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Archeologia del futuro: Adriana del Vento

Di Mimmo Grasso

O beatissimo Marcello Silvestri (ndr. sfottimento di Mimmo Grasso all’editore di archimagazine il cui cognome corretto è Silvestro), così come tu sei custode dei pricìpi dell’immaginazione e cerchi nelle visioni il piumaggio di tuoni geometrici seppelliti, io mi immagino archeologo che cataloga reperti del futuro e, dunque, urtare col piede su una pietra in cui non è ancora inciampato nessuno trasforma in gioia la mia ansia escavatoria.

Come sai leggo molto, diletto e dilettevole Marcello, soprattutto volumi che ancora devono essere scritti e frequento mostre in incognito appiattito sulla mia ombra alle pareti o nascosto nel vallo fortificato tra il vedere e il visto. Talvolta il caso mi regala indizi, immagini da completare ed esporre nelle tue sale elettroniche della percezione. Spesso cambio posto ai pezzi, commento le immagini con versi che ne riproducono, se è lecito, il ritmo o il senso secondo una dispositio da liber figurarum gioachimita. Altre volte mi diverte fare il fatrasieur o lo jongleur di nonsense visivi. Il tutto mentre sempre più corrucciato mi guarda l’angelo della malinconia per il semplice fatto che anche il suo cane da caccia obbedisce a me piuttosto che a lui.

Osserva allora, o Marcello, con attenzione un esemplare dei lavori di Adriana Del Vento che per qualche motivo oscuramente chiamo giorni di carta. Sono immagini arcaiche, un po’ come quelle nelle grotte. Del Vento, se sei d’accordo, dipinge sulle pareti protostoriche dell’anima che, si sa, sono di carta colorata. Queste immagini le vorrei all’inizio di un testo di poesia o dei capitoli del "trattato del fuoco e del sale", che un giorno non scriverò, come si usava nel medioevo. Le icone di cui ti sto parlando sono ottenute con un procedimento algebrico: il materiale viene scavato, sottratto alla carta e, appena la luce collocata dietro decide di voltarsi per guardarle, si illuminano clamorosamente. Clamorosamente perché in condizioni ordinarie non appare alcunchè. C’è bisogno di uno shock luminoso, un riflettore che le sorprenda al buio, una lampara che le fermi un attimo nel loro affaccendarsi. Questa scrittura per simboli ha rinvii culti, appare come su documenti ritrovati nel bagaglio di un clerc sulle strade francigene e le figure,messe l’una accanto all’altra, costituiscono un periodare, una dimostrazione. I colori sono leggeri, tendono all’insivibilità o a uno splendore vanitoso (rosso, azzurro, minio, arancione), fragorosi e liquidi, silenziosi come una cascata. Quello qui riprodotto, o Marcello, azzurro e con onde , è il mio cartiglio. Ci sarà un posto anche per me tra queste icone? Mi vedo come un monaco chiotto col saio rosso su uno sfondo ocra-pergamena intento al suo lavoro di copista con calami anneriti. Preesistevo forse in chartis. Ho l’impressione che quelle figure aspettino notizie da me.
Una ha messo le mani in tasca,come in attesa; un’altra si avvia fuori del folio col suo seguito di formiche; un’altra si accoccola nel suo ideogramma; altre due si appartano per dondolarsi in posizioni da kamasutra. Fa’ attenzione, Marcello, perché se non vengono abbagliate da una luce forte e improvvisa che le fissi sulla carta si accorgono di essere osservate e guizzano via. Questo materiale cartaceo ha un’aria da vino freddo e odore d’argilla, come nelle rughe dei vecchi.Lì sopra la neve ha ordito complotti.




Ti dicevo che Adriana Del Vento fa un lavoro algebrico: ottiene un risultato mediante un lavoro di sottrazione di materiale.Tutto, già leggero, è ricavo di altra leggerezza come quando da bambini (ma io ancora oggi) si alitava sul vetro della finestra e si facevano disegni, s’inventava una geologia della trasparenza. Credo di avvicinarmi molto di più al senso di questi lavori se sostituisco il concetto di sottrazione con quello di restauro perché, come avviene anche in terapia analitica, il procedimento porta alla luce e alla consapevolezza rapporti sepolti tra le cose (che bisogna scavare) e, una volta che sei giunto là sotto, ascolti la persefonia dei colori, vedi cromogramma sormontati da stemma numerologici che sarebbero piaciuti a Rabano Mauro e Porfirio e che potrei collocare tra gli oggetti abbandonati ai piedi dell’angelo melancolico.L’aver assistito al dispiegamento luminoso degli aquiloni di Adriana, o Marcello, mi riportò alla mia infanzia, quando il presocratico mi scoprì cavalcare il guscio della tartaruga spellandomi i talloni per guidare il tempo e il chicco di melograno non mi aveva ancora raccontato il suo rapporto con l’Ade nè Ade aveva smarrito lo iota sottoscritto.


