Arte

La magia della linea. 110 disegni di de Chirico dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico

Roma - Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese
Dal 23 gennaio al 19 aprile 2009

Nell'ambito delle celebrazioni dedicate da Roma a Giorgio de Chirico, il Museo Bilotti ospita 110 disegni del Maestro della Metafisica, dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico


Per de Chirico il disegno è impronta del pensiero, un genere con dignità pari se non superiore al dipinto. A questa arte divina - ricalcando le parole del Maestro della Metafisica - è dedicata l'esposizione “La magia della linea. 110 disegni di de Chirico dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico” promossa dal Comune di Roma Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione, Sovraintendenza ai Beni Culturali e dalla Fondazione Giorgio e Isa De Chirico ed ospitata dal Museo Carlo Bilotti all'Aranciera di Villa Borghese dal 23 gennaio al 19 aprile 2009.
La mostra, curata da Elena Pontiggia con l'organizzazione di Zètema Progetto Cultura, si apre con uno straordinario gruppo di disegni metafisici concessi per l'occasione dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e prosegue con tutti i più importanti lavori provenienti dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico: una raffinata collezione che comprende tra l'altro i Ritratti di Rissa, i Nudi antichi (1926), il gruppo dei Gladiatori, Hebdomeros del 1928 e la suggestiva serie dei Mobili nella valle e dei Bagni misteriosi degli anni Trenta.
Sono esposti inoltre, sempre dalla collezione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, i disegni realisti degli anni quaranta, tra cui l'impressionante Autoritratto come Cristo sul Calvario e l'inaspettata, affettuosa serie di schizzi coi cani di famiglia.
Le incisioni per L'Apocalisse del 1941 e le carte del periodo neometafisico degli anni sessanta e settanta completano il percorso espositivo, che si chiude con una sezione riservata ai disegni (scene, costumi, figurini) per il teatro. Ad integrazione della sezione teatrale sono anche presentati i bellissimi costumi per Pulcinella del 1931 e Protée del 1938, recentemente acquisiti dalla Fondazione e mai esposti prima.
Accompagna la mostra il catalogo Skira, con testi di Paolo Picozza, Achille Bonito Oliva, Michele Tavola e un analitico saggio introduttivo di Elena Pontiggia, che ricostruisce la teoria di de Chirico sul disegno.
La mostra “La magia della linea. 110 disegni di de Chirico dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico” rientra nella serie diversificata di eventi di alto profilo culturale che, sotto la guida e la regia di Achille Bonito Oliva si svolge tra il 2008 e il 2010 con il nome emblematico di Immortalità a Giorgio de Chirico. Un tributo che la città di Roma rende al Grande Maestro, in occasione del Trentennale della morte e dei 120 anni dalla nascita.


IL DISEGNO È L'OMBRA ANNUNCIATA DELLA MENTE
Achille Bonito Oliva
Nell'arte medioevale e moderna il disegno costituisce un momento propedeutico, di passaggio per la realizzazione dell'opera pittorica, scultorea o architettonica. È l'esercitazione, la messa progressiva in visione dell'idea. Il disegno, cioè, è il campo di assaggio che prepara la definitiva messa in opera. La mano dell'artista si accanisce sul foglio bianco, finanche su altri disegni, per tracciare le linee visibili dell'immaginazione. Questa tende poi a incarnarsi nei materiali tipici delle varie arti, a contaminarsi in concreto con la materia, quella che rende definitiva l'idea e la sistema in un ordito formale definitivo e irreversibile. Il furore creativo dell'artista medioevale o moderno si stempera sulla superficie del quadro e sul blocco di marmo. Trova un punto d'incontro o di scontro con la concretezza materica, filtrando attraverso i codici e i canoni del fare pittura o scultura.
