Arte

Mediterraneo. Mitologie della figura nell'arte italiana tra le due guerre

Marsala (Tp) - Convento del Carmine
Dal 13 luglio al 5 ottobre 2008

Si è inaugurata il 13 luglio scorso, al Convento del Carmine di Marsala, la mostra Mediterraneo. Mitologie della figura nell'arte italiana tra le due guerre, straordinaria rassegna che insegue e ritrova l'ampio ventaglio di suggestioni sul mondo classico nelle Avanguardie Italiane tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento.

Giorgio de Chirico - Manichini in riva al mare, 1925-26 - Olio su tela - Dim: 92x73 cm

Corrado Cagli - Edipo a Tebe, 1933 - Olio su tela, Dim: 85x55 cm

Fausto Pirandello - Mater familias, 1935 - Olio su tavola - Dim: 70x50 cm

Arturo Martini - Ulisse, 1935 - Bronzo - Dim: 57x23x27 cm

Arturo Martini - San Giorgio e il drago, 1933-36 - Bronzo - Dim: 47,5x23,5x38 cm


Massimo Campigli - Portatrici d'acqua, 1931 - Olio su tela - Dim: 55x38 cm

Mario Sironi - Neoclassico, 1922-23 - Cementite su carta riportata su tela - Dim: 146,5 x 106 cm

Arturo Martini - Centauro e bagnante, 1935 - Terracotta - Dim: 26x26x10 cm

Aligi Sassu - Battaglia (la morte di Patroclo), 1936 - Olio su tela - Dim: 84x105 cm

Renato Guttuso - Studio per Fuga dall'Etna, 1938 - Olio su carta intelata - Dim: 99 x 180 cm

Conclusione ideale del percorso iniziato dall'Ente Mostra di Pittura Contemporanea “Città di Marsala” con una serie decennale di  mostre dedicate all'Arte in Sicilia negli anni Trenta, alle antologiche di Cagli, Mirko e Pirandello,  a Renè Paresce e Les italiens de Paris, Mediterraneo ripercorre il processo di reinvenzione e rivisitazione di antichi miti e simboli come risposta alla crisi della civiltà europea a cavallo delle due guerre mondiali.

A cura di Sergio Troisi, la mostra consente di ammirare fino al 5 ottobre 2008 oltre 60 opere provenienti da collezioni pubbliche e private di alcuni tra i maggiori artisti del Novecento, tra i quali Giorgio  de Chirico, Mario Sironi, Massimo Campigli, Arturo Martini, Carlo Carrà, Renato Guttuso, Giuseppe Capogrossi, Mario Mafai, Antonietta Raphael, Marino Marini, Corrado Cagli, Alberto Savinio, Fausto Pirandello, Renato Birolli.

Dalla ripresa della mitologia antica delle opere di de Chirico e Savinio al ductus drammatico del giovane Guttuso, dal primitivismo nelle sculture di Lucio Fontana alla maniera ansiosa della pittura di Corrado Cagli, l'esposizione siciliana ci riporta alla ricerca di un centro perduto dopo i disastri della guerra attraverso la reinvenzione e la sperimentazione dei modelli classici che coinvolgono due generazioni di artisti.

Il percorso espositivo
La mostra si snoda attraverso cinque temi paradigmatici: enigma, origine, attesa,  sospensione, disagio, che non valgono come posizioni separate ma, al contrario, come una concatenazione lungo la quale, non di rado, si spostano i medesimi artisti.

È il 1919 quando Alberto Savinio racconta ne La regina di Napoli, all'interno della rivista Valori Plastici, il suo viaggio a Parigi “Ritto a poppa come Orfeo incantatore, il mondo s'incantava intorno a me”. Il paragone con Orfeo è carico di simbologie e suggestioni: Orfeo, colui che è tornato tra i vivi dopo aver visitato il regno dei morti, naviga sulla Senna nel cuore di una Europa lacerata e dolente per gli esiti della Grande Guerra appena conclusa.
A partire dall'immediato dopoguerra, due generazioni si incastrano in questa continua rivisitazione dell'eredità antica, in un dibattito culturale fitto di citazioni, prestiti e rimandi iconografici  che coinvolge le più diverse anime delle avanguardie di quegli anni, da de Chirico a Sironi da Carrà a Guttuso.

L'esposizione individua così, nel dibattito culturale di quel periodo, una serie di seduzioni tra loro concatenate eppure ambivalenti: dalla tensione arcaicizzante del primo dopoguerra sino all'inquietudine generazionale che, dalla metà degli anni Trenta, investe miti e figure di una nuova carica ansiosa, dalla ricerca di una condizione “primordiale” all'irrompere drammatico della realtà.
 
In Mediterraneo ritroviamo, attraverso il lavoro di grandi artisti che hanno segnato il panorama culturale degli anni '20 e '30,  la ricerca del luogo certo della tradizione e dell'origine a cui tornare per sfuggire alla crisi della civiltà europea ma anche per leggere il mondo moderno in un passaggio cruciale della sua storia. Di questi anni sono protagoniste  opere come   Edipo e Antigone di Alberto Savinio (1928), I Dioscuri di Aligi Sassu (1931), l'Ulisse di Arturo Martini (1935), i  Manichini in riva al mare di Giorgio de Chirico (1925-1926), sino ai Bagnanti di Fausto Pirandello (1939), dove, nell'imminenza della guerra, uno dei temi canonici del ritorno al Mediterraneo diventa una scena di naufraghi.