Mi chiederai che intendo per "restauro". Ti dirò che Adriana Del Vento è un artista che pratica l’esperienza della meditazione e la cui carnalità è prensile. Non ti annoi questo excusus: il dio vedico della creazione si identificava con un inno essendo la divinità filigrana sonora. Il suono delle sue sillabe mistiche era un sacrificio canoro dal quale nacquero terra cielo mare. Ricordi che è così anche nella Bibbia?:..e Dio disse…Dunque il suono è la sostanza prima della creazione costituito da corpo (vibrazione) e luce (significato del suono). Giovanni :Nel principio era la parola e la parola era presso Dio e la parola generò se stessa incarnandosi ... Dèi e demoni lottarono a lungo per impadronirsi del suono, e dunque, per la sfera umana, della parola che si rifugiò nel mare, nelle foreste, nei liuti e nei tamburi, nel respiro e nei mozzi dei carri. e in quelle cose (materia) che essa stessa creò. Questi dèi, o Marcello, sono eternamente fanciulli: a nessuno di loro venne in mente che, mentre gli altri si accapigliavano per il possesso della lingua, avrebbe avuto la stessa potenza occupando le orecchie, cui nessuno badava e questo, mio affettuoso amico, è proprio ciò che fa l’artista. Il brahmanesimo, come sai, perché ho visto molti papiri orientali nella tua biblioteca, ha molti miti. Quelli della creazione narrano di uomini trasparenti, pura luce sonora, che volteggiavano nell’etere come il nostro angelo. Fu per una loro caduta, sempre come il nostro (altrimenti perché sarebbe così malinconico?) che mangiarono piante e a mano a mano persero la luminosità e il dlin della leggerezza. L’unico ricordo della loro essenza musicale è la voce. La materia è afonìa così come lo spirito è acustica. Non ti meravigli allora che il canto sia così diffuso e praticato anche nei nostri riti. Quando cantiamo non è solo per un movimento del cuore o una sua emozione: è offerta sonora che viene fatta alla divinità acustica, il modo più intimo e diretto per dialogare con lei secondo modulazioni che ripetono la posizione delle stelle nel cielo. Se vuoi, anche le piramidi sono solidi sonori. I viaggiatori narrano di una pietra chiamata fonolite vulcanica, che l’ antichissimo sistema religioso del popolo indiano considera come il prima del primordiale, sua pietra angolare. O Marcello, forse il senso di ciò che ho chiamato "restauro" apparirà più chiaro, più udibile, se al fruscìo delle carte di Adriana Del Vento vengono adattati questi sistemi di pesiero analogico. Mi dirai che noi siamo piuttosto orientati verso ciò che è silenzioso. E infatti fu uno dei nostri padri, S. Agostino, a intuire che la voce più pura delle voci, l’armonia mundi in essenza con il creatore che si ascolta, è silenzio.Fu per la verità di questo pensiero che nelle arti la musica e la poesia si allontanarono reciprocamente creando radure d’inespresso nel cuore umano il cui tumtum era stato ed è ancora la base sonora del verso, della coreutica, del pentagramma. E che diremo, o mio amico che mi leggi in assenza e mi ascolti in presenza, delle sculture azteche, veri simboli e ruote musicali? Dunque è il vento equatoriale e della storia che lascia sulle carte di Adriana le sue impronte?
Se hai ancora voglia di sopportare le tristezze da Ponto Eusino del tuo amico, continuerò descrivendoti, o Marcello, ciò che avvenne dopo, non senza esortare la tua sapienza a mostrare compassione amicale non chiosando in supercilio i pensieri di quest’ uomo che ritenevi saggio, pervigilante custode del fuoco delle stelle logiche che governano le orbite umane, ma che non riuscì a interrompere un flusso algoso e antico dalla sua bocca, l’emorragia verbale e compulsiva che lo stesso Ippocrate, da me frequentato presso la tua biblioteca quando voglio conoscere la natura delle cose, osservò con stupore e chiamò sacra. Il tapparmi le orecchie, in questo corpo a corpo e respirazione bocca a bocca, come un dio vedico, non mi fu d’aiuto e, anzi, l’impedire che i miei fenomeni uscissero dal labirinto auricolare tendeva ad amplificarli piuttosto che murarli.
La nostra Adriana mi ha infatti condotto nel clangore incatenato a un de profundis quando una sera mi invitò a vedere una sua installazione. Fu a Pozzuoli, nello studio di Marisa Albanese. Nelle narici pungevano le spine degli odori della solfatara. Adriana si accompagnava ad una sua amica esperta di voicing ed è strano come , sebbene questa donna stesse in silenzio, udissi acuti di timbro femminile rompere timpani di vetro tanto da avere la sensazione di camminare su frammenti acuminati. . L’ambiente era in penombra. Lungo il perimetro di un tavolo, di quelli che si vedono nelle sale di anatomia, c’erano blocchi rettangolari di cera che presentavano lo scavo di un profilo. Sul piano del tavolo era stato sistemato un drappo nero che avvolgeva qualcosa: un corpo una voce un oggetto? Dopo un minuto di silenzio (in certe situazioni si osserva sempre un minuto di silenzio, se ne scoprono le sfaccettature da icosaedro) Adriana, col gesto dell’officiante, spense le luci.. Nel contempo se ne accesero di piccole situate dietro i blocchi di cera che rivelarono volti antichi e noti. Altri volti, quelli che venivano toccati dalla luce obliquamente, per quanto anch’essi scavati, apparivano in rilievo. La cera trasudava colori di vari colori.
Fu aperto con lentezza il drappo mentre udivo la voce femminile produrre archi canori come nella musica chakra della compassione universale. Fu svelata una teoria di voci (volevo scrivere, o Marcello: di "volti") di un bianco incandescente. Erano maschere che si replicavano , giustapposte una con l’altra. Mute. Le figure scavate nella cera, in qualche modo che non so esprimere, parlavano.Forse bisbigliavano. Forse pregavano.O forse, semplicemente, si liquefacevano. Guardai verso il pavimento e una voce che non udivo mi faceva stttt nascosta sotto il tavolo. Adriana ricoprì il sudario e riaccese le luci.
Un gioco di prestigio? Un mistero orfico? Mentre i miei amici prendevano un caffè, mi ripetevo alcuni versi di Rilke che sicuramente era stato evocato e forse si mimetizzava nel vertice di un angolo per nascondere la Lamentazione Maggiore o intento a bisbigliarsi segreti con l’angelo.Come se avessi una punta di lancia nella schiena, mi diressi di nuovo verso quel catafalco d’installazione. Sono certo che tra i calchi e gli studi anatomici di Marisa Albanese c’erano un paio di ali di gesso e, per terra ,impronte di piedi bagnati.. La voce inaudita uscì da sotto il tavolo e si fermò alle mie spalle. Ne sentii il fiato d’aceto sul collo.Mi voltai. Era vestita con un peplo rosso e nero.La sua ombra generò altre voci. Cominciarono a girarmi intorno come le danzatrici raffigurate sul vaso funerario di Ruvo di Puglia e che avevo rivisto pochi giorni prima al Museo Nazionale mentre mi documentavo sulla danza greca antica di Lillian Lawrell, libro introvabile e forse mai tradotto in Italia.
Questo è il resoconto:

