Ciò che mi è rimasto a lungo in mente (non ricordo che età potevo avere, forse attorno i 13-14 anni) è il Castello di San Leo, perché mi chiedo tuttora dove finisca la pietra e incominci la costruzione, l'intervento umano e architettonico. Dalle Marche mi sono trasferito a Milano nel 1954. La città allora era estremamente viva e vitale, con un'impronta europea e internazionale. Ho cominciato a frequentare artisti e uomini di cultura e ad avere l'appoggio dei poeti e degli scrittori. Fondamentale è stato l'incontro con Lucio Fontana: per tanti artisti più giovani Fontana è stato maestro nel comprendere le capacità e i percorsi di ricerca individuali attraverso il suo formidabile senso del nuovo. Per me è stato come un padre che mi ha stimolato, incoraggiato, seguito sempre.

La luna il sole la torre, 1955. Argento e juta stuccata e patinata, 38 x 48 x 3 cm. Foto Giorgio Boschetti

Tavola dei segni, 1957, II, 1957. Piombo e legno, 34 x 51 x 5,5 cm. Foto Giorgio Boschetti

Grande disco, 1972. Bronzo, ø 450 cm. Milano, piazza Meda. Foto Francesco Radino

Colonna a grandi fogli, 1972-1975. Bronzo e acciaio, 13 x 2,20 x 2,20 m. Segrate, Sede della Arnoldo Mondadori Editore Foto Gianfranco Gorgoni

Colpo d'ala: omaggio a Boccioni, 1981-1984. Bronzo, 380 x 400 x 550 cm. Los Angeles, Department of Water and Power General Office Bldg. Foto Carlo Orsi


Pillari per Amaliehaven, 1982-1983. Bronzo patinato, 2 colonne 900 x 80 x 80 cm; 2 colonne 700 x 80 x 80 cm. Copenaghen, The Amalie Garden. Foto Gianfranco Gorgoni

Grande Portale Marco Polo, 1988-2008. Bronzo, 12 x 10 m. Shangai, Expo 2010, Padiglione Italia. Foto Carlo Orsi

Obelisco Cassodoro, 1988. Bronzo, 525 x 90 x 90 cm. Lampedusa, piazza della Libertà. Foto Carlo Orsi

Sfera con sfera, 1989-1990. Bronzo, ø 400 cm. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cortile della Pigna. Foto Carlo Orsi

Moto terreno solare, 1989-1994. Cemento, h da 3 a 9 m x 90 m. Marsala, Simposio di Minoa. Foto Ermanno Casasco


La grande prua: omaggio a Federico Fellini, 1993-1994. Bronzo, 375 x 375 x 270 cm. Rimini, Cimitero, sulla tomba di Federico Fellini e Giulietta Masina. Foto Antonia Mulas

Novecento, 2000-2002. Bronzo, 21 x ø 7 m. Roma, piazzale Pier Luigi Nervi. Foto Carlo Orsi

Arco per Tivoli, 2007. Bronzo e acciaio inox, 7 x 14 x 2 m. Tivoli, Piazza Garibaldi. Foto Nino Lo Duca

Arnaldo Pomodoro. Foto Carlo Orsi

Arnaldo Pomodoro. Foto Dario Tettamanzi

Nei primi anni Sessanta, insieme a  suo fratello Giò, Perilli, Novelli, Turcato, Dorazio, Fontana, ha fatto parte del gruppo Continuità. Che tipo di esperienza è stata e quale crescita le ha apportato?
L'esperienza di “Continuità” è stata molto importante: tra il 1958 e il 1959 ci furono vari incontri e poi seguirono le prime mostre presentate da Guido Ballo, Giulio Carlo Argan e Franco Russoli. Ci frequentavamo sempre moltissimo, discutendo e anche polemizzando: per tutti noi il problema era quello di organizzare il segno in modo nuovo, più strutturato. Ho cominciato allora a muovere le mie superfici piane e segniche, a curvarle fino a realizzare la prima Colonna del Viaggiatore che è datata 1959. Ho cominciato a capire dunque che la mia via era muovere la superficie, convessa e concava, con una mia serie varia di segni. Mi ricordo che Guido Ballo li definì “tagli di infinito”.

