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La sconfitta di Hillary Clinton mostra anche la decadenza delle figure dei testimonial che prima avevano un'aura sacrale, ora sono sempre raggiungibili sui social, dove uno ne vede tutta la normalità e la miseria

da "Il Foglio"

A margine dell' eclatante vittoria di Trump emergono alcune importanti indicazioni di carattere comunicativo: la decadenza del valore dei testimonial e la segregazione dei pubblici. Per la Clinton si erano apertamente schierati molti volti noti dello spettacolo, dello sport e della cultura. De Niro ha messo in circolazione un video di insulti a Trump (senza motivarne neanche uno).

Robert De Niro contro Donald Trump

Robert De Niro contro Donald Trump

Beyoncé, Springsteen, Jay Z hanno partecipato agli ultimi comizi della Clinton, così come - per coprire altri ambiti - ha fatto anche Le Bron James, uno dei miti dell' NBA. Madonna, come noto, si è esposta ancora di più, promettendo forme ardite di voto di scambio. Gli ex -diplomatici degli Stati Uniti, con altro stile, hanno scritto una lettera di supporto pro -Clinton e, soprattutto, di rifiuto di Trump. Degli intellettuali non parliamo neanche, visto che in massa hanno scritto, parlato, profetizzato.

Madonna per Hillary Clinton

Madonna per Hillary Clinton

Beyonce per Hillary Clinton

Beyonce per Hillary Clinton

Qual è il ruolo di queste presenze ed endorsement? Dovrebbero funzionare come il testimonial della pubblicità. Come spiega Guido Gili nel suo libro sulla credibilità, una persona che ha credibilità in un campo - qualsiasi, purché riconosciuto - la trasferisce ad altri campi, quello politico in questo caso.

Springsteen per Hillary Clinton

Springsteen per Hillary Clinton

Dal punto di vista tecnico, il testimonial funziona come un "indice", ossia crea una relazione con il proprio oggetto di riferimento che non è motivata da somiglianze o concetti, ma solo dall'apparire insieme o dal nominare l' oggetto che si vuole pubblicizzare: per fare esempi della storia della pubblicità Valentino Rossi con la birra, Michelle Hunziker con i tic-tac. Non erano esperti di quei prodotti ma trasferivano a essi la loro credibilità altrimenti conquistata.

Lady Gaga per Hillary Clinton

Lady Gaga per Hillary Clinton

Anche in politica i testimonial e gli indici hanno avuto una certa fortuna negli ultimi decenni perché il politico - finita l'era simbolica dei lunghi discorsi - era diventato il prodotto da vendere. Per restare in Italia, si è passati dal celebre appoggio di Benigni a Berlinguer allo sportivo (o alla squadra) esibito o candidato. Più in generale, si è consumata l' era di un uso massiccio di "indici" fino ad arrivare al nome del candidato di punta inserito nel logo stesso del partito, una specie di testimonial di se stesso. Ebbene, queste elezioni americane mostrano qualche cambiamento comunicativo.

Katy Perry per Hillary Clinton

Katy Perry per Hillary Clinton

Stavolta i testimonial non hanno funzionato per due motivi. Il primo è il logoramento di un tipo di segno e di un meccanismo. Da decenni si era già logorato il livello simbolico, quello delle parole. Le parole, tanto più se altisonanti - pace, giustizia, società - risuonano spesso vuote, soprattutto in politica. Ora anche ai testimonial capita la medesima sorte. Questo tipo di uso dei segni è logoro perché si è capito troppo bene il meccanismo e lo si è utilizzato troppo per tutto, dalla pubblicità alla politica, spesso con gli stessi personaggi.
È logoro perché le figure dei testimonial che prima avevano un'aura sacrale ora sono sempre raggiungibili sui social, dove uno ne vede tutta la normalità e la miseria. È difficile che qualcuno mantenga un' aura sacrale quando si sa che cosa ha mangiato ieri sera, dove è stato in vacanza, come è fatto il suo bagno. Infine, è logoro perché la comunicazione di questo momento conduce sempre più a una segregazione dei pubblici.

Lena Dunham per Hillary Clinton

Lena Dunham per Hillary Clinton

Ed è alla segregazione che vorrei dedicare un' ultima riflessione. Una delle incredibili vicende dell' elezione di Trump è il fatto che il popolo americano non abbia affatto seguito i media e le grandi agenzie culturali, schierati in massa per la Clinton. Né i giornali - 96 per cento pro -Clinton - né le televisioni, né i professori universitari - 94 per cento pro -Clinton.
Non li hanno seguiti per un motivo semplice: non li leggono, non li guardano, non li ascoltano più. O meglio, lo fanno (meno) ma senza credere a quello che dicono. E non ci credono perché ciascuno sperimenta che non appena conosce un problema o una situazione direttamente, questi leader culturali la trattano con astrazione, spesso con incompetenza, e - peggio ancora - con la presunzione di dire ciò che essi dovrebbero pensare o fare.

16 novembre 2016
© archimagazine