Mario Botta e la nuova Querini Stampalia
Venezia - Fondazione Querini Stampalia
Dal 9 febbraio 2013
Da Scarpa a Botta: cinquant'anni di interventi per offrirci la “Nuova” Querini Stampalia
“C'è voluto più di mezzo secolo di lavori continui, e di tanta passione e
tenacia da parte di tutti. Ma ciò che veneziani e turisti hanno oggi davanti è
una sintesi di venezianità e cultura che ha riconquistato la dignità che le
spetta per origine, importanza e funzione”. Ad affermarlo è Marino Cortese,
Presidente della Fondazione Querini Stampalia, giustamente orgoglioso di
presentare la sua “nuova” istituzione.
C'era stato nel 1963 il prezioso intervento di Carlo Scarpa, considerato come
perfetto esempio della “più colta e aristocratica architettura del Novecento
italiano” ma questo era stato limitato al solo ingresso originario e al
recupero di un cortile interno del palazzo: un gioiello di architettura e
poesia, incastonato in un complesso illustre, ma drammaticamente decaduto.
Scarpa intervenne nel restauro del piano terra del palazzo cinquecentesco
Querini Stampalia, voluto dal presidente della Fondazione Gino Luzzatto e dal
direttore Giuseppe Mazzariol e per il quale lavorò dal 1959 al 1963, dopo che
già nel 1949 il precedente direttore Manlio Dazzi l'aveva ricercato per por
mano a ingresso e giardino. La ristrutturazione del precedente impianto
scenografico ottocentesco, di sapore vagamente neoclassico, si è basata su un
misurato accostamento di elementi nuovi e antichi e su una grande maestria
nell'usare materiali cari al vernacolo veneziano, giocati su contrasti
ricercati e sottili nuances.
L'acqua è protagonista: specchio del palazzo all'esterno, entra nell'edificio
attraverso paratie interne lungo i muri; si ritrova quindi in giardino, in
un'ampia vasca a più livelli in rame, cemento e mosaico e in un piccolo canale
lineare che nasce e muore in due labirinti scolpiti in alabastro e pietra
d'Istria, dove l'acqua è suono e movimento. L'opera di questo ripristino
architettonico si articola su quattro temi: il ponte, che rappresenta il più
leggero e rapido arco di congiunzione che sia stato realizzato a Venezia negli
ultimi secoli, l'entrata con le barriere di difesa dalle acque alte, il portego
e il giardino.
Qui Carlo Scarpa ha trasformato un tipico cortile veneziano in un incantevole
hortus conclusus, reinterpretando le tradizioni arabe e giapponesi. Al centro
un tappeto erboso geometrico con un ciliegio, una magnolia e un melograno.
Tutt'intorno macchie di rampicanti e cespugli da fiori completano l'arredo
vegetale, accompagnando un'antica vera da pozzo, un leone gotico, dei capitelli
e due fontane. Giuseppe Mazzariol, finché rimase alla guida della Fondazione,
ne curò il destino seguendo i consigli del medico Antonio Hoffer, appassionato
di botanica, ma nei vent'anni successivi l'impianto originario venne
alterandosi così da rendere necessario un restauro, concluso nella primavera
del 1993 dall'architetto Mariapia Cunico. Con il rifacimento del prato, il
drenaggio e la messa in opera di un impianto di irrigazione e di alcune piante,
si è restituito l'originario splendore a quest'angolo incantato nel cuore di
Venezia. Una meraviglia, un gioiello appunto, incastonato in una realtà che,
per il resto, mostrava evidenti sofferenze. Tuttavia un gioiello in grado di
calamitare nuova attenzione intorno all'antica istituzione veneziana.
Tra maggio 2006 e giugno 2007 gli spazi ridisegnati da Carlo Scarpa sono stati
oggetto di un radicale intervento di conservazione, finanziato dalla Regione
del Veneto (L.R. 17.01.02 n. 2 art.41 “Valorizzazione dell'opera di Carlo
Scarpa”) e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
A leggere le relazioni tecniche e a esaminare le perizie sullo stato degli
edifici che all'indomani dell'intervento di Scarpa componevano il complesso
Querini, c'è da stupirsi di come l'impresa oggi compiuta abbia potuto
concretizzarsi.