Lei ha vissuto anche all'estero, però, se non erro, non ha mai abbandonato definitivamente l'Italia? Perché? Ha qualche rimpianto o va bene così?
Sento forte il legame con la mia terra: le mie radici sono qui. Ma devo molto agli Stati Uniti, dove sono andato per la prima volta nel 1959: in USA ho capito che il problema era confrontarsi con uno spazio tutto diverso dal nostro. Quando, nel 1966, l'Università di Stanford in California mi ha invitato come “artist-in residence”, mi sono ritrovato nell'ambiente della ricerca scientifica e tecnologica e ho potuto visitare i centri della progettazione del nuovo, che mi colpirono moltissimo. Ho poi insegnato anche a Berkeley ed è stata un'esperienza straordinaria. E proprio dall'University Art Museum di Berkeley è iniziata nella primavera del 1970 la mia prima mostra itinerante nei campus e nei musei americani che è proseguita alla Fine Arts Gallery di San Diego, all'Art Museum di Portland, all'University Art Museum di Austin, per concludersi nell'estate dell'anno successivo al Wadsworth Atheneum di Hartford, in Connecticut.

"Tutto è stato mercificato. La gente con i soldi vuole comprare l'arte mentre l'arte non si compra". Questa è stata una sua dichiarazione a Selezione del Reader's Digest. Cos'è l'arte? Che periodo storico è per la cultura in Italia?
Penso che la forza dell'arte dipenda dalla capacità di interpretare e sintetizzare il proprio tempo e, a volte, persino, di anticiparne le tensioni e le dinamiche. Sono molto sensibile alla responsabilità artistica che, secondo me, ha un carattere etico: esprime non solo un autore e uno stile suo proprio, ma anche i motivi della civiltà in cui viviamo. Oggi c'è molta dispersione e incertezza. Anzitutto l'informazione nei giornali e in televisione orienta il pubblico verso le manifestazioni più spettacolari; si parla già da anni del vizio o dell'effetto di “spettacolarizzazione” che disperde la vera qualità inventiva nel nostro mondo: “grandi mostre” solo nel titolo, operazioni commerciali più o meno deteriori, vuote ricorrenze storiche…

All'inizio della sua carriera ha realizzato dei gioielli. Qual è il suo rapporto oggi con i monili? Com'è avvenuto il passaggio alla scultura monumentale?
All'inizio del mio lavoro le opere erano piccole o medie: ho composto le mie Tavole dei segni e poi le Tavole dell'agrimensore con una fitta serie di segni, un tracciato di punti, nodi e fili, come una scrittura arcaica e illeggibile. Usavo materiali come il piombo, facile da fondere, e talvolta l'argento, utilizzando una tecnica di sapore primitivo, conosciuta nella vecchia bottega di un orafo a Pesaro, la fusione con l'osso di seppia. Così come nelle opere più grandi fino alle sculture monumentali mi avvalgo sempre del metodo di fusione a cera persa in bronzo.
Sul passaggio dai gioielli e dai piccoli oggetti scolpiti alle opere scultoree, concordo con il giudizio critico di Gillo Dorfles che, contraddicendo chi leggeva le mie sculture degli anni Sessanta e Settanta come gioielli "ingranditi" così ha scritto: “già le opere di oreficeria di Arnaldo Pomodoro erano delle ‘statue in miniatura', dei modelli di sculture future che solo per ragioni economiche non era possibile ancora allora realizzare”.