Se la pittura e la scultura sono i momenti in cui l'immaginazione viene messa in pubblico, il disegno costituisce il momento di assestamento della immagine, il momento privato dell'accanimento dell'artista che si esercita intorno al proprio nucleo fantastico, cercando di estrarre l'idea indistinta che percorre tutto il corpo, fino al suo terminale, la mano che affronta lo spazio vertiginoso del foglio bianco. Nell'arte contemporanea il disegno diventa direttamente il momento autosufficiente dell'idea che diventa forma, del segno che si accontenta della propria leggerezza, rinunciando all'enfasi visiva e tattile della materia pittorica o scultorea.
Anzi, coll'impressionismo, il disegno si mette al servizio dell'impressione e della sensazione ottica, diventa strumento duttile che riesce a restituire ogni movimento e trasalimento dell'emozione ottica. Il disegno permette all'artista di sottolineare, nel senso della sottrazione, le vibrazioni e le accelerazioni di uno spazio naturale e urbano, percorso dalla luce solare e dal dinamico avvento della macchina.
Con l'espressionismo, il disegno si mette al servizio dei moti interni, delle mutazioni profonde e traumatiche dell'io, che non riesce più a trovare una sincronia felice con la realtà, la quale sfugge lungo vie tortuose e imprendibili. Il segno, come disegno, coincide con la mano dell'artista e la mano corrisponde direttamente al moto di ribellione, all'urgenza espressiva.
Col simbolismo il disegno si affida a segni intimi ed emblematici, opera attraverso l'ombra e lo sfumato, tende a cogliere un'anima seconda nelle cose, a sospettare visioni imprendibili e imprevedibili sotto l'apparente visione di un quotidiano che sembra, invece, chiuso e univoco. Giorgio de Chirico considera maestri del disegno Dürer, Fragonard, Watteau, Ingres, il Piccio, Goethe, Musset, Victor Hugo. Il grande Metafisico teorizza: “L'alleanza del cervello con la mano, questa alleanza tra il cervello che può ideare e la mano che può creare, cioè che materializza l'idea, questa collaborazione tra il cervello e la mano, è il fattore che ha reso possibile il sorgere delle nostre civiltà e la creazione di tante opere tra cui autentici capolavori, quindi la nascita e l'esistenza dell'Arte”.
In questo senso il suo disegno favorisce un accorciamento di distanza tra progetto e oggetto. Il diaframma della materia viene scavalcato a favore di un'immagine, che senza deviazioni o travestimenti corrisponde direttamente al nudo progetto dell'immaginazione. D'altronde, il disegno, nella sua programmatica inconsistenza, tende sempre a darsi come segno o traccia, come sospetto visivo, di un'immagine più ampia e concreta, di un'immagine che sceglie di rimanere in un voluto stato di incertezza. L'incertezza non nasce soltanto dal ricorso all'ombra o allo sfumato, ma anche quando ricorre alla geometria di linee, alla esigua occupazione di spazio e forse anche di tempo, per quanto riguarda l'esecuzione. Il disegno sembra sempre mettere a nudo l'assalto dell'artista allo spazio immacolato del foglio, sembra sempre cogliere il momento che antecede il deflagrare del segno.
Nell'arte contemporanea ormai pubblico e privato, in quanto al disegno, coincidono: la soglia del linguaggio comincia già prima di qualsiasi segno messo in opera, inizia già nel momento di elaborazione mentale dell'opera. L'artista, attraverso il disegno, si spoglia di ogni ricatto materico, di ogni tentazione, registra sul foglio l'immagine come capovolgimento e rovesciamento all'esterno dell'immagine interna.
Sicuramente l'immagine interna è severa e rarefatta, come nel disegno.
Vive uno spazio che non è bidimensionale, come il foglio su cui si rovescia, bensì un sistema di relazioni spaziali, in cui non esiste né alto né basso, né dentro né fuori, né prima né poi.
Il foglio diventa la superficie speculare che accoglie il niente, inteso come assenza di materia, dell'immaginario, un campo magnetico che cattura e sistema nel senso dell'orizzontale l'immagine.
Per de Chirico l'immagine corrisponde sempre a una pulsione, al desiderio di espandere il proprio flusso al di fuori dell'area corporale assegnata, in questo senso il disegno diventa la macchinazione che tende a dare ordine alle uniche dimensioni, entro cui il desiderio si muove: lo spazio e il tempo.
