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Un’occasione che si sta sprecando

Di Franz Falanga*

Stiamo parlando delle Accademie di Belle Arti in Italia. Le accademie italiane sono presenti su tutto il territorio nazionale da molto tempo. Parecchie esistono anche da secoli.

Come tutti sanno, le accademie sono situate al vertice dei vari percorsi formativi intrapresi da tutte quelle persone (generalmente giovani sui vent’anni) che vogliono dedicarsi professionalmente al "fenomeno arte". Si accede a queste strutture dopo aver superato un qualsivoglia esame di maturità. Così come si accedeva e si accede all’università. Insomma, le accademie erano e sono un punto di arrivo/partenza importante e qualificato che si inizia a frequentare dopo aver terminato gli studi nei vari tipi di liceo (classico, artistico, scientifico, istituti statali d’arte, eccetera eccetera).

Fino al dicembre del 1999 le accademie di belle arti italiane erano sotto la giurisdizione dell’allora Ministero della Pubblica istruzione, ed erano il fiore all’occhiello del Ministero medesimo. Tant’è vero che dipendevano direttamente dall’Ispettorato per l’educazione artistica a Roma, e non dai Provveditorati agli studi.

Le università, invece, erano sotto la giurisdizione del Ministero dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica (MURST). Ora i due ministeri sono accorpati nell’attuale unico Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).

Un bel giorno del 1999, per l’esattezza il 21 dicembre, con la legge n. 508, le Accademie di Belle Arti italiane, insieme all’Accademia Nazionale di Danza, all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, agli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche, ai Conservatori di Musica e agli Istituti Musicali pareggiati, sono state trasferite nella fascia universitaria. Accademie e Conservatori sono dunque andati via definitivamente dal vecchio Ministero della Pubblica Istruzione, che così ha perso i suoi fiori all’occhiello. Accademie e Conservatori che, peraltro, da troppo tempo, avevano, ahimè solo culturalmente, dignità universitaria, senza invece averla legalmente e istituzionalmente.

Queste istituzioni, come si è detto, sono entrate nell’universo universitario, dopo decenni di attese parecchio frustranti. Sono quindi passati quattro anni (troppi) dal 1999 e finalmente è stato emanato il primo dei decreti attuativi della legge di riforma. Si tratta di tutta una serie di regolamenti ministeriali che disciplineranno definitivamente queste istituzioni che stanno quindi iniziando a munirsi di statuti autonomi, di regolamenti interni e di norme di attuazione.

Piccola annotazione a margine, un’ottantina di anni fa, le Facoltà di Architettura divennero strutture universitarie provenendo direttamente dalle Accademie di belle arti del tempo.

A grandi linee questi sono i fatti. Non è negli intendimenti di chi scrive fare una storia accurata o un lungo elenco documentato delle varie vicissitudini secessionistiche e delle spesso contraddittorie vicende legislative che si sono accavallate in questi ultimi decenni, con ritmi diversi e con risultati spesso poco soddisfacenti. Questa storia toccherà scriverla a burocrati illuminati che sono edotti sui fatti legislativi molto meglio di chi sta scrivendo queste note.

A noi, che lavoriamo in un’Accademia di Belle Arti, interessa dare testimonianza di quello che abbiamo potuto percepire in questi ultimi anni in cui si è iniziato a traghettare le accademie italiane verso l’università, fatto questo che è già tranquillamente e solidamente avvenuto da tempo nella Comunità Europea.

I personaggi, ed i relativi comportamenti che prenderemo inizialmente in esame sono dunque le Accademie di Belle Arti e le Facoltà di Architettura.

Due strutture ben distinte/distanti, l’Accademia non ancora Università ma lì lì per diventarlo, e la Facoltà di Architettura, universitariamente consolidata, discendente, come già detto, dai lombi accademici nei primi decenni del Novecento.

