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Studenti napoletani e siciliani schedati in Inghilterra
In alcune
scuole del Regno Unito, all’atto dell’iscrizione, occorre passare dalle forche
caudine della classificazione etnica. E per queste scuole pubbliche esistono
quattro tipologie di italiani. L’italiano doc. L’italiano meno doc, che sarebbe
l’«altro». L’italiano di Napoli. E l’italiano della Sicilia.
Fabio Cavalera corrispondente a Londra per "Corriere della Sera"
Il questionario inglese che scheda gli studenti napoletani e siciliani
La protesta del nostro ambasciatore a Londra, Pasquale
Terracciano, che ha spedito al Foreign Office una «nota verbale» per sollevare
il caso
Sono quattro
sigle. «Ita», ovvero italiano. «Itaa», ovvero altri italiani («any other»). Poi
«Itan», per dire «Italian Neapoletan», e «Itas» che sta per «Italian Sicilian».
C’è poco da ridere e da scherzare. A essere buoni siamo di fronte a una
manifestazione di stupidità e ignoranza. A essere cattivi, invece, c’è da
pensare di molto peggio. Fatto sta che in alcune scuole del Regno Unito,
all’atto dell’iscrizione, occorre passare dalle forche caudine della
classificazione etnica. E per queste scuole pubbliche esistono quattro
tipologie di italiani. L’italiano doc. L’italiano meno doc, che sarebbe
l’«altro». L’italiano di Napoli. E l’italiano della Sicilia. Insomma, hanno
diviso i bambini e gli adolescenti d’Italia figli di emigrati.
Non poteva stare zitta la nostra rappresentanza diplomatica dinanzi a
uno scempio tale e difatti l’ambasciatore Pasquale Terracciano ha spedito al
Foreign Office una «nota verbale» per sollevare il caso che è stato documentato
in un certo numero di scuole dell’Inghilterra e del Galles: al momento della
richiesta di ammissione on line richiedono ai genitori «di specificare l’etnia
e la prima lingua» del figlio. Una sorta di marchio che «deve essere rimosso
con effetto immediato».
I primi a inorridire sono stati i nostri connazionali del distretto metropolitano
di Bradford i cui consigli scolastici hanno messo in rete la «classificazione».
Ma, chissà come, quello che poteva essere un errore isolato è diventato un
modulo adottato anche, per esempio, nel Galles. Non in qualche istituto isolato
di qualche isolato villaggio. Ma niente meno che dal «Dipartimento
dell’educazione» del governo del Galles. Seguiti successivamente, Bradford e
Galles, da altri consigli territoriali. I connazionali, dunque, hanno informato
l’ambasciata che si è mossa sul ministero degli esteri di sua maestà.
Dabbenaggine? Ignoranza? L’ambasciatore Terracciano esclude che si
tratti «di una forma di discriminazione attiva». E ha ragione. Nessuna
violenza. Ma ritiene che in un momento caratterizzato da una sensibilità
particolare sui temi dell’immigrazione e in piena tensione Brexit, sia
fastidioso e pericoloso «introdurre una distinzione artificiale» del genere. Un
capitombolo di pessimo gusto.
La spiegazione non va ricercata in volontà persecutorie contro gli italiani
che sono trattati benissimo e apprezzati moltissimo. Più semplicemente, forse,
è solo scarsa o nulla conoscenza della storia da parte di chi rivendica il suo
glorioso passato imperiale. E visto che siamo nella patria della ironia sottile
e cattiva, l’ambasciata ha preferito ricorrere all’arma che piace tanto ai
britannici. Nella nota a verbale inviata al Foreign Office, sempre maestri e
professori, la nostra Ambasciata coglie l’occasione per ricordare «che l’Italia
è diventata un paese unificato il 17 marzo 1861». Insomma, discriminazione per
ignoranza. Qualcuno qui a Londra e dintorni è rimasto fermo all’Ottocento.
12 ottobre 2016
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