Indice degli articoli di arte


Ricordo di Giuseppe Fiocco

di Rodolfo Pallucchini

(Pubblicato nella rivista "Arte Veneta")

Nato a Giacciano (Rovigo) il 16 novembre 1884 da una famiglia veronese, dopo una prima laurea in giurisprudenza il Fiocco si laureò in Lettere a Bologna con una tesi in Storia dell'arte sotto la guida del Supino, per poi passare a Roma alla scuola di specializzazione di Adolfo Venturi. Dopo un primo tirocinio alla Soprintendenza di Venezia, il Fiocco nel 1926 ottenne la cattedra di Storia dell'arte all'Università di Firenze, chiamato quindi, nel 1929, a quella di Padova, la prima istituita nel Veneto. Lasciata la cattedra padovana nel 1956, il Fiocco continuò la sua attività all'Istituto di Storia dell'arte della Fondazione Cini di Venezia, facendone uno strumento moderno di ricerca.

L'abitudine alla ricerca storico-filologica, venutagli dalla scuola del Supino, venne rinfrancata da quella apertura mentale verso i valori formali del linguaggio artistico, ai quali Adolfo Venturi indirizzava la sua ricerca rinnovatrice. Egli venne così educando e mettendo a punto quella sua particolare acutezza visiva, che non è semplice dote naturale, ma che significa approfondimento dell'intuizione critica nei riguardi della caratterizzazione dell'opera d'arte. Per il Fiocco l'artista non è una meteora staccata di un firmamento: ma è partecipe di una complessa struttura tessuta di relazioni, di scambi, di ascendenze e di discendenze, cioè della cultura figurativa del proprio tempo.

La sua sensibilità storica, sostenuta da una memoria prodigiosa, seppe scandagliare il percorso dell'arte veneta, a cui si dedicò fin dagli inizi, con qualità da rabdomante. Si può dire che non ci sia momento di tale branca dell'arte italiana che non sia stato passato al vaglio della sua curiosità, riproposto secondo un nuovo punto di vista.

Anche nei suoi scritti meno sistematici v'è sempre un'intuizione desunta da un modo originale di lettura dell'opera d'arte che costituisce un'apertura, l'inizio progettuale di una ricerca, che lui stesso è venuto successivamente svolgendo o che può considerarsi uno stimolo per ulteriori indagini. La sua conversazione, brillante come un fuoco d'artificio, costituiva uno stimolo incessante nel porre problemi, nell'istituire confronti, nel formulare ipotesi di lavoro. L'esuberanza del suo temperamento, che non mancava di punte polemiche, imprimeva al suo pensiero una vis propulsiva che, anche se talvolta andava oltre i limiti, centrava il problema, facendone un argomento vivo, antiaccademico per eccellenza.

Tra i primi articoli del Fiocco, quello su Andrea del Castagno a Venezia (1911), registra una sua sensazionale scoperta, la presenza del pittore toscano nella Cappella di S. Tarasio a Venezia, ponendo le basi di una delle più sistematiche costruzioni critiche, quella dell'apporto toscano nella formazione della Rinascenza veneta. Lo studio su i " Lamberti a Venezia " (1927-28) costituirà uno dei capitoli più appassionanti per mettere le basi di quella organica costruzione che è " L'arte di Andrea Mantegna " (1927), dove le vecchie posizioni vengono smantellate sulla base di osservazioni nuove, condotte nell'arco delle sue esperienze a contatto dell'arte toscana. In tale volume il Fiocco poneva le basi della riscoperta della cultura veneta del Rinascimento: se la figura di Andrea Mantegna ne era la conclusione più indicata che approfondita, la monografia edita nel 1937 costituiva il coronamento delle sue ricerche, con uno studio attento, condotto con l'analisi meticolosa di referti documentari, messi in relazione ai documenti artistici: tale monografia rimarrà certo uno degli studi più organici che ci abbia dato il Fiocco.

Egli ha continuato ad occuparsi dell'ambiente padovano rinascimentale, non solo mettendo a punto la ricostruzione dell'altare del Santo di Donatello (1965), ma chiarendo in maniera esemplare, anche ai fini della storia della cultura, la posizione assunta da Alvise Cornaro come umanista e teorico dell'architettura (" Alvise Cornaro, il suo tempo e le sue opere ", 1965, quindi altri interventi del 1967) anche i chiarimenti attorno a Palla Strozzi (1964, 1969) contribuiscono ad illuminare la storia dell'umanesimo padovano.

