A un passo dal tempo. Giacometti e l'arcaico
MAN - Museo d'Arte Provincia di Nuoro
Dal 24 ottobre 2014 al 25 gennaio 2015
A cura di Pietro Bellasi e Chiara Gatti
«Tutta l'arte del passato, di tutte le epoche, di tutte le civiltà, apparve davanti a me. Tutto era simultaneo, come se lo spazio avesse preso il posto del tempo»
Alberto Giacometti
Annette assise, 1956
Bronzo, Dim: 52x16x24 cm
Collezione privata, Ginevra
Il Museo MAN di Nuoro annuncia l'imminente apertura della mostra «A un passo
dal tempo. Giacometti e l'arcaico».
Curata da Pietro Bellasi e Chiara Gatti, la mostra, ricca di una settantina di
pezzi, svelerà al pubblico il grande fascino che la statuaria antica (egizia,
etrusca, greca, celtica o africana), esercitò agli occhi del maestro del
Novecento celebre per le sue figure in cammino, le donne immote e silenziose
come idoli del passato.
«Tutta l'arte del passato, di tutte le epoche, di tutte le civiltà, apparve
davanti a me. Tutto era simultaneo, come se lo spazio avesse preso il posto del
tempo». Da questa intensa confessione nasce l'idea di restituire ai capolavori
di Alberto Giacometti (1901-1966) la loro dimensione d'eternità, avvicinando
alle sue sculture sottili e longilinee, scavate nella materia come reperti
archeologici, una selezione preziosa di reperti usciti da alcuni tra i più
importanti musei italiani d'arte antica.
I prestiti delle opere di Giacometti, concessi da importanti collezioni
svizzere oltre che dalla Kuntshaus di Zurigo e dalla Collezione Peggy
Guggenheim di Venezia, saranno accostati per la prima volta alle opere arcaiche
del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, del Museo Civico Archeologico di
Bologna, del Museo Civico di Palazzo Farnese a Piacenza e del Museo Nazionale
Etrusco di Villa Giulia.
I lavori di Giacometti e quelli dei suoi antenati animeranno un percorso
avvincente, sviluppato per temi e iconografie, basato su un gioco di rimandi,
di sguardi incrociati fra capolavori, sottratti alla dimensione del tempo e
ricollocati nello spazio della contemporaneità.
Dagli studi condotti negli anni sui punti di contatto fra l'opera di Giacometti
e la statuaria d'epoca antica - dall'arte egizia a quella sumera, dai manufatti
dell'età del bronzo all'arte greca fino alla scultura africana - è emersa
infatti la possibilità di costruire una mappa delle iconografie del passato e
delle culture più amate dall'artista, prese a modello per la sua riflessione
contemporanea, tesa alla ricerca di forme espressive ancestrali, capaci di
rappresentare l'uomo moderno in una visione eterna, in un recupero delle
origini e della nostra storia.
Un viaggio affascinante nel tempo (e nello spazio), dimostrerà allora come la
sua Femme qui marche, eseguita fra il 1932 e il 1936, riproponga gli stessi
canoni di stilizzazione del corpo, la frontalità, la ieraticità, il passo breve
avanzato della gamba sinistra, concetto puro di movimento, ispirato
all'iconografia egizia.
Nell'ambito dell'art nègre, le Insegne Oko o le Figure Igala della Nigeria con
il ventre piatto e allungato, sono testimonianze di immagini dello spirito,
forma visibile di un invisibile che l'uomo porta dentro di sé, e che Giacometti
studiò a fondo per sue sculture dalle teste minute e il busto fortemente
allungato.
Le celebri figure di origine etrusca, come gli Aruspici dai corpi “a lama” del
Museo di Villa Giulia a Roma, scoperti dall'artista durante il primo viaggio in
Italia fra 1920 e 1921, sembrano tornare idealmente nelle forme immote dello
scultore con le quali condividono linearismo, compostezza e armonia. Allo
stesso modo il dialogo con i bronzetti nuragici - che segnano un legame con il
territorio sardo - può essere spiegato attraverso le parole dello storico
dell'arte Giuseppe Marchiori dedicate proprio al sapore antropologico della
ricerca di Giacometti e alle forme dei suoi corpi «esili come guerrieri
nuragici, senza lance e scudi, oppure simili all'idolo volterrano, agli uomini
della notte».
Procedendo per confronti, ecco infine certe piccole Kore di bronzo, con le loro
fogge compatte, le braccia stese lungo i fianchi, ricordare la delicatezza
delle opere più esili di Giacometti, quelle figure alte pochi centimetri, come
l'immagine di Silvio debout; mentre taluni ritratti di Diego o di Annette
seduta sono accostabili agli oranti di cultura egizia, alle statue templari o
alle prefiche inginocchiate, con la classica posa delle mani aperte, poggiate
sulle ginocchia piegate.