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Oltre il sogno di Corrente

Anna Caterina Bellati

Si tratta di pittura. E di scultura, quelle vere. Un’esistenza intera dedicata al medesimo insistente progetto: cogliere attraverso il colore e il movimento il senso del reale, il significato delle cose, il limite tra ciò che all’uomo è concesso di capire e ciò che gli sfugge. Della vita, del suo essere nel mondo, del tempo e dello spazio. Bruno Cassinari è tra gli artisti italiani cresciuti nella culla di Brera sotto l’ala protettrice di Aldo Carpi, quello che più di ogni altro ha studiato gli esseri viventi nella loro fragile pienezza, capaci di dare la vita ad altri esseri uguali a sé, ma incapaci di contrastare la propria finitudine. Una creatività prorompente ha segnato tutta la sua storia e una ricerca inesausta del segno sublime, quello che contiene la forza, la precisione e insieme l’orgoglio di chi è artista nel sangue. Anche un suo amico che talvolta mi ha parlato di lui, Ennio Morlotti, possedeva quella medesima qualità di determinazione, di fierezza e di impegno. Ma Morlotti sviluppò un’altra strada, l’Informale e una volta incamminata lungo i sentieri segreti della natura, la sua pittura è diventata studio chimico delle leggi che governano fisicamente l’accadere della vita.

Cassinari ha preso una via diversa che lo ha condotto a insistere maggiormente sul rapporto spaziale fra gli esseri, sulle geometrie che dirigono i gesti e la collocazione degli uomini nel mondo, sull’inutile e meraviglioso fatto di essere vivi, forse persino sui loro pensieri. Un altro suo compagno di scuola, Trento Longaretti, raccontandomi qualche settimana fa della loro amicizia e degli anni ruggenti dell’Accademia, non a caso ravvisa proprio nelle madri uno dei temi fondamentali, se non "il tema" del lavoro di Cassinari. Quell’interrogarsi sul perché e il come la progenie umana continui imperterrita il proprio cammino; quel riflettere sulla magica possibilità concessa alle donne di contenere nel proprio ventre il segreto della vita. Seme della continuità. Mentre il seme dal quale è germogliato il sentimento della pittura (e anni dopo quello della scultura) di Cassinari è stata la frequentazione di Brera. Morlotti, Filippini, Longaretti, Ajmone, Dova, Francese, Peverelli, Treccani, Chighine, Birolli e Cassinari hanno partecipato a una grande occasione, un preciso momento storico nel quale si imponeva una scelta: o militare sotto la grigia egida del fascismo o essere contro. Loro erano contro. I giovani artisti che in quel tempo studiavano all’Accademia sentirono forte il compito di denunciare la violenza abbattutasi sull’intera Europa. A sostenerli erano il bisogno di ribellarsi e la necessità imperativa di sperimentare non solo forme e tecniche, ma idee nuove. Il valore di questo impegno corale consisteva nel recuperare una dignità per sé e per l’arte sottomessa e debole davanti al potere. Nel quartiere di Brera nascevano sodalizi e progetti che avrebbero investito come un vento fortissimo almeno i tre decenni successivi della storia dell’arte italiana e non solo.