È del 1919 l'articolo " Un capolavoro ignoto del Settecento veneziano ", nel quale il Fiocco rivendica a Francesco Guardi la decorazione dell'organo dell'Angelo Raffaele. Tale intuizione porterà i suoi frutti nel volume su " Francesco Guardi " del 1923, nel quale, tracciando un profilo dell'artista, ne integra l'attività di " vedutista " con quella di " figurista ". Recentemente, in occasione della sua morte, Antonio Morassi, la cui posizione sul problema guardesco, non collima con la sua, osservava: " Chi scrive, pur non condividendo tutti i punti di vista dell'insigne studioso, non può non riconoscere a quel libro di quasi mezzo secolo addietro una forza intuitiva ed una volontà innovatrice estremamente fruttuosa" (in "Arte illustrata", nn. 45/46, p. 99).

Accanto alle ricerche sul primo Rinascimento veneto, il Fiocco, partendo da Francesco Guardi, conduceva una illuminante campagna di riscoperta di tante personalità venete dell'età barocca. Il fascicolo attorno a " Bernardo Strozzi" (1921), i saggi, apparsi per lo più in "Dedalo", attorno al Piazzetta (1921-1922), al Langetti (1922-23), al Maffei (1924-25), al Forabosco ritrattista (1926), al Mazzoni (1928-29), al Grassi (1929) non soltanto preludono al fondamentale volume attorno alla " Pittura veneziana del Sei e del Settecento ", uscito nel 1929, ma sono altrettanti scandagli preziosi di quelle personalità, proprio per l'entusiasmo con il quale egli sapeva mettere a fuoco l'estro creativo di tali artisti, giungendo a caratterizzare la vena più viva della loro esuberante ispirazione.

Ma da tempo il Fiocco aveva posto in cantiere lo studio di una grande personalità pittorica del Cinquecento. Già nel saggio " Paolo Veronese und Farinati " del 1926, egli rivendicava a Paolo alcuni capolavori giovanili andati malamente confusi con l'opera del collaterale veronese, chiarendo in modo definitivo il primo timbro manieristico del gusto veronesiano. Mentre nella monografia del 1928 non solo illuminava l'artista, ma anche i collaterali e gli allievi, in quella più stringata del 1934 convergeva la sua attenzione sulle peculiarità del Veronese, giungendo alla caratterizzazione del suo cromatismo così personale nel quadro della pittura veneziana del tempo.

Sempre nell'ambito della pittura rinascimentale veneta, il Fiocco sposta la sua indagine su di un'altra personalità di primo piano, attorno alla quale s'erano formati tanti malintesi, quella del Carpaccio, dedicandogli un'importante monografia (1931: rielaborata ed allargata nel 1958), nella quale la libertà fantastica dell'artista è posta in relazione con il suo pittoricismo atmosferico, che ha inoppugnabili conferme nella grafica disegnativa del maestro. L'acutezza con la quale Fiocco aveva proposto il problema della grafica carpaccesca è la stessa con la quale risolve la differenza di visione artistica che divide i disegni del Giambellino da quelli del Mantegna ( " Andrea Mantegna o Giambellino ", 1933; "I disegni di Giambellino", 1949); nell'ambito di tali illuminanti ricerche si inserisce lo studio dell'attività grafica di Marco Zoppo ("Un libro di disegni di Marco Zoppo", 1933; "Notes sur les dessins de Marco Zoppo", 1954).

Il Fiocco non trascurò il mondo medioevale; se il suo saggio " Primizie di Paolo Veneziano" apparso in "Dedalo" nel 1930 costituisce una premessa indispensabile alla valutazione del primo grande pittore della tradizione veneta, egli andò scandagliando le origini dell'arte veneta, ricollegandola soprattutto al mondo esarcale ravennate ( " L'arte esarcale lungo le lagune di Venezia ", 1937; " La scultura ad intreccio come filiazione dell'arte esarcale ", 1939; " L'architettura esarcale a Torcello ", 1940; " La casa veneziana antica ", 1940; " Oriente ed Occidente ", 1954; " L'Abbazia benedettina di Tessera ", 1955; " Venezia e Russia di fronte a Bisanzio ", 1956).