Ovunque si scrive di muri marciti dall'acqua, spanciati e inclinati, di tetti
sconnessi da cui pioggia e neve si infiltrano ovunque; nelle sale del Museo
manca persino l'elettricità così come non c'è alcuna traccia di
climatizzazione: le sale si aprivano se e quando la luce del giorno e la
temperatura erano accettabili. Nessun impianto di sicurezza e di controllo,
enormi spazi non utilizzati né utilizzabili perché impraticabili, pavimenti e
soffitti in bilico su muri fuori asse o su travi le cui testate, inserite in
muri zeppi d'acqua, non reggevano più nemmeno il loro peso.
Nonostante questo la Fondazione continuava a lavorare a pieno ritmo, la
biblioteca era sempre la più frequentata della città, fino a mezzanotte,
turisti ammiravano i capolavori delle sue collezioni, veneziani e non
continuavano ad attestarle stima destinandole le loro amatissime collezioni.
Negli anni '80 hanno inizio - sotto la direzione di Valeriano Pastor - gli
interventi di riassetto di funzioni e servizi, di sistemazioni architettoniche
di specifici elementi e, non ultimi, importanti allestimenti.
Collaboratore negli anni cinquanta di Carlo Scarpa (l'autore della sistemazione
del piano terra e del giardino della Fondazione), Pastor è responsabile di un
articolato programma di ampliamento e ristrutturazione che parte da un'ipotesi
di nuova distribuzione dei servizi e arriva al terzo ed al quarto piano dove
vengono collocati gli uffici amministrativi.
Il segno più evidente di questo lavoro è proprio il sistema di collegamento
verticale, costruito ex novo sul sedime di una scala secondaria ottocentesca,
che comprende, oltre alla scala in metallo con gradini in pietra artificiale
prefabbricati, anche piccoli ambienti (bagni, fumoirs, depositi) che si
affacciano su una “cortesella” del palazzo con volumi convessi aggettanti,
rivestiti con doghe in legno, bucati da piccoli oblò che rimandano a figure
nautiche. In precedenza Pastor aveva realizzato anche una passerella di
collegamento tra la biblioteca e il nuovo deposito librario,e un portone di
metallo e legno nel giardino, che dialoga con l'altra porta, scarpiana.
Contemporaneamente, si procedeva alla realizzazione di un complesso programma
di opere di consolidamento statico e di messa a norma dell'edificio che sarebbe
continuato per tutti gli anni '90 e oltre, e che avrebbe interessato le
fondazioni e la messa in sicurezza della facciata prospiciente il canale, il
risanamento dall'umidità del piano terra, il rifacimento del manto di
copertura, il consolidamento dei soffitti a stucco e ad affresco del piano del
museo, la realizzazione del nuovo e modernissimo deposito librario, sul retro
del giardino. Questo ventennale lavoro fu progettato e diretto dall'ing. Walter
Gobbetto, coadiuvato dall'ing. Celio Fullin, che alla morte di Gobbetto garantì
fino ai nostri giorni la prosecuzione e la conclusione degli interventi. Al
secondo piano sono visibili puntuali e singolari interventi: una trave parete
in legno lamellare lasciata a vista e delle travi rompitratta, sempre in legno
lamellare con appoggi in acciaio, progettate dagli ingegneri Walter Gobbetto e
Franco Geron con la consulenza artistica di Valeriano Pastor.
Edifici e Museo, dopo questa fase, erano “fuori pericolo” e la Nuova Querini
Stampalia cominciava a prendere corpo.
Infine la terza fase del recupero architettonico e funzionale. Quella affidata
a Mario Botta. Va sottolineato che Botta ha scelto di operare gratuitamente
alla Querini Stampalia spinto dalla riconoscenza per l'ospitalità che le sale
dell'istituzione gli avevano offerto negli anni in cui, lui ticinese, era a
Venezia per studiare architettura.
L'intervento di Mario Botta, assistito fin dagli inizi dall'allora giovanissimo
Mario Gemin, definisce un rinnovamento profondo della sede della Fondazione
Querini Stampalia e prende il via dall'acquisizione, alla fine degli anni '80,
di alcuni immobili limitrofi allo storico palazzo, tra cui, fondamentale, il
ponte secentesco su campo Santa Maria Formosa, che costituiva una novità
strategica per l'accesso al complesso della Fondazione, da sempre condizionato
da ingressi angusti.