Prima corifea (a bassa voce)
"La parola nasce dal buio, quando il gesto non basta. Simula il tuo indicare. La parola è questo drappo che copre il taciuto"

Io (sovrappensiero, come ascoltando a udito basso ciò che non dico)
"…:ogni cosa puoi solo nominarla. Nominare significa indicare una cosa in un posto della memoria. Una cosa, anche quella che posso toccare , c’è e non c’è perché prima di toccarla l’ ho riconosciuta, esiste come ricordo. E, se anche non la conosco ancora, cerco di capirne le proprietà paragonandola alle cose che già conosco. Toccando ne sono toccato. La parola è questa relazione tra le cose secondo le relazioni del mio modo di pensare. I segni ritrasferiscono con la parola, quando è detta, gli oggetti modificati, in qualche modo contagiati dal pensiero, unti dalle sue biochimiche. Questo è ovvio. Rimane però la questione se e come la voce indichi se stessa. Queste maschere di Adriana, ad esempio, sono tangibili ma non vogliono essere toccate; la loro materialità è innecessaria, a meno che il materiale (cos’è: ceramica?) non sia un voler-dire, e rinviano a qualcos’altro che non posso indicare, una presenza come voce di voce. Forse ne sono il calco, la maschera mortuaria di un silenzio che tace nella pronunzia. Che relazione c’è tra cera e ceramica? Non solo l’etimo,credo. Ambedue hanno a che fare col fuoco che scioglie l’una, solidifica l’altra. Una vocve scolpita, con i suoi echi interni al dire, sarebbe come queste maschere…"

seconda corifea alzando gradatamente il tono,un po’ distaccata)
"…
suono senza silenzio del silenzio che tace nella pronuncia…sono versi tuoi, ascoltati dal libro dei morti. Allucinazione di un’allucinazione. La voce che pensa se stessa è vuoto che trabocca dal vuoto. Il nome chiama e, invocato ma assente, accorre il nominato. Il già e sempre non ancora nominato.Questo è ciò che le maschere nascondono. Osserva: un drappo nero copre maschere bianche. Anche le maschere,come sai, coprono.Cosa significa questa doppia copertura soffocata?"