Le sue opere sono presenti nelle più importanti città del mondo: Roma, Milano, Tivoli, Torino, Terni, Copenaghen, Brisbane, Dublino, Los Angeles, per citarne alcune, appaiono inoltre nei maggiori musei mondiali come pure al Mills College in California, nel Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, al Cremlino e all'ONU.
Da buona siciliana mi soffermo adesso sulla mia isola. Sam Hunter ha affermato che  Moto terreno solare, commissionato per il Simposio Minoa a Marsala, è da considerare una delle avventure “ambientali” più originali e coraggiose di Arnaldo Pomodoro.  Questo articolato complesso scultoreo, alto dai tre ai nove metri, e lungo circa novanta, è stato realizzato in cemento secondo una tecnica di costruzione inventata dall'architetto Pierluigi Nervi. Che tipo di procedimento è?
Moto terreno solare è un'opera essenzialmente architettonica; basata, cioè, e originata da precise "funzionalità" spaziali. Ci troviamo in questo caso di fronte a una parete-scultura, a un alto rilievo di cemento, dalla forma plastica in divenire che si differenzia nettamente da altre mie opere monumentali riferibili all'architettura per i materiali e i metodi usati: lo scheletro di cemento con diverse reti metalliche sulle quali è stata “gettata” sempre in cemento la forma definitiva. Dove “il movimento dell'opera che sembra emergere dall'acqua è il risultato - come acutamente commenta Aldo Colonetti - di questa straordinaria complementarità tra invenzione formale e soluzione strutturale”.

Che rapporto ha con gli architetti e con l'architettura? Ne esiste qualcuno di cui apprezza particolarmente i progetti?
L'ideale per uno scultore è ambientare le proprie opere all'aperto, tra la gente, le case, le vie di tutti i giorni. Infatti, come diceva Hegel, la scultura è una presa di un proprio spazio entro lo spazio maggiore dove si vive e ci si muove e ha senso se trasforma il luogo in cui è posta. La scultura diventa così il modo di mutare il senso di una piazza, di un ambiente e inventare uno spazio per la dimensione urbana. Esiste, perciò, uno stretto e complesso rapporto fra l'arte e l'architettura, e particolarmente fra la scultura e la città: il lavoro di integrazione tra architetto e scultore è una cosa problematica e interessante, contiene sempre uno stimolo reciproco, al quale io mi sento disposto. Mi è accaduto spesso d'intervenire in collegamento con architetti: a Segrate, per la casa Editrice Mondadori, di fronte all'edificio con la dinamica facciata ad arcate continue progettato da Niemeyer, ho pensato ad una scultura, Colonna a grandi fogli, che desse il senso dell'attività e del movimento, e a Copenaghen, per le sculture nel giardino antistante il Palazzo Reale, ho lavorato  in rapporto con l'architetto belga Jean Delogne. La collaborazione col paesaggista Ermanno Casasco si è realizzata in diversi lavori: oltre al già citato Moto terreno solare immerso in un "giardino" con centinaia di piante diverse che è spazio, camminamenti, valli e colline, nel parco idrotermale Negombo a Lacco Ameno di Ischia ho collocato un arco in terracotta, detto Arco-in-cielo, con valore di porta e di soglia, che disegna nel luogo un segmento verde e aggiunge i suoi messaggi indecifrabili a quelli profondi delle piante e delle acque.

La Grande prua, su commissione del comune di Rimini, è un omaggio a Federico Fellini. Che tipo di ricerca ha effettuato, com'è l'ha pensata? Il Cinema l'appassiona?
La scultura in omaggio a Fellini l'ho pensata con il ricordo visivo della grande metafora o immagine da lui dedicata alla nave (sia in E la nave va, sia in Amarcord). La prua della nave sembra tagliare un percorso ideale attraverso la terra, l'acqua, l'aria: rappresenta la grandezza dell'opera di Fellini, che, oltre la morte, continua a percorrere il tempo, la storia, l'esperienza.
Per concretizzare questa idea e questa emozione, ho costruito un triangolo duplice a due facce, come una prua essenziale, ideale, in un lucentissimo bronzo, che all'interno è carico delle impronte e dei segni tipici mio stile, che vogliono qui esprimere il turbine della vita e della ricerca continua. Nel cimitero di Rimini, vicino alla tomba di Federico Fellini - dove poi è stata sepolta anche Giulietta Masina - la scultura è stata collocata su una lama di acqua, che ne esalta la figura, evidenziando un possibile aprirsi delle due parti fra loro aderenti.

