Grande successo per Narcos. Parla Wagner Moura che nella serie “Narcos” su Netflix interpreta il re del narcotraffico Pablo Escobar: "era un buon padre e un grande stronzo. Ma la povera gente lo vedeva come un eroe - per fermare i cartelli del narcotraffico bisogna legalizzare la droga - Dilma? in Brasile è il peggior momento dai tempi della dittatura"
Elena Martelli per “Il Venerdì di Repubblica”
Wagner Moura è un pasionario. Non solo per una logica questione di Dna, ma per come s’infiamma appena s’inizia a parlare del suo Brasile, dove è nato 40 anni fa. «Anche se non ho votato per Dilma Roussef, che non ha fatto niente di male se non far male il suo lavoro, penso che quel é successo da noi sia la cosa più vicina al coupe d’état. Non alla vecchia maniera, con i militari che sparano e prendono il potere. No. Ma con il sostegno degli stessi gruppi politici e finanziari che supportarono la dittatura nel ’64.
Wagner Moura nei panni di Escobar nella serie Narcos
Ecco perché sono preoccupato: questa è una rottura del processo democratico di un paese, tra l’altro ancora molto giovane in fatto di democrazia e dunque molto fragile. E’ il peggior momento dai tempi della dittatura. Ed è un brutto momento per produrre in Brasile un film su un rivoluzionario comunista!».
Wagner Moura nei panni di Escobar nella serie Narcos
Wagner Moura si riferisce a quel che lo aspetta dopo Narcos, che ritorna con la seconda stagione dal 12 settembre su Netflix. Di questo suo nuovo impegno da regista che rincorre da quattro anni e che finalmente ha trovato un produttore in Fernardo Meirelles, parleremo più avanti ma l’inciso illumina un tratto della personalità latina, effervescente e curiosa di colui che da due anni è Pablo Escobar in Narcos: Moura è un pasionario, fuori e dentro il set, dunque.
Pablo Escobar morto 1993
Si appassiona parlando di Cinéma Nôvo, cita i classici del neorealismo italiano, Rossellini in testa, che l’hanno formato. «Poi c’è Fellini, il mio regista preferito in assoluto, ma lui è fuori da ogni categoria. Ma come sa, le radici del nostro cinema politico, quello che m’interessa e amo, sia da attore che da spettatore, sono nel vostro neorealismo che ha ispirato tutti noi, anche la visione di José Padilha, un altro regista che mi ha molto influenzato». Padilha con cui ha girato Tropa de Elite-Gli Squadroni della morte, un film di denuncia che ha avuto un grande successo, sia di critica che al box office, è anche il suo mentore, avendolo scelto proprio per Narcos, che ha prodotto, dirigendo i primi due episodi.
Gli suggeriamo, visto il suo animo cinéphile, di vedere anche Elio Petri e Francesco Rosi e lui si fa scrivere su un biglietto i titoli dei film come fossero compiti per le vacanze, ringraziando e sorridendo. L’ansia di sapere lo eccita come un bambino. Come tutti gli attori che del lavoro hanno una considerazione ingegneristica è un secchione. Per girare Narcos ha imparato lo spagnolo e messo su 20 chili.
Pablo Escobar regala una casa
Ilma Rousseff
«Come tutti i grandi cattivi anche Pablo può essere molto affascinante: prenda questa parola con le pinze, mi raccomando. Ma quel che voglio dire è che Pablo era un uomo e, come per Bin Laden, per qualcuno può essere stato cool, interessante, divertente, sexy. Dipende dal punto di vista di chi lo guarda. La povera gente a cui lui dava la casa, lo vedeva come un eroe. Il governo non faceva niente per loro, ma lui sì. Interessante era anche il suo rapporto con la famiglia, con cui era molto affettuoso e amorevole. Era un buon padre, un buon amico e un grande stronzo. Quando passeggiavo per Medellín per le mie ricerche, tutti di lui avevano un ricordo».
