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Dal medialismo italiano alla pittura fotografica cinese

di Guido Curto

Di un Paese sterminato e popoloso come la Cina sarebbe arduo e presuntuoso voler dare una sintesi onnicomprensiva di quanto concerne l’arte contemporanea attraverso una mostra di soli quattordici pittori. Questa rassegna, fuor di ogni enfasi, non è e non vuol essere una sorta di Crestomazia o di Compilation degli artisti migliori, ma è soltanto un capitolo di una più vasta e articolata storia della pittura cinese degli ultimi trent’anni ancora tutta da scrivere (e non sarà facile farlo in tempi brevi). Storia ben poco documentata che inizia quando finisce la cosiddetta Rivoluzione Culturale (l’eufemismo che indica la dura repressione attuata dalle Guardie Rosse maoiste dal 1966 al 1976). Infatti, solo dopo l’ascesa al potere di Deng Xiaoping, nel 1978, si avvia quel lento processo di apertura all’Europa e agli Stati Uniti, che da semplice istanza commerciale diventa anche causa di rinnovamento culturale. Proprio da questa apertura economica liberista nasce un desiderio di libertà che trova il suo climax nelle manifestazioni di piazza Tienanmen della primavera 1989 e nel gesto emblematico dello studente travolto dai cingoli di un carro armato.

Di quei fatti drammatici nessun artista presente in mostra rende conto, anche se questa compagine variegata di pittori trentenni e quarantenni, rappresenta la volontà di opporsi al Realismo sociale imposto dal regime comunista, attraverso un rinnovamento dei temi e dei linguaggi pittorici attuato guardando a quanto accade in Occidente. É un aggiornamento che avviene il più delle volte non attraverso la conoscenza diretta delle opere d’arte europee o statunitensi, bensì consultando, in modo quasi clandestino, cataloghi, libri, riviste specializzate e negli ultimi tempi anche Internet.

I 14 artisti selezionati rappresentano una tendenza figurativa neorealista ma intimista che il critico d’arte Shu Yang definisce "Pittura fotografica cinese". A ben guardare il loro stile è molto simile a certa pittura andata di moda in Italia negli anni Novanta con la denominazione di Medialismo. Termine coniato dal critico napoletano Gabriele Perretta e poi riproposto in articoli su riviste specializzate come Flash Art e anche in una mostra collettiva nell’ottobre 1993 al Flash Art Museum di Trevi (Perugia). Quel neologismo (caduto presto in disuso e poi abiurato dagli stessi artisti) era in realtà assai efficace per identificare quel gruppo di giovani artisti italiani che alla fine degli anni ’80 e nei primi anni ’90 avevano scelto di tornare alla pittura, attingendo spunti iconografici e stilistici dai Mass Media: fotografia, cinema, video, computergrafica, pubblicità, i fumetti e videogiochi. Oggi in Italia questa corrente non esiste più, anche perché non ha avuto un appoggio istituzionale nei musei e neppure ha trovato un promoter d’eccezione come Charles Saatchi, il magnate inglese della pubblicità che alla fine degli anni ’90 a Londra ha lanciato gli Young British Artists e la correlata tendenza pittorica del New Neurotic Realism (il Nuovo Realismo Nevrotico).

Del gruppo "medialista" restano però ancora attivi alcuni artisti torinesi di successo come Gian Marco Montesano, Daniele Galliano, Pier Luigi Pusole. Accanto a loro va ricordato anche Bruno Zanichelli (Torino 1963-1990), morto di leucemia a soli 27 anni, e si potrebbe aggiungere anche il napoletano Ryan Mendoza, newyorchese di nascita (1972). Ed è sorprendente trovare stringenti affinità tra questi italiani e i loro coetanei cinesi presenti in mostra. Tanto che un quadro di Fu Hong potrebbe facilmente essere attribuito al "nostro" Daniele Galliano, mentre gli oli su tela in bianco e nero di Shi Xinning fanno venire in mente certi quadri "politici" di Gian Marco Montesano, e la stesura materica di Li Songsong è simile a quella di Ryan Mendoza.

A questo punto, però, è necessario fare una precisazione e ricordare che esistono artisti cinesi contemporanei assai più celebri dei quattordici scelti per la mostra, fino a ieri ignoti.

Basti citare il caso di Chen Zehn, nato a Shanghai nel 1955 e morto prematuramente nel 2000 a Parigi, dove viveva dal 1986. Autore di affascinanti installazioni costruite assemblando oggetti e materiali tipici della Cina (sul piano estetico-poetico vicine all’Arte Povera), Chen Zhen è assai rinomato in Italia grazie all’attività della Galleria Continua di San Gimignano (Siena) e alle due retrospettive che gli hanno dedicato la Galleria civica d’Arte Moderna di Torino nel 2000 e il PAC di Milano nel 2003.

Altro artista cinese di fama internazionale è Cai Guo-Qiang, nato nel 1957 a Quanzhou, formatosi a Shanghai e trasferitosi poi a New York. Anche lui realizza installazioni neo-poveriste, spesso accompagnate da stupefacenti performance con fuochi di artificio (indimenticabile quella eseguita in occasione del vernissage della sua mostra alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento nel 2002.

In ambito strettamente pittorico, l’artista cinese oggi più noto e quotato in Europa è Yan Pei Ming (nato a Shanghai nel 1960, vive e lavora in Francia, a Digione). Dipinge tele gigantesche e, con pennellate larghe e informali, in bianco e nero, tratteggia volti di personaggi famosi come Mao Tse Tung o corpi nudi di giovani prostitute interpretati in chiave neoespressionista. Non può passare inosservato il fatto che, questi tre artisti, devono la loro notorietà non solo all’indubbia bravura, ma anche al fatto d’essersi trasferiti a lavorare in Occidente. Qui sta la differenza rispetto ai 14 pittori in mostra, che invece vivono tutti in Cina e fino a pochi mesi fa non erano mai usciti dal loro Paese. Tanto che per loro viene da fare un paragone con i già citati Young British Artists, lanciati da Charles Saatchi con mostre come Sensation. Il Saatchi italiano è, in questo caso, il bolognese Lorenzo Sassoli de Bianchi, che ha scoperto e selezionato i quattordici pittori cinesi, coadiuvato da una sensibile storica e critica d’arte, Vittoria Coen. Speriamo che ai cinesi arrida la stessa fortuna dei giovani inglesi.


Articolo pubblicato il 23 giugno 2005