Arte

Il Bacio. Tra Romanticismo e Novecento
Amore e Morte, passioni e patriottismo nell'iconografia del bacio tra Ottocento e Novecento di Susanna Zatti
A fior di labbra. Per una fenomenologia del bacio nel cinema italiano di Gianni Canova
Il bacio come linguaggio simbolico di Lorenza Tonani

Amore e Morte, passioni e patriottismo nell'iconografia del bacio tra Ottocento e Novecento

di Susanna Zatti

Commentando nel 1873 la felice e feconda produzione artistica di colui che già ai suoi tempi era acclamato il protagonista indiscusso della scena pittorica milanese, ovvero Francesco Hayez, il poeta e patriota Francesco Dall'Ongaro acutamente individuava gli estremi della parabola creativa in due baci: "il bacio famoso di Romeo e Giulietta, e l'altro più recente che corre l'Europa, e che chiameremo il ‘Bacio del volontario'".
Soggetto di non speciale fortuna nella pittura e scultura sino al Neoclassicismo, l'iconografia del bacio aveva conosciuto una straordinaria e popolare diffusione a partire soprattutto dalla poetica romantica, quando l'espressione del sentimento e degli affetti era divenuta la centralità e la sostanza stessa della rappresentazione artistica.
Non solo la cultura figurativa ma anche quelle letteraria e musicale si erano alimentate di suggestioni e visioni emotive, spesso tratte dalla mitologia e dalla storia antica e medievale, rappresentate in opere caratterizzate da immagini enfatiche, ricche di gesti teatrali, di espressioni piene di pathos che avevano attratto e fatto battere i cuori del pubblico delle Esposizioni; queste stesse opere infiammavano gli animi di quanti riuscivano a decifrare il sotteso messaggio nazional-patriottico: così alcune tematiche apparentemente facili e popolari - il bacio tra queste - venivano anche a veicolare efficacemente quei significati e contenuti forti, di impegno civile, propugnati dai teorici del primo Ottocento, quali il pavese Defendente Sacchi.
Quando nel 1823 aveva affrontato L'ultimo bacio dato a Giulietta da Romeo su commissione di Giambattista Sommariva, uno dei principali collezionisti della Milano romantica, Francesco Hayez aveva ben presenti le due versioni del più celebre dramma amoroso di tutti i tempi, sia la fonte più antica, quella della novella di Luigi da Porto - che aveva tradotto ne Gli sponsali di Giulietta e Romeo procurati da fra Lorenzo per il conte Franz Erwein von Schönborn-Wiesentheid - sia la ben più nota tragedia shakespeariana, di cui proprio a partire dagli anni venti si incominciavano a illustrare i momenti salienti anche a opera di Agostino Comerio, di Vitale Sala, di Giovanni Migliara e su cui lo stesso Hayez ritornerà in quadri successivi.Tra questi era anche un Bacio tra Giulietta e la nutrice che, non citato nell'elenco manoscritto delle opere di Hayez, era stato genericamente interpretato quale bacio tra una monaca e una giovinetta e assegnato dalla critica alla seconda metà degli anni venti (secondo Nicodemi [1962] al 1825 e secondo Coradeschi [1971] al 1828), e che a evidenza deriva dal dipinto del 1823, di cui riprende alla lettera la figura dell'eroina. La celebre invenzione del bacio "voluttuoso" ("Quel bacio non è il tenero amore di una pura anima incantata, è voluttuoso") che Romeo, già in procinto di calarsi dalla finestra aperta, dà appassionatamente a una domestica Giulietta in ciabatte, aveva suscitato uno straordinario consenso nel pubblico e una grande fortuna visiva, tale che l'accorto pittore - buon gestore della sua attività commerciale - aveva fatto trarre riproduzioni di quello e di altre redazioni pittoriche sia in miniature sia in incisioni sia nel celebre cammeo realizzato nel 1824 da Giovanni Beltrami per lo stesso Sommariva.
Di una tela, dispersa, presentata a Brera nel 1830 e intitolata Ultimo addio di Giulietta e Romeo ci rimane testimonianza tramite il disegno ad acquerello, autografo dell'artista, che ci mostra i due amanti nell'attimo immediatamente precedente il bacio, con Giulietta che alza il volto già socchiudendo gli occhi e Romeo che si china su di lei, avendo già il piede posato sul davanzale. Recensendo l'Esposizione sulla "Gazzetta di Milano" di quell'anno, il critico Francesco Pezzi annotava come quella storia fosse stata talmente tante volte prodotta e riprodotta che "se non finirà collo stancare pennelli e penne, stancherà al certo spettatori e leggitori". Ma il commentatore si sbagliava perché la fortuna - visiva, letteraria e melodrammatica - di quella come di altre storie d'amori impossibili e sventurati dei tempi passati avrebbe continuato a fruttificare e accrescersi nell'attualità, a dimostrazione del valore immanente nella nostra cultura del rapporto tra eros e thanatos.