io (serio, interessato)
" C’è un lavoro di dissotterramento.E questi volti di cera sono e non sono volti.Forse per questo sono di cera,per sciogliersi nel fuoco di uno sguardo.Ho l’impressione che un grande re, una dinastia atride, si avvolga in paramenti da scacchiera,che gli oggetti qui siano i pezzi bianchi e neri lasciati da qualcuno (il sogno, forse) e che a me spetti la mossa decisiva.Non avete sentito anche voi adesso nitrire un cavallo?O è il vostro coreutico battere il piede che evoca un galoppo? E se fosse il mio cuore? Ma che mi succede? Alla mia età, io che mi sono avventurato da solo come un Lestrigone nascosto nei cespugli della logica, mi emoziono? Allucinazioni? La faccenda qui ha creato un doppio legame, una schizofrenia ortodossa. Ma ditemi chi siete.Possedute? Musicate? Qual è la situazione? Tutto questo non mi è chiaro"

terza corifea
"Non è necessario, per essere, che le cose siano chiare. Anche cose non chiare sono"

io (seccato)
"…sono tiritere trite e ritrite. Vi ripeto che è necessario comprenderci in un contesto, una situazione. Ho qualche sospetto su di voi. Già da come avete esordito penso che siate compaesane di quell’imbroglione di Epimenide. Sappiate che sarò molto attento al vostro linguaggio e ne romperò le trappole. Non vi conviene sfidarmi.Tornatevene sotto il drappo"

coro (rivolto a io)
"Ora, com’è giusto, per una naturale simmetria di posizione, sei il nostro ipocrita.E infatti in ogni dialogo due parlanti assumono la tesi di una maschera anche se potrebbero trovarsi più a loro agio con quella dell’interlocutore. Si vuole vincere per gratificare l’ autostima. Ma qui tu sei da solo e sei con te stesso. Sei tu che con te ragioni come Epimenide. Noi non abbiamo esordito con nessun paramento logico né, come quel cretese, abbiamo detto che tutti i cretesi sono bugiardi. Anche queste sono tiritere in cui la logica si compiace nascondersi come la testuggine nel suo guscio. Io penso che tu abbia chiamato in causa Epimenide come un’esca,per costringerci a un tuo gioco enigmistico nel quale credi di essere abile. Sai bene che in questi casi la soluzione di un problema è il vero problema e che occorre uscirne fuori per risolverlo.Hai visto volti di cera e maschere bianchissime sotto un drappo nero. So che potresti usare questi dati come numeri o simboli e fare molte dimostrazioni.Ma chiediti perché il tuo cuore, il tuo saper sentire, ha evocato una voce e vuole ascoltarla. Questa voce è l’umano, estremo fino al non pensato; è il non detto taciuto che non hai il coraggio di tacere dicendolo"

io (accondiscendente e incuriosito)
" Io so che è conoscibile solo il pensato, dunque il passato, se, beninteso, un punto di osservazione lo fa diventare riconoscibile . Il riconoscimento avviene per differenze. La differenza è l’
invece di,
un movimento del pensiero controsenso nel senso del pensato. Questa installazione per me era impensabile e la disposizione dei suoi elementi non ancora pensata. Dopo , l’ho riconosciuta perché appartiene al mio passato, quasi un
dejà vu, un posto,come dice il poeta, che conosco perché non ci sono mai stato, o, per compiacervi, non-ancora-già-mai-stato. L’ho riconosciuta perché ha una struttura che ricordo e la ricordo in quanto riconducibile agli elementari della mia logica.In qualche modo rispecchia le pianure del mio ragionare. Per questo è una trappola, come sono convinto che lo siate anche voi, suo prodotto. Maschere bianche, maschere di cera, luce, buio, drappo nero: un pentagramma di significati.E anche voi siete maschere. Perché, altrimenti, avreste scelto questa forma teatrale per presentarvi? La vostra origine è il taciuto dove traccio bisettrici, creo triangoli di relazioni.. Questa installazione di Adriana così rigida, geometrica, così apertamente chiusa (lo avete sentito anche voi ora il cavallo?) è troppo logica perché lo sia davvero come se, per uscirne, bisognasse andare fino in fondo, accettare le regole del gioco. Insomma mettersi la maschera per il carnevale della morte rappresentato da Adriana. C’è qualcosa o qualcuno di inquietante come il doppione di un universo, un mondo laterale, un interstizio della psiche. Sento che esiste; di più, ne vedo la crepa nel muro ma non riesco a entrare nel suo sistema di relazioni…"

seconda corifea (sviluppando il discorso, con calma)
" Puoi trovare il non pensato non pensando "

io (ridendo)
"Che stupidaggine.Vi avevo avvertite. Questo che avete detto è una trappola e una manipolazione come il diventa ciò sei di Delfi "