Il desiderio, quando incontra la materia del mondo, i materiali dell'arte, trova una sorta d'impatto che lo gratifica e lo incanala dentro le evidenze e gli spessori della realtà. In questo senso la pulsione è erotica, perché cerca e trova un contatto, un afrore, che la mette in comunione con sensazioni tattili e visive. Col disegno invece, è come se la pulsione restasse gelata nella propria tensione, come se l'eros fosse ricacciato nello spazio, non dell'altro, bensì dell'autoerotismo. Il segno non incontra se non la materia smaterializzata della propria evidenza sottilmente visiva, si accampa, furioso o geometrico, nel luogo circoscritto di un foglio che non è metafora di niente, se non di una consistenza bidimensionale e accogliente. Il desiderio non abbisogna di alcuna messa in opera, generalmente; quando diventa pittura o scultura, trova il modo e il luogo per occultarsi nelle maglie di un linguaggio che lo esprime, ma non lo rappresenta direttamente.
Il linguaggio, cioè, nel suo latente strabismo, tende sempre ad accogliere il desiderio dentro di sé, senza mai però accusarlo come presenza tautologica. Il linguaggio parla sempre la terza persona, assume i modi della impersonalità in quanto non corrisponde mai direttamente al soggetto desiderante, perché è egli stesso soggetto. Così nasce un antagonismo tra artista e linguaggio, tra immaginario e immagine, che si risolve in un luogo deviato, in cui la specularità è perduta, il desiderio, gratificato da questa lotta, è reso impersonale. Il disegno invece rinuncia in anticipo alla lotta, non aiuta il desiderio nei suoi travestimenti, lo tiene esposto nella sua rarefazione, senza che possa assumere gli abiti festosi e consistenti della materia. Perché la materia, qualsiasi materiale, è ciò che imprigiona e rende definitivo il desiderio, è ciò che definisce la cesura tra l'immaginario e il soggetto.
La materia tiene il desiderio rovesciato sul piano inclinato delle apparenze, ancorandolo, col suo peso, in un luogo in cui questo si accartoccia e si inserisce dentro le maglie oppressive e soffocanti del linguaggio.
In de Chirico il disegno rende reversibile il movimento del desiderio, lo sospende in un luogo che non è della lotta, ma dell'armistizio, inteso come luogo di proiezione e di reversibilità. Qui il desiderio non è appesantito, ma tenuto sospeso a un filo che è quello della trasparenza, della corrispondenza del desiderio con se stesso, dunque della tautologia. In questo luogo l'idea, il progetto desiderante, ripercorre continuamente il proprio scheletro, si muove dentro la griglia letteralmente disegnata di un linguaggio che ancora non è onnivoro, ma come potenziale e sublimale.
Perché il disegno è ciò che segna il limite, la soglia di un linguaggio che si estende all'infinito, che si coniuga ininterrottamente attraverso tutte le categorie e i materiali dell'arte. L'armistizio è dato proprio dal fatto che sulla soglia la lotta non è incominciata, il desiderio si mette in posa, ma non è disposto ancora ad affrontare il tunnel oscuro del linguaggio.
Così il disegno sembra arioso e disinvolto, formula la propria presenza attraverso segni trasparenti che permettono al desiderio di tornare sui propri passi e di rimanere nella posizione paralizzata dello stallo.
L'immaginario conserva il proprio statuto di impalpabilità e prova un percorso lungo la linea dell'interstizio, dove si perdono i confini del qui e ora e del dentro e fuori. Nel disegno trova omologazione la posizione del dentro/fuori, dove non esiste dritto e rovescio, perché la soglia non è stata sorpassata e il linguaggio resta il rovescio del desiderio e il desiderio il dritto del linguaggio.
La posizione dello stallo non ammette movimento univoco, non ammette direzione al desiderio, è quella circolare in cui il movimento è la massima accelerazione della stasi e la stasi la minima unità del movimento. Tale posizione è quella dell'indeterminazione, in cui il segno più che essere impreciso è direttamente collegato con l'immaginario, senza che intervenga la nozione di lavoro.