Prima di arrivare all'altra celebre - la più celebre - rappresentazione di bacio passionale, cioè la scena originale dipinta da Hayez nel 1859, molti avvenimenti dovevano succedere a segnare la storia e le esperienze collettive oltre che il pensiero estetico e l'evoluzione stilistica degli artisti: così che quell'immagine - usurata da un consumo voracissimo e fin volgare, ma straordinariamente attrattiva e commovente - avrebbe assunto ulteriori e più reconditi significati, prestandosi a un doppio registro di lettura, privato-sentimentale e nazional-patriottico. Anche Giovanni Carnovali detto il Piccio, l'altro grande protagonista della pittura romantica italiana di metà Ottocento sul versante dell'antiaccademismo, si era cimentato nella trasposizione figurativa di una storia letteraria, dove il momento del bacio è discrimine tra la vita e la morte, con Aminta rinviene tra le braccia di Silvia. Ispirato al poema boschereccio di Torquato Tasso, rappresentato per la prima volta alla corte ferrarese nel 1573, il grande dipinto aveva segnato l'esordio del pittore bergamasco all'Esposizione annuale di Brera del 1838, suscitando critiche poco favorevoli sia sotto il profilo formale della condotta pittorica poco rifinita e disegnata, sia da parte di chi - come Cesare Cantù ne "Le Glorie" dello stesso anno - gli rimproverava di non aver "trasfuso bastevole passione" nei volti e negli atteggiamenti dei due protagonisti. La scena si riferisce al quinto e ultimo atto della favola (la trama è complessa: la passione non corrisposta del pastore Aminta per la ritrosa cacciatrice Silvia, l'unione tra i due che viene in fine celebrata dopo che entrambi hanno vicendevolmente creduto morto l'amato, il coro finale che annuncia la vittoria dell'Amore sulla Morte) quando Aminta,"che parea già negli ultimi sospiri / esalar l'alma", e Silvia, che "in guisa di baccante / gridando e percuotendosi il bel petto / lasciò cadersi in su 'l giacente corpo / e giunse viso a viso e bocca a bocca", si baciano, su uno sfondo ben costruito di quinte arboree e alla presenza di Dafne e di due pastori che commentano l'accaduto.
Sebbene in Piccio non sia raro incontrare soggetti erotici tratti dalla letteratura e dalla mitologia, che paiono congeniali alla sua stesura pittorica filamentosa e aggrovigliata - dal bacio tra Raffaello e la Fornarina, ai vari episodi amorosi di Rinaldo e Armida, di Angelica e Medoro, di Salmace ed Ermafrodito, di Zeus ed Afrodite, di Selene ed Endimione -, quest'opera in particolare potrebbe essere riferita alla sua frequentazione del cenacolo culturale presso la villa alla Crocetta di Mozzo, dove il conte Guglielmo Lochis aveva raccolto un'eccezionale collezione di dipinti antichi e ospitato intellettuali cosmopoliti di tendenze romantiche. Frequentazioni molto stimolanti per l'ampliamento e l'approfondimento delle sue conoscenze anche nel campo della musica, della poesia e per la nuova attenzione al melodramma, e che gli avevano favorito la commissione di questo dipinto da parte della famiglia Turina di Cremona, una cui componente, Giuditta Cantù, già moglie di Ferdinando Turina e poi legata sentimentalmente al compositore Vincenzo Bellini, potrebbe essere stata modella per la figura di Dafne o della stessa Silvia.
Ma il dipinto è evidentemente, e innanzitutto, espressione dell'aggiornamento in senso antiaccademico della cultura figurativa da parte del giovane Piccio, della rivisitazione di modelli che vanno da Correggio a Parmigianino e specialmente a Lotto, il cui Sposalizio mistico di Santa Caterina, acquisito da Lochis nel 1829, può aver fornito più di uno spunto nella composizione e nella "sequenza del dialogo ritmico dei gesti dei personaggi".
Sulla stessa linea stilistica, il pavese Cherubino Cornienti, pittore di fine ingegno e sensibilità romantica, dapprima dedito all'impaginazione di complessi temi storici e allegorici in affreschi e dipinti di grandi dimensioni, sul finire degli anni cinquanta aveva ripiegato su iconografie sentimentali, intimiste ed erotiche, tradotte in disegni, bozzetti e oli di piccolo formato: un mondo di languide Veneri e Amori dardeggianti, tra loro avvinti, voluttuose Ninfe e Bacchi inghirlandati popolano le ultime composizioni, tratteggiate con segno lieve e fluido, con pennellate liquide e luminose. Si tratta per la gran parte di pensieri, studi e di modelletti preparatori alla decorazione della camera nunziale di Giuseppe Puricelli, il noto collezionista, mecenate tra gli altri di Faruffini e Cremona, che - per le nozze con Giulia Tittoni - aveva incaricato il pittore di ornare la villa del Conventino a Cardano con soggetti licenziosi, realizzati secondo il gusto e le iconografie d'ispirazione neorococò.