Pablo Escobar
Moura, prima di girare, ne aveva solo due. «Pablo grasso e morto su una terrazza e una bomba a Bogotà. Di Pablo, come tutti i brasiliani, sapevo poco. E’ una vicenda che inizia negli anni ’80 e all’epoca ero un bambino». Girare Narcos non ha colmato le lacune, è stato un master in storia; indirizzo: origini e geopolitica del narcotraffico. «In effetti grazie a Narcos ho capito meglio le dinamiche politico-economiche del mercato della droga che costituisce una delle questioni più importanti per noi sud americani. Ad esempio ho sempre pensato che la lotta alla droga si sia combattuta e si continui a farlo in modo sbagliato.
Pablo Escobar con amici
La lotta poliziesca, che poi è il metodo americano, è un grande flop, come
Narcos dimostra. Perché si trova sempre un altro posto povero, in cui sfruttare
gente che non ha niente, per perpetrare il mercato illecito, come succede oggi
in Messico. L’unico modo per fermare i cartelli del narcotraffico sarebbe
legalizzare la droga. Il numero di gente uccisa nella lotta poliziesca alla
droga è comunque inferiore a quella che muore per abuso nel mondo. Il problema
della droga è quindi un’emergenza sanitaria, non una guerra di polizie.
Dal punto di vista politico è questo il vero nodo da affrontare». Ma torniamo
ai sentimenti. «A Pablo ho dedicato due anni della mia vita, trasferendomi con
tutta la mia famiglia e i figli a Bogotà. E ne ho ricevuto indietro tanto, non
dico in termini di carriera, perché la parola non mi piace, e perché non si
tratta solo di questo. In cambio ho ricevuto molto in termini di vita».
Pablo Escobar con amici
Dice che girando Narcos, per la prima volta si è sentito un artista sudamericano. «Il Brasile è l’unico grande paese di lingua portoghese circondato da paesi di lingua ispanica. Dal punto di vista culturale è sempre stato isolato. Per la prima volta ho girato con attori e tecnici argentini, cileni, messicani, per la prima volta mi sono confrontato con gli altri, sentendomi parte di un tutto, sensazione che mai avevo provato prima».
Wagner Moura nei panni di Escobar nella serie Narcos
Ecco perché è giunto il momento di esporsi in prima persona con un suo film
altrettanto politico «come lo è Narcos». «Il film che inizierò a girare a
gennaio del prossimo anno è su Carlos Marighella, leader della resistenza
armata contro la dittatura in Brasile e un personaggio chiave della sinistra
del nostro paese. Fu assassinato nel ’69 dalla polizia con l’aiuto della Cia
che, come è noto, ha finanziato tutte le dittature sudamericane.
Prima di morire scrisse un testo politico molto importante che era la summa
teorica delle sue azioni che, ai tempi prevedevano rapine in banca e attacchi
ai quartier generali militari del governo. Il fine ultimo era quello di fare in
Brasile quello che il Che aveva fatto a Cuba. Sono sempre stato affascinato da
Marighella e dal quel periodo storico, un periodo di fatto rimosso dalla storia
del mio paese perché non abbiamo ancora oggi un rapporto sano con il passato
della nostra dittatura.
Sono cresciuto con i libri di scuola che dicevano che la dittatura aveva
salvato il Brasile dal comunismo. Le torture, i crimini militari accaduti qui
da noi sono stati dimenticati. Non come in Argentina, dove un’elaborazione è
avvenuta. I colpevoli sono stati messi in prigione, qui no. Ecco perché penso
di avere il dovere come uomo e come attore di raccontare certi fatti politici
importanti del mio paese».
Tutto questo, lo può fare, perché libero infatti da Narcos, essendo questa
seconda stagione, incentrata sulla fuga e sulla morte di Pablo, la sua ultima
nei panni del signore del narcotraffico.
«Narcos può continuare anche senza Escobar. La storia del narcotraffico non
finisce purtroppo con lui» dice Moura facendo capire che Netflix difficilmente
sfuggirà al successo del marchio, diventato una delle punte di diamante più
prestigiose della sua tv in streaming.
15 settembre 2016