Coro
"Prova ad ascoltare il mondo laterale. La lateralità è il tuo gemello. Non pensato non significa non esistente né che devi ricorrere sempre alla fisica per dimostrartelo"

io (come chi sta per avere vantaggio)
"Se c’è un gemello è assai comodo, no? Quello che faccio è quello che non faccio. Ogni cosa riguarda lui. Gli addosserò le mie colpe "

coro (assertivo)
"Ogni cosa sua ti riguarda . equivoco, biunivoco"

io (misterico, parlando tra sè e sé.I diversi movimenti del monologo erano sottolineati da una gestualità meccanica..Il soggetto muoveva gli occhi a sinistra in alto, a destra in basso, a fasi alterne, secondo la provenienza delle immagini (visivo-ricordato,visivo-costruito,ecc)).Quando assemblava informazioni in modo nuovo, gli occhi restavano sbarrati e giravano nell’orbita. Il nervosismo cenestetico indicava lo sforzo compiuto dal soggetto in ordine alla "coerenza" del vissuto e dei suoi significati e si evidenziava nell’incoerenza tra ciò che diceva e come lo diceva, tipico del delirio registrato durante l’osservazione del fenomeno allucinatorio. Il soggetto gestualmente, corporalmente, eseguiva- ora al rallentatore ora velocemente- quasi una danza arcaica)
" Quello che dicono è banale. Tuttavia so quanto sono furbe costoro. A Tebe squassarono Pentèo.
Che c’entrano adesso Le Baccanti?
Equivoco-biunivoco: sempre una vocazione, un responsorio.
Perché Rilke mi guarda sorridendo?E se questo drappo coprisse ciò che resta di Orfeo?
So che tutto questo l’ho già visto.
Dove?
Forse fu alla Cappella Sansevero,dove le statue allegoriche collocate come questi volti di cera guardano il Cristo, velato come queste maschere.
Bisettrici di sguardi.
E’ Cristo-Orfeo il mio gemello?
Il drappo nero è sudario della parola e di un canto interrotto?
Adriana si aggiunge al corteo delle donne del lunedì in albis?
…un gemello…?
"…?"
Non è necessario che il mio gemello, se esiste, sia un uomo. Un gemello è uno come me, un come me, vale a dire ciò che vedo, che posso immaginare in tutti i modi e tutti i modi in cui lo immagino. Questo è il gemello, una mia oggettivazione intrapsichica. I ricordi , le emozioni, gli oggetti, il mio stesso modo di pensarmi e rapportarmi marciranno insieme con il me.Lascerò il mio bozzolo e le mie maschere, i miei atteggiamenti.
Mi vedo (mi rivedo)
trascrivo con le mie ossa di gesso formule su una lavagna,
quest’inventario alla rinfusa che sto scrivendo adesso:
una scaglia di sogno,
un tessuto di logica,
una membrana d’istinto,
uno spessore d’udito,
un calco di silenzio,
un:…,
Adriana mi ha deposto (che c’entra la deposizione?) in un loculo del mio udito disadorno come una tomba profanata. Il ladro ha portato via l’ascoltato, i parafernalia che avrei dovuto portare nell’aldilà al mio gemello (Castore & Polluce?).O , conoscendomi un poco, ho dimenticato altrove ciò che ho ascoltato, l’ho lasciato nelle tasche di tutti quelli che adesso mi stanno leggendo perchè io sono tutti qualcuno nessuno…tuttiqualcunonessuno:pensando a questo Evariste Galois,ventenne, la notte prima di un duello fatale elaborò la teoria dei gruppi ("non ho tempo, non ho tempo", annotò al margine dei fogli. Forse gli si presentarono voci come queste.Volevano chiacchierare e lui le invitava al dunque). Colpito dalla lama al ventre, lo lasciarono morire bocconi masticando terreno.Evariste morì felice. Lo vedo raggiungersi seguito dai suoi numeri come un’ affettuosa muta di caccia.C’e anche Evariste tra i volti di cera di Adriana? Sicuramente ho visto Cartesio che se avesse potuto leggere gli appunti di Galois avrebbe saputo, lui che scrisse un trattato sull’armonia musicale, che, immaginando la totalità di tutti i suoni come gruppo, l’elemento che li fa identici è il silenzio (fuori del gruppo).Ciò che presuppone gli elementi di un gruppo, dunque, non fa parte del gruppo (e così Epimenide è sistemato). Quando queste qui mi esortano a non pensare non pensando intendono una cosa del genere? Posso applicare questo principio all’installazione di Adriana? Cos’è che rende identici gli elementi se non questo silenzio che ci arrotola nel suo filo spinato?
Tutùm-tutùm. Di nuovo il cavallo.Ne ho intravisto le ombre oblique su dune di silicio.
Perchè ha gli zoccoli a cubo?
Perché sono fasciati?
Perché ha un laccio rotto al collo?