Si deve all'acribia filologica e alla finezza interpretativa di Fernando Mazzocca la compiuta conoscenza della produzione di Francesco Hayez dedicata al "Bacio", che qui ricorderemo.
Una prima idea del soggetto, databile dunque entro il 1859, è testimoniata da un acquerello che mostra - entro un'ambientazione architettonica connotata in senso medievale e cortese - le figure di due amanti che avvicinano i volti di profilo per far scoccare il bacio. Di proprietà del noto poeta e traduttore di testi cardine del romanticismo europeo, Andrea Maffei, collezionista e consigliere di Hayez nell'ideazione iconografica di molti dei suoi più celebri dipinti, il bozzetto si colloca nel ricco ed apprezzato filone di derivazione storico-letteraria della produzione del pittore, che alla metà del XIX secolo già aveva annoverato tante invenzioni figurative efficacissime, alcune delle quali ispirate per l'appunto da Maffei.
Affatto tralasciata questa prima idea, l'anziano maestro coglie l'occasione della grande esposizione di Brera - inaugurata il 9 settembre 1859, tre mesi dopo il trionfale ingresso a Milano di Vittorio Emanuele II e dell'alleato Napoleone III, per testimoniare il contributo anche delle arti al nuovo corso storico - per presentare un quadro, di modeste dimensioni, che subito calamita il favore del pubblico anche popolare e l'attenzione della critica grazie alla conturbante sensualità di un bacio che è un vero amplesso amoroso: le figure avvinghiate e come compenetrate, i volti nascosti per zoommare il fuoco sulle labbra, il gesto intimo e tenero della mano di lui che trattiene e avvicina il viso, l'arcuarsi voluttuoso del dorso di lei sotto la spinta di una passione tanto impetuosa. Emergeva dalla scena una tale freschissima carica erotica che Giuseppe Rovani, letterato raffinato e critico d'arte militante, sembra abbia detto dello spregiudicato Hayez: "Costui può far figli a novant'anni!".
Come si ricordava in esordio, era stato Francesco Dall'Ongaro a evidenziare le qualità del messaggio positivo del dipinto, da lui definito il "Bacio del volontario", vaticinando: "Esca da quel bacio affettuoso una generazione robusta, sincera che pigli la vita com'ella viene, e la fecondi coll'amore del bello e del vero".Tra tanti dipinti esposti di soggetto militare e storico risorgimentale, era dunque il quadro di Hayez a prestarsi maggiormente a una duplice lettura, privata e sentimentale, pubblica e nazional patriottica.
Quest'interpretazione augurale che dall'unione di quei corpi potesse nascere una nuova nazione, una giovane Italia, veniva confermata e avvalorata da una successiva redazione (quella presentata a Parigi, nel 1867) che meglio esplicitava la simbologia dell'alleanza tra Italia e Francia nella scelta cromatica delle vesti e nell'aggiunta del drappo bianco a terra composti a formare le due bandiere nazionali. Ma vi era anche chi moderava tanto ottimistica lettura, sottolineando quella sensazione vaga di inquietudine che sospendeva la scena in un'atmosfera cristallizzata, la tagliava con una densa linea d'ombra presaga di future delusioni e tradimenti politici: un'interpretazione condivisa ancora un secolo più tardi da Luchino Visconti che proprio il Bacio di Hayez avrebbe preso a icastico modello per la scena centrale di Senso (1954, dalla novella di Camillo Boito), quella che vede la contessa Livia Serpieri e l'ufficiale austriaco Franz Mahler stretti in un ultimo tragico abbraccio.