Ma contemporaneamente altri due temi incominciarono ad interessare il Fiocco: quello del Palladio e l'altro del Pordenone. Con lo studio del Falconetto (" Le Architetture di Giovanni Maria Falconetto", 1931) egli poneva le basi allo studio delle condizioni storiche dalle quali sbocciò l'arte del Palladio, che venne inquadrando nel suo nuovo valore di ricerca luminoso-spaziale, le cui conseguenze furono preziose per il divenire del gusto barocco, come illustrò nell'articolo su Camillo Mariani (1940). Precisare le origini padovane del Palladio non significava certo una vanteria municipale, ma porre la formazione culturale dell'architetto su altre e ben più vaste basi ("Andrea Palladio padovano", 1933; " Fortuna e sfortuna del Palladio ", 1936; " Palladio vivo ", 1942; "L'esposizione dei disegni di A. Palladio, in Vicenza ", 1949). Allorché s'inaugurò l'attività del Centro Internazionale di Studi d'architettura A. Palladio a Vicenza, la cui presidenza venne affidata allo scrivente, ritenni doveroso invitare l'illustre maestro ad aprire il corso di storia dell'architettura veneta: la sua prolusione, " Preludio ad Andrea Palladio ", si può dire abbia costituito l'avvio alle ricerche ulteriori promosse dall'istituzione vicentina.

La riscoperta del Pordenone, uno dei più generosi artisti veneti, la cui opera fu di sprone a gran parte del manierismo dell'Italia padana, è merito del Fiocco; nel 1939 vede la luce la sua monografia sull'artista (la seconda edizione è del 1943: la terza, di molto accresciuta rispetto alle altre, del 1969), che costituisce una revisione filologica e critica dell'artista friulano, la cui posizione nella storia del suo tempo risulta chiarita.

Nel 1941 esce la prima edizione del "Giorgione" del Fiocco, per una collana dell'Istituto Italiano d'arti grafiche, diretta dallo scrivente, che si prefiggeva uno scopo divulgativo (per allora pionieristico): nella felice sintesi, con la quale egli condensò il tema, il problema filologico veniva impostato con concretezza storica, sganciando l'artista da ogni mito romantico.

Se innumerevoli sono i contributi sulle grandi figure della pittura veneta del Cinquecento (Tiziano, Tintoretto, Veronese, Savoldo, Palma il Vecchio ecc.), il suo spirito di ricerca, quasi paragonabile a quello di un rabdomante, lo indirizzava alla riscoperta di figure minori poco note, dimenticate: tra le quali il risarcimento dell'attività pittorica di Francesco Vecellio (culminato nel " Profilo " dell'artista del 1935 ), e la messa a fuoco di uno dei più gustosi fatti del tardo manierismo veneto provinciale, fiorito accanto al grande ceppo bassanesco, cioè il Marescalchi: dopo un primo risarcimento ("Pietro Marescalchi detto lo Spada", 1929), il Fiocco ha dedicato all'artista nel 1947 un profilo più complesso e validamente articolato.

Ma certamente, dopo il Quattrocento, il secolo che il Fiocco ha amato di più è il Settecento: Carpaccio e Guardi sono i due artisti più consoni ad una visione personale, che ha le radici in una comprensione quanto mai attuale della modernità.

In uno scritto commemorativo di un altro grande maestro della storia dell'arte, Roberto Longhi, spentosi nel 1970, Marisa Volpi Orlandini ( in " Annali della Facoltà di Lettere ... di Cagliari ", XXXIII, II, 1970) ha osservato che le origini delle più importanti idee di tale critico sono scaturite dalla comprensione dell'arte del suo tempo. Secondo la Volpi Orlandini: " Longhi assimila... dagli scritti e dalle opere di Boccioni alcuni concetti che guideranno la sua lettura dell'opera d'arte, quello che chiamerei il suo settarismo creativo nell'illuminare alcuni periodi piuttosto che altri nella nostra storia artistica ". Mi sembra che tale principio per cui il " critico insomma prende dall'arte del suo tempo e da a quella del passato " abbia una luminosa convalida anche nei riguardi del Fiocco.