Perché ho paura di dire che Adriana ha rappresentato la mia morte? Assurdo:ho una fitta di gelosia per la mia morte. Mi sento come abbandonato da lei. Come si permette la mia morte di morire senza di me? Sto nella sua camera ardente? Allora sono già ex-me? Sto sognando o, morto, mi sto sognando? Certo: univoco,biunivoco è il sogno. E’ lui il gemello. Perché penso a Calderòn? Perché Velasquez? Perché Gongora? Perché proprio questo secolo spagnolo? Perché uno specchio enorme, antico, con nerofumo scrostato agli angoli,la cornice baroccata? E perché ora il cavallo corre là dentro? Se alzo le maschere da questo monumentale catafalco, che ci trovo? Il piano del tavolo, è evidente. Questo gesto di togliere la maschera va riferito a me?
"…"
Falene nella stanza. Una si posa sulla mia bocca. Lo so, Adriana (ti riconosco in una delle corifee -la terza, quella che arrotola le r), che alzo barriere alla vita parallela che è il sogno. Lo lasciamo sempre fuori la porta ma non ricordiamo mai che è lui il custode. Lo chiudiamo fuori. Fuori? Com’è possibile? Che stronzi.
Chi mi chiama? Qualcuno mi chiama dalla sua lapide di cera. E’ un timbro vocale profondissimo.
In re?
Re-re?
Rebis?
Tiresia, addobbato come un femminiello mi consegna un manoscritto datato 10 novembre 1619.
Leggo:".Stavo presso il Danubio (c’è sempre un fiume) a scaldarmi i geloni. Ero assai freddoloso. Mi avrebbe fatto fuori il gelo della sala delle udienze svedesi: non sapevo che freddo fa sostando in un’udienza. Ricordavo lo strabismo della prima innamorata. Mi piacevano ragazze con gli occhi un poco storti, lo sguardo da teorema. Ero in vestaglia, intento a disegnare un ex libris (late biosas o qualcosa del genere). Pioveva senza pioggia, come adesso. La penna d’oca fece scr sul foglio, un cigolìo da marchingegno. Pensai alla relazione tra "silenzio" e "rumore". Applicai alla questione l’ut nunc, il pons asinorum, le tavolette della verità. Accertai che stavano in posizione alterna come gli angoli in rette parallele. Ebbi l’ombra di un dubbio. Il Danubio scorreva, udibile e inaudito. Mi addormentai,toccandomi i geloni per esser certo del mio corpo. Sognai un Alcmeone, un ginn funesto. Ed ecco viene l’ombra del dubbio per dove non è posta sentinella. Uscii da me stesso. Mi osservai semiaddormentato:mi accendo un cerino sotto il naso caso mai non respiri. Congetturo qualcosa sullo specchio che ho messo davanti alla stufa per raddoppiare il calore. Mi desto al crac di ramo secco che calpestiamo quando, disattenti, vogliamo prendere la morte di spalle. Da allora le cose rimasero contagiate dal dubbio di poter essere qualcosa. Cose dell’altro mondo. Innamorate della loro geometria, si costruirono un feticcio, un dio oggettivo, con gli occhi un poco storti, l’udito balbuziente (e biforcuto: corpo/mente, ascissa/ordinata)".
Riesco a decifrare la firma: Renè Descartes.
Che vuol dirmi tutto ciò? Che il padre della ragione e della matematica moderne cominciò tutto con un sogno? E’ venuto Tiresia perché è maschio e femmina, truccato da femminiello? Truccato, cioè mascherato? La morte è maschio o femmina? E’ una schiza?
Sono stanco. Mi sono addormentato in piedi come i cavalli.Ecco perché ne vedo ogni tanto uno.Ho avuto una giornata impegnativa. E poi, in fin dei conti, tutto questo lo sto scrivendo adesso, a distanza di qualche mese da quando vidi i lavori di Adriana. Dunque mi sto mentendo. Tutto questo è un mascheramento. Ho esordito con un problema vecchio come il cucco, se e come le cose sono ma adesso, lontano da loro, evocate, neanche posso negare che le mie rappresentazioni non sono vere. Forse irreali. Ma vere. Calma e sangue freddo: la prima sensazione che ho avuto, quando mi sono mosso da solo verso il catafalco, è stata di qualcosa che saliva da sinistra verso destra, dal basso verso l’alto, a spirale. Una specie di movimento fuori-dentro. Poi sono apparse queste voci. Anche a Jung succedevano cose simili (vedi che hai bisogno di conoscere subito l’ignoto?). Dunque, non c’è da aver paura (di cosa se non del fatto che non sai dire cosa?). Può comunque anche essere successo il contrario: è la parte destra del mio cervello che ha creato voci e loro, scivolando lungo i miei neuroni, sono cadute fuori. Mi ritornano come eco? Ora capisco perché le divinità indiane lottavano: il dominio non riguardava la lingua ma quello che la lingua non dice, il cuore che si fa ascoltare con maggiore cupezza soprattutto se mi tappo le orecchie.Come il cuore spande