Di quel crogiolo attento alle problematiche emergenti nella cultura europea qui interessa seguire il percorso di Cassinari e Morlotti negli anni compresi fra il 1940 e la fine della guerra. Entrambi attratti da tutto quello che sapeva di nuovo proseguirono - benché in maniera differente - sulla via tracciata da Picasso e in special modo quello che aveva fatto sventolare la bandiera di Guernica. Morlotti ne aveva acquistato alcune riproduzioni a Parigi e le aveva poi regalate agli amici. Nell’ambiente pulsante dell’Accademia avevano subito prodotto un terremoto. Per Cassinari e Morlotti le nuove possibilità aperte dal Cubismo nel rapporto spazio/luce/forma furono lo strumento attraverso il quale misurare il proprio futuro. Erano amici davvero. Dividevano ogni cosa: la miseria di quei giorni, le modelle, la donna di servizio che riordinava le stanze di entrambi nella medesima strada, via San Tomaso, appena dietro la chiesa, le notti in giro per Brera. E si mettevano alla prova come pazzi sugli stessi temi: la Natura morta, i Nudi, il Paesaggio. L’altro compagno di studi e di idee con il quale condividevano esperienze, scoperte e brevi vacanze a Gropparello è Ernesto Treccani. La cifra di quel sodalizio si chiama "Corrente". Nonostante gli eventi funesti di quegli anni, le basi gettate all’interno di quel movimento costituiranno una sorta di ponte che li terrà insieme e consapevoli benché la guerra o la vita stessa li costringano a un certo punto a separarsi. Scriveva Treccani anni dopo: "Corrente" fu di per sé un movimento contraddittorio e in esso confluirono fermenti diversi e anche contrastanti; entro la comune opposizione al fascismo vi erano tra di noi delle differenze, non soltanto di età e di temperamento, ma di propositi e di prospettiva e questo è significativo per quel che è accaduto negli anni successivi. In "Corrente" si possono distinguere due momenti abbastanza diversi e con caratteri e accentuazioni particolari. Il secondo movimento di "Corrente", per esempio, al quale presi parte come pittore assieme a Cassinari, a Morlotti, a Vedova e a Guttuso (erano gli anni della "Bottega di Corrente" e della galleria al primo piano di Via Spiga) aveva della pittura una concezione morale e civile che si differenziava notevolmente dalle prime manifestazioni antinovecentiste che oggi si è soliti chiamare con il nome di "Corrente". (Da: Il movimento di Corrente, 1950). A un certo punto della guerra Cassinari e Morlotti si rifugiano a Mondonico, una frazione di Olgiate Molgora, oggi in provincia di Lecco. Quelle colline già santuario di Emilio Gola e quindi luogo privilegiato della pittura brianzola, penso a Donato Frisia e a Riccardo Brambilla, offrono ai due giovani artisti una pausa serena all’ombra del torrente Molgora e delle morbide pieghe della Val Curone. In Morlotti l’attrazione per quei luoghi sarà profonda e inesauribile. L’Adda, il suo fiume, costituirà per sempre una palestra dove misurare la forza della materia e la potenza del colore; mentre Cassinari condividerà quell’esperienza più su un piano affettivo che non artistico. Lui era nato altrove, a Gropparello e i suoi Paesaggi sono specialmente legati alle colline del piacentino verso le quali l’artista provava d’istinto un sentimento tenero e partecipato. Di ritorno da quella specie di pausa dell’anima, quando sia Ennio che Bruno parteciperanno alla Mostra di Corrente, a proposito dei primi lavori di Cassinari dedicati alla terra d’origine Vittorini riconobbe in quella pittura un "bisogno di frugare, scavare nel mondo, sudando anche sangue stesso, per strappargli grida di colore. […] Mai un pittore giovane dei nostri tempi è stato fin dal principio così deciso nel bisogno di ottenere dal colore un risultato di profondità. E mai è stato fin dal principio così efficace, così intero. Gli ultimi Paesaggi di Cassinari sono opere che già possono prendere posto nella storia dell’arte contemporanea". Per entrambi la terra natale costituisce un approccio alla pittura quasi religioso e il paesaggio di Mondonico per Morlotti come quello di Gropparello per Cassinari, diventa luogo interiore, sito delle proprie origini, posto della memoria futura. Non per caso tutti e due ritorneranno, in momenti diversi, sul motivo del ‘posto dove si è nati’. Lì la natura è quella conosciuta e riconoscibile per abitudine filiale. Dopo i mesi di Mondonico rubati alla guerra, Cassinari e Morlotti lavoreranno sul paesaggio-colore e sulla natura-colore in forma e con metodi diversi. L’anno successivo partecipano ancora insieme al IV Premio Bergamo esponendo, fra l’altro, un paesaggio a testa. Si tratta di un Mondonico per Morlotti e de Il ruscello verde per Cassinari, dipinti nei quali la scelta delle tonalità degli ocra, delle terre, dei verdi dichiarano come il lecchese con le prime larghe spatolate dense e materiche si stia preparando all’Informale, mentre l’amico piacentino utilizza tonalità più calme e un’impaginazione del dipinto che già lo spinge verso quella geometrizzazione del mondo che diventerà con gli anni il suo carattere dominante. La loro pittura procede affiancata. Dopo la Brianza vanno a Gropparello dove li raggiunge Ernesto Treccani. Di quei momenti preziosi lascia tracce nei suoi appunti: "Ancora una volta nell’oasi del giardino splendente, la sera, con un bicchiere di vino davanti, guardo la notte, i girasoli e la luna bassa, scambiando poche parole con l’amico Cassinari. Anche qui, in quest’ora, la campagna è profonda (tanto verde nel buio) come cento chilometri più in là, oltre la Cisa, sulla collina di Gropparello. Parrebbe che il mondo fosse soltanto campagna, ma se scartiamo questa notte e il mio pensiero che si figura tutto quel verde, la realtà è un’altra. La realtà degli oggetti allineati, disseminati, inerti, rotolanti". E altrove Treccani annota ancora: "A Gropparello da Cassinari. Da Piacenza in bicicletta con Ennio (Morlotti n.d.r.), il grano è maturo. Visto un paesaggio bellissimo, un cielo azzurro disteso, un gruppo di case, il piano giallo di grano. Tre rapporti esattissimi. (...) Negli ultimi quadri di Bruno (una quindicina tra paesaggi e nature morte) c’è molta libertà e ricchezza di pittura; il colore insiste ancora sopra una gamma un poco molle, viola e verde e verde veronese. Bruno avverte una crisi in cui sente l’inutilità di una vita da consumare nella compiacenza del dolore e del peccato". (6 giugno 1943; da: Arte per amore, Feltrinelli, 1978) Amici che parlano di amici. Tutti artisti, tutti impegnati politicamente, tutti in procinto di delineare il proprio percorso definitivo. A Gropparello Cassinari si recherà di frequente punteggiando con le sue colline i periodi di malinconia, i ritorni al grembo materno, gli stacchi nella costruzione della sua personalità artistica. Mentre a Mondonico Morlotti tornerà una seconda volta nel 1946, insieme alla giovane moglie Anna e da lì prenderà il via la seconda stagione dei Dossi, preludio agli Adda carnosi e pieni degli anni Cinquanta. Cassinari in quell’anno è inquieto e cambia spesso orizzonte: è a Milano quasi di passaggio e ancora nel piacentino, ma già con Parigi nella testa dove andrà nel 1947 e ci resterà per un anno, fino alla scoperta di Antibes e all’amicizia con Picasso. Solo allora Cassinari ricondurrà la sua matrice cubista a una sorta di ordine geometrico che negli anni Cinquanta evolverà verso quella tavolozza di colori quasi a smalto che faranno della sua arte un monumento al colore per il colore. Risulta quasi paradossale, ma proprio quando Cassinari comincia a frequentare Picasso e ad avere libero accesso ai suoi lavori ha inizio il distacco dal picassismo, del quale il piacentino salva la concezione dello spazio inteso come movimento. Ma i colori gessosi e muti scompaiono, sostituiti dal piacere della narrazione; la pittura si fa racconto, aprendosi a suggestioni mediterranee e trovando un cammino autonomo rispetto al suo passato e alle sollecitazioni dell’astrattismo che sta prendendo piede in Europa. Nei suoi dipinti invece il paesaggio, gli animali e in particolare la figura umana assumono un ruolo da protagonisti dello spazio fisico nel quale sono collocati. La grazia della composizione diventa importantissima, l’impaginazione dei dipinti è sostenuta da un colore forte e libero in cui l’accento lirico impone un rimando alla grande pittura rinascimentale, ma ridefinita da uno spazio del tutto nuovo, in cui ogni cosa si muove in cerchio, insieme a tutto ciò che con lei ruota nell’universo. La disciplina della struttura di ogni opera celebra l’emozione di un incontro sempre rinnovato e sempre diverso con i propri soggetti. Ritmati tra la natura morta, la figura femminile e il mare d’Antibes.