Tale ampliamento ha comportato la riorganizzazione dell'intero complesso: si è
trattato di rispondere alle esigenze funzionali della sede, muovendosi nella
costrizione di locali frutto di una sedimentazione di secoli. L'architetto
ticinese interviene con rigore filologico, ricomponendo frammenti tra loro
disomogenei in modo da conseguire una continuità spaziale e un'organizzazione
delle diverse funzioni chiara e contraddistinta da un'immediata
riconoscibilità. Egli opera sulla nuova ala in continuità con il restauro di
Carlo Scarpa. Cercati ed espliciti sono i rimandi, nell'essenzialità delle
linee, nell'accostamento o nella contrapposizione di materiali e di colori:
pietra e metallo, bianco e nero, grigio e rosso. Il progetto comincia a
prendere forma dalla fine del 1993, quando Egle Renata Trincanato, presidente
della Fondazione, e il direttore Giorgio Busetto ricercano Mario Botta per
alcuni consigli sul restauro del palazzo, in corso a cura del Magistrato alle
Acque, proponendogli il nuovo intervento.
Il restauro del sottotetto e del terzo piano stava restituendo nuovi spazi per
uffici e un'area per mostre e seminari.
Botta sposta l'accesso principale su Campo Santa Maria Formosa, dove affacciano
le nuove acquisizioni, preservando così l'opera di Carlo Scarpa da continui adeguamenti
alle nuove necessità; concentra a piano terra i servizi, intervenendo sugli
spazi creando atrio, biglietteria, guardaroba, bookshop, caffetteria,
auditorium, scala, ascensori e spazio bimbi. Articola tutto intorno a una hall
ottenuta col ripristino della dimensione originaria e la copertura di un'antica
corte medievale, vero fulcro dell'intero complesso, elemento unificatore, snodo
dei vari percorsi della parte pubblica della sede e piazza interna, punto di
ritrovo aperto alla città. La corte coperta si apre vasta, inattesa. Riscatta
gli spazi compressi dei locali attigui, ridotti in altezza per portare il
pavimento a una quota di sicurezza rispetto all'escursione media di marea.
L'adesione alla lezione scarpiana impone il lavoro con la luce. Negli ambienti
e nel giardino disegnati da Scarpa essa è veicolata e riflessa dall'acqua,
magicamente rifranta infine nel fremito della gibigianna sui soffitti a stucco.
Qui è un velario metallico che scherma e riverbera la luce, creando un effetto
di movimento, come se la superficie riflettente di un canale fosse capovolta
nel cielo. Ne vibrano tanto le pareti chiare, le cui forature allineate
restituiscono geometrica compostezza alla casualità delle superfetazioni
cresciute nel tempo sul retro del palazzo, quanto la scacchiera policroma della
pavimentazione, che appare un omaggio a quella dell'atrio di Scarpa. Cattura e
convoglia la luce che piove dall'alto anche la maglia a lamelle d'acciaio della
scala. Sospesa nel vuoto, la sua struttura nuda, di pietra e metallo, richiama
lo scheletro forte di un animale preistorico.
Il progetto comprende anche, come si è detto, un auditorium –
architettonicamente e tecnologicamente innovativo - di centotrentadue posti,
estendibili a oltre duecento utilizzando il circuito chiuso che coinvolge gli
spazi adiacenti.
La scelta da parte dell'architetto dell'utilizzo dei medesimi materiali e delle
stesse modalità costruttive conferisce rigore e continuità al complesso. Un
esempio: in tutto il piano terra vi sono pannelli applicati alle pareti per
assicurare l'aerazione della muratura, soluzione già adottata da Scarpa.
Così facendo il dialogo tra due protagonisti assoluti della storia recente
dell'architettura si fa armonia. I loro lavori convivono perfettamente,
dialogano, si confrontano empaticamente.
Entrambi contribuiscono, con le loro peculiarità, ad arricchire il fascino di
un Palazzo, o meglio di un intricato insieme di edifici nel cuore di Venezia,
dove la Cultura è veramente di casa.
L'investimento complessivo per gli interventi di ampliamento e riqualificazione
del complesso sede della Fondazione Querini Stampalia, a partire dagli anni
‘80, è dell'ordine di 20 milioni di euro, ma considerato l'ampio periodo lungo
il quale tali investimenti sono stati operati, il loro valore corrente può
stimarsi in almeno 30 milioni di euro.
Per oltre l'80% di tale cifra si è trattato di finanziamenti pubblici,
soprattutto da parte dello Stato italiano, in particolare attraverso la Legge
Speciale per Venezia.
Info:
Fondazione Querini Stampalia
Santa Maria Formosa - Castello 5252, 30122 Venezia
Info: tel 041 2711411 - fax 041 2711445
Presidente: Marino Cortese
Direttore: Marigusta Lazzari