Lei ha firmato diversi progetti scenici, li riporto in parte: per Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, rappresentata con Šárka di Leóš Janáček,  direttore d'orchestra Bruno Bartoletti, regia Ermanno Olmi, al Teatro La Fenice di Venezia; per Teneke di Fabio Vacchi, dal romanzo di Yașar Kemal, direttore Roberto Abbado, regia di Ermanno Olmi, al Teatro alla Scala di Milano; per Capriccio di Richard Strauss, direttore Gustav Kuhn, regia di Ivo Guerra, al Teatro di San Carlo di Napoli; per La tempesta di William Shakespeare, regia di Cherif, ai Cantieri culturali della Zisa di Palermo. Ce ne sono anche di altri importanti. Che cosa l'affascina del teatro? Tra questi lavori ne esiste qualcuno in particolare che l'ha maggiormente coinvolta?
L'esperienza teatrale mi ha aperto nuovi orizzonti e mi ha incoraggiato e persino ispirato a sperimentare nuovi approcci e nuove idee per le sculture di grandi dimensioni, perché il teatro mi da un senso di libertà creativa: mi sembra di poter materializzare la visionarietà. In alcuni progetti per la scena, soprattutto nel caso di testi classici, ho realizzato grandi macchine spettacolari da cui poi ho tratto vere e proprie sculture. In altri casi ho preso lo spunto da progetti di sculture non realizzate.
Sono rimasto molto legato soprattutto agli spettacoli avvenuti all'aperto. Ricordo con particolare affezione l'esperienza memorabile svolta sui ruderi di Gibellina nell'arco di diversi anni, dalla trilogia dell'”Orestea” di Isgrò da Eschilo con la regia di Filippo Crivelli (1983-85) , a “La tragedia di Didone regina di Cartagine” di Marlowe (1986) e a “La passione di Cloepatra” di Ahmad Shawqi (1989), entrambe con la regia di Cherif.  E poi “Oedipus rex” nella straordinaria piazza senese con il mio grande portale dinanzi alla facciata del Duomo. Inoltre non posso dimenticare la messinscena alla Scala di Milano di Teneke con la regia di Ermanno Olmi, con il quale la collaborazione nel lavoro teatrale, per me molto stimolante, è diventata negli ultimi anni quasi una consuetudine.

Nel salutarla, ci lascerebbe con una sua riflessione rivolta la futuro?
Stiamo vivendo un periodo complesso, indecifrabile. Siamo di fronte a un cambiamento epocale profondo. Personalmente guardo con preoccupazione al futuro, anche se  mi pare che le generazioni più giovani stiano cercando idee e strumenti nuovi di intervento. A quasi 85 anni di età, dopo una vita di intenso lavoro, ho la soddisfazione di vedere diverse mie sculture nel mondo, collocate nelle città e in spazi pubblici di grande suggestione e importanza. Forse ho definito il motivo stilistico che fa da perno al mio lavoro, ma non ho perduto la passione e l'interesse per la ricerca artistica e continuo a lavorare e a sperimentare…