Per iniziare a comprendere che cosa stia accadendo, cerchiamo di prefigurarci gli schemi a blocchi (la struttura) delle due istituzioni attualmente esistenti.

Lo schema di una qualsiasi Università può tranquillamente essere paragonata ad una scala a pioli. Ogni scalino è un esame, alla fine degli scalini, quanti essi siano poco importa, c’è la laurea (anche qui poco importa se di primo, secondo livello o dottorato di ricerca).

Lo schema di una qualsiasi accademia è totalmente diverso da quello universitario dianzi semplificato. Lo schema di un’accademia può essere rappresentato da un cerchio chiuso nel quale sono contenuti gli insegnamenti cosiddetti fondamentali che sono Decorazione, Pittura, Scenografia e Scultura (in ordine rigorosamente alfabetico). Questi sono chiamati laboratori principali, oppure atelier, e coincidono con il nome stesso del corso di studi. Altre discipline fondamentali che "servono" le precedenti quattro un po’ più fondamentali delle altre sono: Anatomia artistica, Plastica ornamentale, Storia dell’arte e Tecniche dell’incisione.

Immaginatevi ora questo cerchio contenitore, con una ulteriore corona esterna formata da una serie di frecce dirette verso il centro del cerchio medesimo. Queste frecce sono i corsi complementari, che fino a diversi anni fa erano ufficialmente chiamati corsi speciali. I corsi complementari, ex speciali, furono istituiti circa una ventina di anni fa per iniziare a dare dignità universitaria (già da allora si preconizzava il passaggio alla fascia universitaria) alle accademie italiane. Questa struttura chiusa (il cerchio), dove i corsi fondamentali sono tutti contenuti, potrebbe avere come motto "Non si muove foglia che Dio non voglia". Ci spieghiamo meglio. Gli insegnamenti di Decorazione, Pittura, Scenografia e Scultura sono i principali protagonisti dell’intera vicenda accademica. Attenzione dunque ai meccanismi che questa situazione comporta. Uno studente che si iscrive, poniamo al primo anno di scultura, avrà per tutti i quattro anni lo stesso professore titolare e lo stesso professore assistente (salvo avvicendamenti fisiologici, pensionamenti, trasferimenti e quant’altro). Lo studente diplomando può avere come relatore uno qualunque dei docenti dell’accademia sapendo però che la discussione della tesi di diploma accademico medesima dovrà avere come supervisore il professore dell’atelier caratterizzante il percorso di studi. La commissione sarà quindi formata dal professore titolare di Scultura (stiamo utilizzando come esempio ancora Scultura), dal professore assistente alla cattedra di Scultura e dal professore relatore. In totale, tre professori. Si può agevolmente notare, malgrado la rozzezza della nostra descrizione, come il professore titolare di un corso fondamentale abbia un "potere" molto particolare. Infatti, dopo essere stato a contatto di gomito per quattro anni con lo stesso studente, può pesantemente entrare nel merito della tesi di diploma anche se, e può capitare, non sia necessariamente specializzato nella materia scelta dallo studente medesimo per diplomarsi.

Questa, in sintesi, una delle obsolete situazioni paradossali finora esistente nelle Accademie di Belle Arti italiane. L’obsolescenza deriva dalla vecchia abitudine a considerare il corso come un personale atelier di rinascimentale memoria. Atelier che, se andava bene secoli fa, forse oggi avrebbe bisogno di una messa a punto sostanziale oltre che formale.

Ciò detto, ecco qui alcune considerazioni che sono dettate da osservazioni che potrebbero apparire banali, ma che banali non sono, vista la notevole difficoltà con la quale vengono riconosciute, mai apprezzate, da molti dei diretti interessati:

1. E’ lecito pensare che se lo studente, anziché avere un unico docente per quattro anni, avesse quattro docenti, ognuno per ogni anno di corso, potrebbe avere più informazioni e più stimoli riguardanti il proprio percorso di studi scelto. Il professore unico e demiurgo per tutti i quattro anni accademici è una figura quanto mai opinabile. Lo studente dovrebbe avere la possibilità di cambiare ogni anno docente. Ovviamente lo studente avrebbe la possibilità alternativa, soltanto su sua richiesta, di poter frequentare la disciplina fondamentale anche con lo stesso professore per i quattro anni di corso.