sangue il polmone spande voce? Il respiro è un atto significante? Sto procedendo per analogie come fa il mio dottore. Che ridere! Come ci rimarrebbe il mio dottore se gli dicessi che quando analizza i miei sogni lo immagino come un sogno che prende appunti sui miei sogni.Il dottore lo sto plagiando. Stamattina Pertusato è venuto in corsia a riprendersi il suo cane accucciato sotto il mio letto. Mi sono fatto dare dall’infermiera lo straccio per i pavimenti per non fare accorgere nessuno che c’erano le impronte dei piedi delle menine.L’infermiera mi ha chiesto "Chi è stato?" ma io non ho tradito. Queste voci potrebbero essere le monache del reparto travestite o le psicologhe che siedono sempre a tre dietro di me quando vado a fare il colloquio col dottore perché dicono che registrano ma che registrano stronze che registrano solo lallismi perché dicono che prendono appunti e io mi sento pungere da un tridente appuntito come la lettera psi di psicologo e so bene quello che scrivono perché è quello che voglio io e mi diverto a fare nodi marinari con i loro doppi legami del cazzo e poi comunque se metti le tre punte di ψ nell’inchiostro e scrivi ne esce lo stesso casino che scrivo io quando uso la forchetta di plastica della razione della sera mentre giacomo nel lettino vicino al mio mi dice che si scrive in cuineiforme sulla pelle con la forchetta e si fa male forte perchè si allena a resistere senza parlare e allora non è schizofrenico è solo scemo perché me lo dice e se me lo dice parla e allora non resiste a un bel niente perché l’unica cosa dove non resiste è stare zitto e io gli butto in testa il cuneo di una scarpa perché carogna qui dobbiamo dormire e comunque non ci credo a questo fatto della malattia e delle luci delle lucìvoci perché tutto ciò che sta nei musei sono la storia dell’allucinazione e anche le città e le strade e quel fotografo che se ne va per i vicoli di Napoli e scatta foto al cielo tra i tetti e dice che sono strade celesti e anche l’inca che legava con la corda il raggio di sole a una pietra-calendario e per questi qui e per Adriana "che bello,che bello" dicono le psi e tutto è a posto e invece no per me quando lo lego io il sole e no anche per giacomo e Pasqualina povera Pasqualina che tira la baracca vendendo fiori davanti al cimitero e che la vede lei la Madonna e quando sta qui ricoverata ricama un vestito alla tu lucis ante le lucinazioni appunto perché vuole avere il piacere di dirle come l’ha fatto quando la vedrà ma se già la vede e le parla Pasqualina ci piglia per culo e checazzo che tratta la Madonna come fosse la sua comare del vicolo di Pomigliano e Pasqualina quando sono andato a trovarla davanti al cimitero mi ha allungato un garofano io ho ringraziato e lei tornando con le chiocche da un altro posto mi ha detto di scusarla perchè il garofano era per quello che mi accompagnava ma vicino a me non c’era nessuno come vicino a me adesso non c’è Pasqualina (o no?) e la morte ci fa uguali come queste facce simmetriche di Adriana e che non hanno un cazzo da dire e adesso ci disegno sopra un neo sulla guancia così diventano colombine al carnevale di Venezia e comunque io non ci vedo proprio niente di strano in tutte queste lucinazioni anzi sono belle sono come l’albero di Natale e come i solstizi ma i dottori dicono che non è la stessa cosa che a me manca qualcosa e invece io gli dico che ho qualcosa in più che il loro qualcosa in meno non sono capaci di qualcosarlo ma io lo so perché è il significato ma non quello che vogliono loro e poverini perché anche loro vivono in due mondi perché uno è quello che è e l’altro è quello che vorrebbero che fosse e non lo sanno e neanche lo sanno queste qui che si atteggiano a voxlux mentre sono solo figure dipinte su un vaso raffigurate alla meglio mentre battono il piede e intrecciano le mani e io sto solo ricordando e i ricordi vanno liberati altrimenti non ricordano e non liberano e ricordare non ha a che vedere con corda come pensavo ma significa corscordis come dicono le tre psi che mi fanno proprio ridere perché pspsps come mi chiamassero e io mi volto e mi viene da pisciare ma poi insomma dico io nome e cosa che sono e non sono non sono ciò che sono sono non sono e che cazzo saranno mai e chi vogliono fare uscire scemo (uscito dalle parentesio e, come chi vuole fare contraddire qualcuno,d’improvviso): " che contiene quel vaso?"