Il lavoro è il momento dell'elaborazione del segno, ciò che stabilisce la cesura dà all'immaginario uno statuto di oggettività. Nel disegno di de Chirico la nozione di lavoro è sostituita da quella di labirinto, letteralmente “lavoro dentro”. L'artista, cioè, opera in un luogo in cui non riesce, nel senso che non vuole, a manipolare il proprio immaginario nel territorio esterno della tecnica. Il labirinto diventa una categoria che permette al desiderio di mettersi a nudo e, contemporaneamente, di mettersi in opera.
Qui l'intervallo viene cancellato, si perde la cesura tra soggetto e oggetto, tra il soggetto desiderante e il soggetto del linguaggio. Il labirinto riafferma l'errare del desiderio, la contemporanea stasi e dinamica dell'immaginario, secondo una struttura che ripercorre continuamente una linea discendente e ascensionale. La linea discendente è quella che percorre l'intero corpo dell'artista e trova il proprio punto terminale dove finisce la struttura somatica e comincia la superficie che raccoglie il segno. La linea ascensionale è quella che non permette al segno di rovesciarsi definitivamente all'esterno, ma che riporta la pulsione nel luogo originario, laddove l'immaginario è consustanziale col desiderio.
La consustanzialità è ciò che determina la trasparenza, ciò che mantiene il carattere metonimico del desiderio, in quanto si perde la diversità temporale tra l'immaginario e l'immagine, tra il labirinto e l'elaborato. La corrente che determina il flusso immaginario resta sottesa e nello stesso tempo al di sopra del segno accennato, pronta a rientrare nel cerchio temporale in cui circola e risiede.
Per de Chirico disegnare diventa letteralmente incarnare, non nel senso di mettere carne, di ricoprire e occultare, ma nel senso di far trasparire il movimento, di privilegiare la particella in. Il movimento non è la retorica del moto, non è la parodia dell'eros ma è ciò che trattiene l'immaginario nella propria possibilità, ciò che gli permette di essere sincronico e diacronico, contemporaneamente discendente e ascendente. Trasparire, ciò che dà trasparenza, significa apparire attraverso, dare l'immagine attraverso il movimento e il movimento diretto dell'immagine. Così il disegno non è mai l'oggetto, non è mai il punto morto dell'immaginario, ma sempre un verbo, nel senso che è, e sta per, l'emergere, il venire in superficie di esso. La trasparenza è il luogo categoriale del disegno, è il punto dopo il quale non si va da capo, è una serie di puntini che possono essere percorsi da destra verso sinistra e da sinistra verso destra. Quando l'immagine traspare e appare sulla superficie tridimensionale del foglio, il movimento si svolge come assestamento e dilatazione.
L'assestamento tende ad accorciare lo spazio originario e a sintetizzarlo in immagine, come un liquido che, nella sua espansione, viene incanalato nella consistenza bidimensionale del foglio. La dilatazione è direttamente proporzionale alla perdita di profondità, è la distribuzione dell'immaginario nel luogo ristretto e temuto dell'immagine. Ma nel disegno l'immagine può essere cancellata, presenta una sua mobilità che ci consente di pensare che possiamo risucchiarla, non stare al gioco, e riportarla indietro lungo la linea nuovamente ascensionale. In definitiva in de Chirico il disegno vive lo spazio smaterializzato dell'immagine, promuove e privilegia più il mondo delle ombre che quello delle apparenze, riafferma la possibilità e l'uso di un linguaggio che, operando sulla propria esilità, lascia varchi e interstizi che permettono all'immaginario, inteso come pulsione e progetto, di concretizzarsi in un'immagine. Ora l'immagine sembra ancora attaccata alla rete originaria, alla struttura psicosomatica dell'artista, il quale può utilizzare il disegno come transizione. La transizione non significa un luogo di passaggio, non indica il provvisorio, ma stabilisce, invece, un luogo arioso e dinamico in cui l'immaginario non trova punti morti, ma soltanto spazi inclinati su cui scivolare e cancellarsi. Nella sua opera il disegno è sempre l'ombra annunciata della mente.