Egli raccontava spesso (fin da quando frequentavo le sue lezioni a Padova nel 1930) l'impressione folgorante che aveva ricevuto a Monaco allorché, prima della guerra del 1914, aveva potuto ammirare nella raccolta von Nemes i maestri impressionisti francesi ed alcune opere del Greco. Direi che quello fu un incontro che condizionò il gusto del Fiocco, indirizzandolo a scoprire la suggestione di una forma pittorica aperta, fondata sulla luce e sul colore. Insomma, dopo aver gustato Manet e Renoir, egli poté riscoprire i valori figurativi di Francesco Guardi e di Vittore Carpaccio. È dall'esperienza impressionista, esperita su di una serie di capolavori di quel gusto, in un momento storico nel quale quasi nessuno in Italia aveva riconosciuta la validità di tale visione artistica, che il Fiocco trasse l'insegnamento della luce, di una luminosità identificata nel plein-air, cioè di quei valori che gli permettevano di sentire così vicini alla sua sensibilità di uomo del suo tempo Carpaccio e Guardi. Le opere del Greco che aveva ammirato nella collezione von Nemes non hanno per il Fiocco quella carica " espressionista " che riscoprirà qualche anno più tardi il Dvorak, alla fine della guerra 1914-18; ma significheranno per lui la continuità europea di una visione del colore veneto, colato in una sensibilità neobizantina.

Si comprende allora come il Fiocco fu sensibile all'arte di De Pisis, a quella sua esasperata frantumazione pittorica in chiave luminosa, dove sembra rinascere la poesia figurativa di Francesco Guardi.

Come si è detto, dopo il Quattrocento, il secolo che il Fiocco ha amato con maggior trasporto è il Settecento. Continua e sistematica è stata la ricerca attorno alla pittura veneziana del Settecento: moltissimi i contributi su Francesco Guardi (" Francesco Guardi pittore di teatro", 1933; "Francesco Guardi pittore di Battaglie ", 1937; " II biglietto da visita di Francesco Guardi ", 1942; "Francesco Guardi ritrattista", 1943; "I Fasti veneziani dei pittori Guardi ", 1943; " Guardi moderno ", 1948; " Francesco Guardi pittore di fiori", 1950), culminati nel saggio, per tanti versi basilare, " II Problema di Francesco Guardi " (apparso nel 1952 su questa rivista): al quale fa seguito "Una decorazione floreale di Francesco Guardi" (1957), "I fiori di Guardi" (1964), "Disegni di Francesco Guardi" (1965) e il volume per l'ERI del 1965. Mentre nel 1944 dedicava una monografia a Giambattista Crosato, puntualizzandone la vena decorativa, innumerevoli sono i suoi contributi attorno ai pittori veneziani del Settecento: da Giambattista Tiepolo al Belletto, da Giovanni Richter a Nicola Grassi, dal Ceruti a Pietro Longhi. Uno degli ultimi suoi articoli, uscito in " Pantheon " nel 1970, è appunto su alcune primizie di Pietro Longhi.

Se queste sono le linee maestre dell'attività del Fiocco, si può dire che non vi sia argomento veneto che egli non abbia toccato, spesso con intuizioni che gli studi successivi hanno confermato. Dal 1910 a tutt'oggi la sua bibliografia consta di oltre 550 numeri, tra volumi, articoli, voci per enciclopedie ecc.

Lasciata la cattedra padovana, come s'è detto, il Fiocco continuò la sua attività all'Istituto di Storia dell'arte della Fondazione Cini: egli non soltanto ha il merito di aver iniziato la collana dei cataloghi dei musei comunali della regione veneta, ma ha avviato anche un'altra impresa, con l'aiuto del prof. Alessandro Bettagno: quella delle mostre di disegni, i cui cataloghi, curati da specialisti e presentati dal Fiocco, costituiscono una base fondamentale per la conoscenza della grafica veneta.

L'insegnamento di Giuseppe Fiocco formò almeno due generazioni di studiosi: validissimo e ancora fruttuoso, perché non fu soltanto un insegnamento " ex-cathedra ". Il maestro affascinava i discepoli con quella giovinezza di spirito che non l'abbandonò mai, stimolandoli a quella fede nell'arte, cioè nella creazione dello spirito, alla quale non venne mai meno in ogni momento della sua esistenza. Il segreto del suo esempio fu quello d'un entusiasmo che bruciava ogni residuo accademico nella cultura che veniva modellando con il fuoco del suo temperamento; senza il suo metodo sperimentale la conoscenza dell'arte veneta non avrebbe progredito, non avrebbe raggiunto quella maturità che tutti riconoscono alla scuola padovana di storia dell'arte.


Articolo pubblicato il 22 aprile 2005