2. E’ lecito pensare che non necessariamente i corsi fondamentali dovrebbero essere tali per investitura divina. Potrebbero essere fondamentali in certi casi e facoltativi in altri. Come si può ben immaginare un cambiamento del genere influirebbe parecchio sul "potere" al quale prima avevamo accennato.

3. E’ lecito pensare che se la commissione di diploma anziché essere formata dal professore titolare e dal professore assistente del corso fondamentale più il professore relatore, fosse invece formata dal professore relatore e da vari altri professori di discipline contigue alla ricerca effettuata dallo studente, il risultato culturale sarebbe certamente più logicamente accattivante per lo studente stesso, che avrebbe la felice possibilità di discutere dei suoi interessi culturali con professori affini alla sua personale ricerca. Il numero dei professori della commissione di laurea dovrebbe conseguentemente aumentare.

Queste annotazioni balzano immediatamente agli occhi osservando l’attuale struttura delle Accademie.

Ciò premesso, qualcuno potrebbe chiedersi il perché di questo articolo e il perché del titolo del medesimo. Parlare di come potrebbero funzionare nell’immediato futuro le Accademie di Belle Arti italiane potrebbe interessare un numero molto ristretto di specialisti. Parlare di come dovrebbero funzionare nell’immediato futuro le Accademie delle quali stiamo parlando, potrebbe invece interessare tutti quelli che pensano di affrontare questo tipo di studi e tutte quelle persone di buona volontà, addette ai lavori, che pensano che fra le Facoltà di Architettura e le Accademie dovrebbe esserci un dialogo continuo.

Abbiamo detto "dovrebbe esserci un dialogo continuo". E lo ripetiamo con fermezza.

Dialogo continuo che purtroppo all’oggi non esiste, e purtroppo non esiste istituzionalmente nemmeno nei progetti futuri delle Facoltà di Architettura e delle Accademie. E tutto ciò non porta acqua al mulino della ragione, della conoscenza e del progresso culturale.

Parlando fuori dai denti ed esemplificando al massimo l’intera questione, si può dire generalizzando che, mentre nelle Accademie viene coltivata la creatività privilegiando poco la razionalità e il rigore, nelle scuole di Architettura viene coltivata un certo tipo di razionalità e di rigore privilegiando poco un certo tipo di creatività.

Abbiamo usato il termine "creatività" perché la parola "arte" si è talmente caricata di valori aggiunti da rischiare ormai un particolare tipo di inflazione culturale. L’argomento merita un trattamento a parte, trattamento che, per una serie di strane ragioni, stenta a decollare.

Quali conclusioni ed eventualmente quali ipotesi di progetto si possono dunque trarre dall’attuale situazione che vede irrompere sulla scena universitaria altri personaggi?

A noi pare questa un’occasione più unica che rara, nel senso che, finalmente, due componenti importanti della creatività, e cioè "il rigore e la follia" di cui parlava Le Corbusier potrebbero finalmente e istituzionalmente collaborare a pieno regime senza inutili ed artificiali steccati che fin qui sono stati innalzati. Le Facoltà di Architettura hanno bisogno dell’immenso patrimonio culturale che esiste nelle Accademie di Belle Arti italiane così come queste ultime hanno bisogno dell’immenso patrimonio culturale che esiste nelle Scuole di Architettura italiane. Se a questo futuribile connubio poi si dovessero aggiungere, come auspichiamo, i Conservatori e le Facoltà di Lettere, allora la nascita di un Politecnico della Creatività, della Forma e della Comunicazione sarebbe un’occasione storica per far colloquiare fra loro elementi di un arcipelago che finora si sono aristocraticamente ignorati alzando barriere e steccati fra loro, facendosi, tra l’altro unilateralmente, delle assurde concorrenze in una guerra assolutamente inutile, oltre che dannosa per il progresso della cultura.