Dunque nel 1867 il pittore aveva scelto e inviato all'Esposizione Universale di Parigi, insieme con altre sue opere rappresentative, anche una nuova versione (di dimensioni appena superiori) del dipinto , che aveva destato l'ammirazione di Gioacchino Rossini e del pubblico francese, come scriveva ad Hayez l'amica Giuseppina Negroni; in seguito il quadro era risultato disperso ed è ricomparso dal 1998 presso una collezione privata americana. Ancora il Bacio del 1859 - che era stato commissionato dal conte Alfonso Maria Visconti di Saliceto ed è conservato presso la Pinacoteca di Brera dal 1886- era stato replicato in un dipinto, di piccolo formato e della medesima intonazione cromatica, donato da Hayez a Caterina Zucchi, sorella dell'amata modella Carolina deceduta nel 1848 (ora in collezione privata); una differente versione, quella ora in mostra, era stata invece realizzata dal pittore per la nota famiglia Mylius che la detenne per oltre un secolo: si tratta del quadro passato poi in una raccolta tedesca e recentemente pervenuto ad altra collezione.
Compresa nell'elenco manoscritto dei dipinti di Hayez e menzionata nelle sue Memorie (Milano 1890, p. 281), l'opera apparteneva all'anglo-tedesco Johan Frederich Mylius , pronipote del banchiere, filantropo e mecenate delle arti Enrico, vissuto a Genova a partire dal 1849 e anch'egli appassionato collezionista d'arte antica e contemporanea, buon conoscitore della letteratura internazionale e romantica italiana, frequentatore dei circoli artistici d'avanguardia; è identificabile con certezza in un catalogo francese tra i dipinti di proprietà Mylius messi all'asta (al prezzo di 2400 lire, ma rimase invenduta) nel 1879, a seguito dei problemi finanziari della banca di famiglia. Caratteristica della tela è la mutata scelta cromatica che ha tralasciato la vivida e sontuosa contrapposizione timbrica dell'azzurro e del rosso smaglianti in favore di un'intonazione un poco più pacata e registrata sui toni delle terre, ma accesa dallo scintillio della serica veste bianca. Datato dall'autore al 1861 ("Frac.sco Hayez veneziano fece 1861 di anni settanta"), è un dichiarato e orgoglioso omaggio all'appena costituita Unità italiana, rappresentata nel tricolore bianco (l'abito femminile), rosso e verde ( i calzoni e l'interno del mantello maschile).
La straordinaria fortuna visiva del Bacio di Hayez, subito riconosciuto come icona popolare perché emblema delle sofferenze d'amore e identificato quale portatore di messaggi libertari, è testimoniata, tra l'altro, da due dipinti d'epopea risorgimentale, realizzati intorno al 1862 rispettivamente da Gerolamo Induno e da Giuseppe Reina; sia Triste presentimento (Pinacoteca di Brera) sia Una triste novella (collezione privata) raffigurano, in un interno domestico, una giovane donna che con malinconia e preoccupazione pensa all'amato partito per il combattimento: l'una contempla dolorosamente un medaglione con l'effigie del volontario, e ha alle sue spalle, accanto a un busto di Giuseppe Garibaldi, una stampa litografica del capolavoro hayeziano affissa alla parete; l'altra guarda con trasporto e commozione la stessa immagine, che stringe tra le mani, messa in risalto dalla luce della finestra che evidenzia, insieme, una composizione di oggetti dalle tinte rosse, verdi e bianche.

di Susanna Zatti
Curatrice della mostra:
Il Bacio. Tra Romanticismo e Novecento
Pavia - Scuderie del Castello Visconteo
Viale XI Febbraio, 35 - Pavia
Dal 14 febbraio al 2 giugno 2009

Estratto dal testo in catalogo Silvana Editoriale