La grande attitudine poetica di Cassinari con l’andare del tempo si sviluppa nella direzione del gesto-colore che delimita l’ambito dello sguardo. Nel lavoro degli anni Cinquanta lo spiccato senso plastico che aveva accomunato la sua forma pittorica a quella degli amici di Corrente assume un virtuosismo appassionato che prima non c’era. Le forme, pur scomponendosi in aree architettonicamente definite hanno addosso la liquidità del colore che scivola sul segno e mescola i confini reali delle cose. La connotazione dell’oggetto perde d’importanza. Così il mare può trasformarsi in una sorta di natura morta; il volto di una donna ha molti occhi, ma sempre lo stesso sguardo fisso mentre il mondo le gira attorno, un cavallo galoppa oltre i confini del disegno che lo imprigiona, ma le sue zampe sono bloccate eternamente in quel movimento di fuga.

Oltre il sogno di Corrente alla fine Cassinari trova una patria di sua esclusiva appartenenza in cui ciò che ha appreso durante gli anni di Brera resta come perenne monumento alla storia dell’arte italiana e per certi versi europea, ma declinato in un insistente, talvolta ossessivo ritorno al proprio cuore. Gropparello, la madre, Picasso, il mare. In un’onda lunga che dopo oltre dodici anni dalla sua scomparsa lascia nelle orecchie un rumore leggero. Come una morbida carezza.


Articolo pubblicato il 22 dicembre 2004