Ci sono, al contorno, altre difficoltà di basso profilo e molto corporative, che disturbano quest’ingresso delle Accademie in casa universitaria, ma sono facilmente aggirabili e superabili. Come si sa, nelle Accademie il corpo docente è formato da due componenti, i professori titolari e gli assistenti laureati e quelli che laureati non sono, venendo questi ultimi direttamente dalle Accademie medesime. Questa disparità di titoli, checché se ne dica, ha fomentato una sciocca opposizione nella potentissima lobby dei cattedratici universitari che vedono come il fumo negli occhi l’ingresso, nel loro ambiente paludato, di personaggi che non hanno dietro la nuca una corona d’alloro da laureato. Sia detto fra noi che così come ci sono personaggi straordinari nel campo dei "non laureati" (stiamo pensando a Carlo Scarpa laureato ad honorem che tutti ricordiamo benissimo) ve ne sono altrettanti fra i laureati ufficiali, così come ci sono delle mediocrità assolute sia fra i laureati che fra i non laureati. Questo problema, che a nostro parere è un falso problema, potrebbe essere agevolmente risolto nelle norme transitorie degli statuti che si stanno attualmente scrivendo nelle Accademie di Belle Arti.

Un’altra difficoltà che incontriamo invece nelle Accademie è l’assurdo timore che alcuni professori hanno di perdere la specificità dell’Accademia medesima. Timore infondato oltre che specioso. L’alibi della specificità è un alibi inconsistente nel senso che "comunque" la specificità di per sé già esiste, vedi Ingegneria e Veterinaria, o Farmacia e Scienze Forestali. La specificità non ha nessun bisogno di cristallizzarsi in modi assolutamente artificiosi. Esiste di per sé ed è ridondante il rimarcarla. In campo politico stiamo assistendo a quali limiti culturali possa portare la richiesta ossessiva di "specificità". A questa situazione più complicata che complessa, si aggiunga poi il quasi totale disinteresse degli studenti di ambedue i campi. Ma di questo bisognerà -oh se bisognerà!- parlarne a lungo ed in altra occasione.

Concludendo queste brevi note, esprimiamo la nostra fondatissima preoccupazione che vede nel futuro prossimo assetto universitario le Accademie di Belle Arti italiane ancora saldamente e ferocemente avvinghiate in negativo ad una maniera assai poco universitaria/universale di concepire la conoscenza e la frequentazione del "fenomeno arte", così come esprimiamo la nostra fondatissima preoccupazione che nelle esistenti Facoltà di Architettura e di Lettere venga continuata e perfezionata in negativo una impermeabilizzazione delle proprie strutture, spesso scivolando in una strana concorrenza che non fa bene a nessuna delle due parti.

I conservatori poi, che dovrebbero essere anch’essi gli elementi portanti di questo nuovo futuro assetto universitario, dovrebbero farci sapere come si stanno muovendo, dovrebbero farsi sentire molto di più. Parlare e discutere fra i nuovi arrivati e i vecchi inquilini dell’Università dovrebbe essere pratica quotidiana da seguire costantemente. In realtà stiamo assistendo stupefatti e sgomenti ad un’ennesima inutile quanto sciocca e disastrosa guerra. Disastrosa soprattutto per le nuove generazioni di studenti. Quest’ultima considerazione dovrebbe pesare come un macigno su quelli che stanno lavorando intorno ad un argomento così delicato e complesso come quello del quale abbiamo provato a tratteggiarne le caratteristiche.


*Franz Falanga
Laureato in architettura all'IUAV. Direttore del Dipartimento di progettazione all'Accademia di Belle Arti di Venezia, ove è titolare della cattedra di Elementi di architettura e urbanistica