coro (intrecciando le mani sulla bocca)
"…"

io (come chi non infierisce)
"Non rispondendomi mi avete risposto. c’è una sospensione?"

prima corifea (lirica, sconsolata)
"Non riempie questa voce//tutta l’acqua del mare"

io (tornato cattivo,irascibile)
"E chi parla di riempire? Se è vuota, per comprenderla, mi devo,evidentemente, svuotare.Svuotare è anche riempire, no?"

seconda corifea (imitando la voce di io)
"Il tuo pregiudizio ha imparato l’abilità di adattarsi"

io
"Cioè?"

terza corifea (rivolta alla seconda)
"Noi, come vedi, siamo ferme,dipinte. Tu e il vasaio che ci ha raffigurate così immaginate un nostro movimento circolare. Noi però siamo ferme. Quest’illusione la chiami deduzione. E’ invece un pregiudizio. Il ricordo di corifee che danzano girando non dovrebbe contagiare quelle che adesso vedi e come le vedi"

io (spazientito)
"Sciocchezze. Siete musicate" (e, ridendo come il matto che è) "Vaso,invasate. Ovvio. E l’origine del mondo è la musica di una risata"

coro (allargando le mani)
"…"

terza corifea (con pazienza. mentre parla io la sciommiotta)
" Non puoi essere consapevole di nulla. Se anche ci guardi e dici che sei cosciente di vederci, lo sei solo del tuo linguaggio e delle sue modulazioni. Le immagini create dal linguaggio hanno una forza di gravità automatica, una loro grammatica analogica. Quello che hai pensato finora è tuo o di Adriana? E’ di entramb?. Forse il gemello al quale pensavi è lei, simmetrica a te anche perché tu sei maschio, lei femmina. E maschio e femmina, come hai notato tu stesso, coincidono nella morte"

io( è cinico, incredulo,mentre continua a fare la caricatura )
"Ah, abbiamo fatto un dialogo tra sordi?"

coro (c.s.)
" Non ci credi? Rileggi il tuo monologo"

io (Rilegge,.E’ visibilmente meravigliato da cose che non si attribuisce.Le evidenzia e, a tratti, le commenta con espressioni facciali. alla fine:)
"…dunque conoscete anche i miei pensieri. O lo siete? Sia pure. Mentre rileggevo meditavo -ma ovviamente già lo sapete- su ciò che, se siete d’accordo, possiamo sintetizzare in qui-là. Intendo, signore, proprio quel trattino che unisce separando il "qui" e il "là" del fenomeno vissuto e osservato in autoscopia. Tra il qui e il c’è dunque un terzo, un tra"

prima corifea (sorridendo)
"Dove appunto siamo noi. né qui né là, né dentro né fuori ma dentro e fuori e là e qui: Tra. E senza le tue strane punteggiature e corsivi"

io (timoroso)
"Abbiamo concordato che la parola nasce dal buio. Voi, così credo, parlate. Dunque?"

seconda corifea (c.s.)
"Anche tu parli"

io (come per scusarsi)
"Perché avete iniziato voi. Vi ho semplicemente risposto, anche per educazione. Siete venute fuori come da un cilindro.Ecco, si. da un cilindro. Siete un trucco"

corifee (tendono a scomparire dalla scena. scuotono leggermente il capo come chi ha fatto il possibile)

io
"Aspettate. non andate ancora via"

corifee
"…:.
"

io
"…in fondo, siete una metafora"

(un vento comincia a far muovere il peplo delle voci)

prima corifea (assente, verso il vento)
"Lo siamo se ci scrivi. Là c’è un’intenzione che ci qualifica come metafora. Quando ci hai ascoltato in una nicchia dell’udito, allora non eravamo metafora. Hai usato lo scrivere come farmaco, hai esorcizzato la verità che ti ha donato Adriana con lo scongiuro delle tue smorfie, ti sei anche finto folle per ridurci a un tuo giocattolo. Va bene: hai tolto le molle alle nostre gambe, rotto i contrappesi dietro le nostre ciglia. E ora, che significato ci darai? A proposito: noi non sentiamo nessun galoppo né vediamo cavalli in giro"

io
"…"

seconda corifea (c.s.)
"allora eri folle?"

io
"…"

terza corifea (c.s.)
"allora eri allora?"

io
" "

Un rumore di cocci al mio piede sinistro.
Comincio a girare verso destra, lentamente.
Le corifee fanno lo stesso ma verso sinistra, col volto di profilo l come sul vaso.
Durante questa danza a una di loro cade un orecchino.
Sul palco appare una comparsa vestita di nero. Cammina su quadrati di specchi disposti su una scacchiera con i pezzi in attesa come per una partita iniziata da tempo.
La comparsa muove l’alfiere bianco e mangia il cavallo nero (il cavallo ha un laccio al collo).
Su uno specchio ai miei piedi vedo che ho una maschera ma se porto le mani sul viso mi accorgo so che non la indosso.
Arrriva una donna tutta trafelata. E’ vestita con un camice bianco da medico e ha uno stetoscopio che fuoriesce dalla tasca. Prende l’orecchino da terra e lo infila all’orecchio dal quale è caduto.
Scompare dietro una quinta.

Le mie palpebre calano.
Le maschere di Adriana aprono gli occhi.

Tutto ciò, o Marcello, è avvenuto in un battito di ciglia.


Mimmo Grasso


Articolo pubblicato il 10 ottobre 2005