Note biografiche di Arnaldo Pomodoro
Arnaldo Pomodoro nasce nel Montefeltro nel 1926, si trasferisce a Milano nel 1954. Qui frequenta intellettuali come Alfonso Gatto, Leonardo Sinisgalli, Ettore Sottsass, Fernanda Pivano, e artisti come Lucio Fontana, Bruno Munari, Enrico Baj e tanti altri.
Realizza i primi gioielli che esporrà in alcune edizioni della Triennale milanese e i rilievi in cui emerge una singolarissima “scrittura” inedita nella scultura, subito notata e interpretata dai maggiori critici. Nei primi anni Sessanta affronta la tridimensionalità e sviluppa la ricerca sulle forme della geometria solida: ne smangia la superficie e provoca erosioni e fratture, con l'intento di romperne la perfezione e scoprirne la parte interna. Nel 1966 gli viene commissionata una sfera di tre metri e mezzo di diametro per l'Expo di Montreal, ora a Roma di fronte alla Farnesina: è il passaggio alla scultura monumentale. È la prima delle numerose opere dell'artista che hanno trovato collocazione in spazi pubblici di grande suggestione e importanza simbolica: nelle piazze di molte città (Milano, Copenaghen, Brisbane, Los Angeles, Darmstadt), nel parco della Pepsi Cola a Purchase, New York, di fronte al Trinity College dell'Università di Dublino, al Mills College in California, nel Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, di fronte alle Nazioni Unite a New York, nella sede parigina dell'UNESCO.
Nel 2000 ha realizzato la nuova “Sala d'armi” del Museo Poldi Pezzoli di Milano, nel 2002 una grande Corona radiante (con crocifisso di Giuseppe Maraniello) nella Cattedrale di St. John the Evangelist a Milwaukee, e nel 2003 la Croce e l'Altare per la Nuova Aula Liturgica di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, progettata da Renzo Piano.  Nel 2004 è stata collocata a Roma, in piazzale Nervi, la scultura Novecento (altezza 21 metri e diametro 7), commissionata all'artista in occasione del Giubileo per celebrare il passaggio del millennio.
Nel 1995 ha costituito la Fondazione Arnaldo Pomodoro, che nel 2005 ha iniziato la sua attività espositiva nella sede di Via Solari, 35 a Milano.
Memorabili mostre antologiche, a partire da quelle alla Rotonda della Besana di Milano nel 1974 e al Forte di Belvedere di Firenze nel 1984, fino a quelle a Parigi nei Giardini del Palais-Royal nel 2002, nel centro cittadino di Lugano nel 2004,  a Palazzo Magnani a Reggio Emilia nel 2006 e da ultimo alla Fortezza del Priamàr di Savona nell'estate 2007 lo hanno consacrato artista tra i più significativi del panorama contemporaneo. Mostre itineranti si sono inoltre svolte in Europa, Stati Uniti, Australia e Giappone. Nel 2008 negli spazi della sua Fondazione ha avuto luogo una antologica con una scelta rappresentativa delle sue sculture monumentali realizzate dagli anni Settanta a oggi.
Nel 2010 il Grande Portale Marco Polo, una scultura in bronzo di 12 metri di altezza per 10 di larghezza, è stato esposto in prossimità del Padiglione Italia all'Expo di Shanghai.
Ha insegnato nei dipartimenti d'arte delle università americane: Stanford University, University of California a Berkeley, Mills College. Si è dedicato anche alla scenografia, antica passione della giovinezza, realizzando ‘‘macchine spettacolari'’ in numerosi lavori teatrali, dalla tragedia greca al melodramma, dal teatro contemporaneo alla musica. A partire dalla messinscena con Ronconi sul lago di Zurigo di un testo di Kleist nel '72 e dalle straordinarie esperienze a Gibellina sui ruderi negli anni Ottanta, fino a Un ballo in maschera di Verdi, rappresentato nel 2005 al Teatro dell'Opera di Lipsia. Da ultimo ha studiato le scene per l'opera Teneke di Fabio Vacchi, tratto dall'omonimo racconto di Yashar Kemal, messa in scena al Teatro alla Scala nel 2007 e per il dittico Cavalleria rusticana di Mascagni e Sarka di Janáček al Teatro La Fenice di Venezia nel 2009, entrambi con la regia di Ermanno Olmi.
Ha avuto numerosi e importanti premi: a San Paolo nel ‘63, a Venezia nel ‘64, uno dei sei premi internazionali del Carnegie Institute nel '67, con Albers, Bacon, Miró, Paolozzi e Vasarely, il Praemium Imperiale per la scultura a Tokyo nel 1990. Nel 1992 il Trinity College dell'Università di Dublino gli conferisce la Laurea in Lettere honoris causa e nel 2001 l'Università di Ancona quella in Ingegneria edile-architettura. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine “Al merito della Repubblica Italiana” nel 1996, riceve nel 2005 la Medaglia d'oro del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nell'aprile 2008 riceve a San Francisco il Lifetime Achievement in Contemporary Sculpture Award da parte dell'International Sculpture Center.
Vive e lavora a Milano a fianco della “darsena” di Porta Ticinese.