Ad ospitare la prestigiosa rassegna ancora il Convento del Carmine, sede della Pinacoteca Comunale che dal 1996 accoglie tutte le manifestazioni espositive promosse dall'Ente Mostra di Pittura “Città di Marsala”.

Convento di Piazza Carmine
Storia di un gioiello architettonico recuperato

Il complesso del Convento dei Carmelitani, in Piazza Carmine a Marsala, appare al visitatore di  oggi in tutto il suo significato storico-culturale ed architettonico grazie ad un profondo intervento di recupero e valorizzazione voluto nel 1984 dall'amministrazione comunale e dal Rotary Club di Marsala, città che si è arricchita così di un prestigioso luogo espositivo dedicato all'arte moderna e contemporanea. Il ripercorrere le tappe storiche, culturali ed architettoniche che hanno coinvolto la chiesa ed il chiostro di Piazza Carmine, rappresenta per il visitatore un sicuro valore aggiunto alle mostre che via via si susseguono nell'edificio fornendo allo stesso una chiave di lettura dell'intera storia della città. Verso la fine del 1100 i Carmelitani, venuti in Sicilia al seguito di Adelasia, vedova di Ruggero I e moglie di re Baldovino di Gerusalemme, giunsero a Marsala. Per essi fu necessario erigere una Chiesa e un Convento e la scelta cadde su un sito adiacente all'antica torre di avvistamento: l'odierna Piazza Carmine. La storia dell'intero complesso è ancora da indagare in tutti i suoi risvolti architettonici ma dai reperti trovati durante il restauro si possono individuare alcuni momenti significativi. Il nucleo originario del complesso architettonico è risalente alla fine del 1300; la datazione la si fa risalire in base alla tipologia dell'arco ritrovato all'angolo est dell'attuale chiostro e nel muro divisorio tra le due sale poste anch'esse ad est. Nel chiostro, oggi, si possono osservare tre arcate risalenti al 1500 e tre colonne mozzate che sostenevano le arcate nel 1700. L'assetto attuale risale al secolo XIX: infatti il terremoto del 1827 aveva determinato il crollo dell'attuale portico d'ingresso, di una sala ad esso adiacente (conclavis: sala che si può chiudere a chiave) e di un antico scalone di accesso al primo piano. La ricostruzione avvenuta nel 1837, e le conseguenti modifiche di questa parte dell'edificio, sono attestate dalle due lapidi poste ai lati del nuovo scalone di accesso. Dopo lo sbarco di Garibaldi e l'annessione della Sicilia al Regno d'Italia, i beni della Chiesa furono incamerati dallo Stato e, successivamente, il Convento venne destinato a Caserma dei Carabinieri. La grande sala a sinistra del portico d'ingresso venne adibita a stalla, furono ricostruite le mangiatoie e il pavimento venne acciottolato. Il complesso, intanto, andava deteriorandosi, anche per effetto dei danni arrecati dalle due grandi guerre. Negli ultimi decenni, trasferitasi la Caserma dei Carabinieri, l'edificio subì la costruzione di un secondo piano che ne alterò del tutto la fisionomia, ma in breve tempo fu demolito per ordine delle competenti autorità. Dopo quest'ultimo intervento, il complesso venne lasciato nel più totale abbandono fino al 1984, data di incarico per il restauro. Tutto l'intervento è stato rivolto a bilanciare la legittima volontà di un moderno e funzionale riutilizzo, con la superiore necessità del rispetto dell'essenza storica del manufatto, le cui molteplici anime affioravano nei vari brani architettonici, di varie epoche e di diverse valenze, ma che tuttavia si intrecciavano in un'unità storica che viveva della sua, alle volte casuale e pittorica, bellezza. L'intervento, lungi dal volere privilegiare una delle fasi storiche – architettoniche che si sono succedute, ha perseguito una rigorosa scelta del rispetto dei vari interventi, sottolineandone, caso per caso, le assonanze e i contrappunti architettonici. Il carattere della completa reversibilità è stato perseguito in special modo in quelli che aggiungevano materia al costruito; per cui i tiranti metallici del portico, la necessaria impiantistica, e più in generale, ogni intervento, in cui si è completata la originaria opera architettonica, è stato denunciato sia nei materiali sia nella linguistica formale. Il ritrovamento in corso d'opera, oltre che di archi trecenteschi, di frammenti murali di affreschi di carattere sacro e funerario fuori dalla logica dell'impianto sia settecentesco che trecentesco, può fare ipotizzare la presenza di un luogo di culto paleocristiano come continuità di culti pagani precedenti.

Informazioni

Mediterraneo. Mitologie della figura nell'arte italiana tra le due guerre


Luogo: Marsala (Tp) - Convento del Carmine
Piazza Carmine - Marsala (Tp)

Periodo: dal 13 luglio al 5 ottobre 2008

Orari: 10,00-13,00 / 19,00-21,00. Chiuso il lunedì

Ingresso: 1,00 Euro

Catalogo: Sellerio

A cura di: Sergio Troisi

Organizzazione: Ente Mostra di Pittura Contemporanea Città di Marsala

Info: tel. 0923 711631 - fax 0923 713822