Arte

Il futuro del Futurismo. Dalla rivoluzione italiana all'arte contemporanea. Da Boccioni a Fontana a Damien Hirst
Al futurismo rivisitato. Una conversazione con Enrico Crispolti sulla rivoluzione futurista
GAMeCinema per Il futuro del futurismo: Drive out e Scacco Matto

Al futurismo rivisitato. Una conversazione con Enrico Crispolti sulla rivoluzione futurista

Alla GAMEC di Bergamo una mostra indaga e svela la complessità, la modernità e le intuizioni del movimento futurista.

M. CRISTINA RODESCHI: (...) Per originalità, intelligenza, novità, interesse verso cambiamenti radicali il futurismo non ha niente da invidiare alle altre avanguardie europee della prima metà del Novecento, e tenuto conto della precocità del suo manifestarsi e della sua longevità, rivela piuttosto la capacità di una determinante influenza su numerose di esse. Se questa considerazione preliminare è ormai condivisa, la diffusione, per non dire la capillare penetrazione, nella società contemporanea di alcune folgoranti intuizioni del futurismo, a partire dalla centralità assegnata alla comunicazione e alla trasversalità dei linguaggi, intercettate con straordinario tempismo, individua un interessante campo di indagine e porta a riconoscere il movimento come matrice di numerose esperienze successive. Perché inizi a occuparti di futurismo e quali erano le coordinate critiche quando ti accingevi a farlo?
ENRICO CRISPOLTI:
Devo il mio interessamento iniziale per il futurismo a Maria [Laura] Drudi Gambillo, al coinvolgimento indiretto da parte sua nell'impresa dei due volumi degli Archivi del Futurismo, di cui era coautrice assieme a Teresa Fiori. Volumi che sono stati per decenni uno dei più solidi strumenti di conoscenza del movimento, fondando o comunque rilanciando l'interesse per questo in sede nazionale quanto internazionale. (...) Nel 1958 pubblicai un impegnato saggio appunto sul secondo futurismo nella cultura italiana fra le due guerre(...). Ponevo la questione della necessità di una esplorazione più articolata del futurismo, sia come ambiti di attività, sia come distensione temporale, per comprendere maggiormente in profondità la capacità del movimento di produrre una estesissima gamma di esiti creativi e comportamentali, eccezionalmente intensi e vivaci. (...)

MCR: Questa nuova impostazione, basata su un'imponente ricognizione documentaria, lanciava il futurismo oltre il confine cronologico della metà degli anni dieci, individuato quale termine storico del movimento, secondo un punto di vista che privilegiava come campo di indagine quello della pittura e che hai definito "boccionicentrico".
EC:
Cinquant'anni fa si riteneva che il Futurismo (come peso di creatività culturale) fosse in realtà soltanto la pittura futurista, e questa fosse rappresentata soltanto dalla forte personalità di Boccioni. E tanto più per il suo ruolo di teorico, accanto all'intensità della sua pittura. Al massimo si accettava un'alternativa nel lavoro di Severini o in quello di Carrà.
Una tale impostazione di fatto antistoricamente riduzionistica, se ha favorito un approfondimento dell'apporto di Boccioni (Ballo, Calvesi), ha in realtà ritardato il riconoscimento della realtà e ampiezza della rivoluzione ricostruttiva messa in atto programmaticamente dal futurismo. Che in effetti si è sviluppato in unampissima g'amma di ambiti operativi, dalle arti visive all'architettura, dall'ambientazione all'arredo alla moda, dalla letteratura e poesia e visualizzazione poetica all'arte postale, allo spettacolo, dalla politica al comportamento (...)

MCR: Individuare quindi lo spartiacque della prima guerra mondiale, con la precoce scomparsa, nel 1916, sia di Umberto Boccioni che di Antonio Sant'Elia, come termine del futurismo è stato a tuo giudizio fortemente limitativo rispetto alla sua stessa storia, alla sua prospettiva di lungo periodo.
EC:
Ritengo che dal punto di vista di una seria e matura considerazione storiografica sia ormai pacifico che il futurismo come movimento è nato nel 1909 e si è sciolto con la morte del suo fondatore e leader F.T. Marinetti, nel 1944. E come tale vada considerato storicamente. È stato un movimento "organizzato" attorno a un leader non un movimento spontaneistico, non è stato cioè soltanto un movimento di fatto. D'altra parte non condivido la semplicistica identificazione di una sua prima fase straordinariamente creativa (come di fatto peraltro è stata) perché libera, in contrapposizione a una seconda fase, collusa con il fascismo e dunque tarata. Proprio invece nel corso degli anni venti il futurismo è riuscito ad attuare l'annunciata "ricostruzione futurista dell'universo", conquistandosi una peculiarità di assoluta originalità nel panorama internazionale delle avanguardie, e con aspetti tuttora di grande attualità. In realtà nel lungo percorso creativo del movimento.