LA MAGIA DELLA LINEA, LA MAGIA DELLA FORMA. DE CHIRICO TEORICO DEL DISEGNO
Elena Pontiggia, Curatrice della mostra
Giorgio de Chirico è stato uno dei maggiori teorici del disegno di tutto il ventesimo secolo. Pochi artisti, nel panorama del Novecento europeo, hanno sostenuto con uguale chiaroveggenza, per usare un termine a lui caro, non solo l'importanza del disegno, ma soprattutto il suo significato filosofico. Pochi hanno affermato con tanta intensità il valore concettuale della linea, anzi la magia della linea, come amava dire. […]
La teoria dechirichiana del disegno si può racchiudere nel breve spazio di poche pagine, ma nasconde una complessità, sostanziata da una vasta meditazione sul pensiero antico, che non sempre è stata avvertita. Sono ben note, certo, e spesso citate dagli studiosi, le suggestive espressioni usate dal Pictor Optimus, che di volta in volta parla del demone lineare, del misticismo della linea, della nobiltà e della religione del disegno, e lo definisce “arte divina”, “legge eterna” dell'artefice, “opera a sé, bella e pulita, emozionata e emozionante”. Meno evidente, invece, è il significato complessivo di quelle sue definizioni e di quei suoi aforismi.
[…] De Chirico non esprime la sua visione teorica in forme ampie e sistematiche. Non arriva a scrivere un saggio sulla sezione aurea e sull'estetica del compasso, come fa Severini; ma nemmeno, più semplicemente, progetta un manuale sulle regole della prospettiva, come quello annunciato da Mario Bacchelli sulle pagine di “Valori Plastici”. Anzi, quando pubblica un Trattato lo dedica alla tecnica pittorica, alla tempera grassa, alla fabbricazione dei colori e delle emulsioni, non a matite e sanguigne (e vedremo perché). Tuttavia le sue riflessioni, pur circoscritte a qualche articolo di rivista, presuppongono una singolare complessità.
E' facile dimostrare la rilevanza dell'apporto dechirichiano rispetto ai testi programmatici delle avanguardie, che di disegno parlano poco e, quando ne parlano, discutono non il suo concetto, ma le sue forme e il suo stile. […] Diversa è la situazione nell'ambito del Ritorno all'ordine, quando l'arte della matita è al centro del dibattito artistico. Anche in quel periodo, però, molti artisti, pur appassionati al disegno, non ne scrivono mai. […]
Le pagine di de Chirico, invece, sono espresse con la massima limpidezza e, nonostante la loro estrema sintesi, riescono da un lato a collocarsi in un orizzonte di pensiero più vasto di certa manualistica dell'epoca, dall'altro a non sconfinare in vaghi spiritualismi. […]
Il contenuto della poetica dechirichiana, peraltro, si può riassumere in tre punti: l'appello al disegno come aspetto fondamentale del mestiere; la riproposizione del disegno come opera autonoma; la teorizzazione del disegno come espressione del “mondo delle cose eterne”. Proprio quest'ultimo punto, pur non insolito nel clima classicheggiante di quegli anni, ne è l'aspetto più suggestivo. […] De Chirico, insomma, non elabora una grammatica, ma una filosofia della forma.
[…] E' in Classicismo pittorico, pubblicato nel maggio 1920 su “La Ronda”, che de Chirico espone più ampiamente il suo pensiero. Qui, evocando la pittura greca e quattrocentesca, teorizza un disegno dal contorno sottile ed essenziale, espressione di quel “misticismo della linea che caratterizza un'arte veramente classica”.
Il Pictor Optimus nomina diversi maestri, accomunati da quel misticismo. Ricorda Douris e Polignoto; cita Apelle e Protogene […]; evoca il tratteggio bizantino di Cimabue; la nitida “o” tracciata, come racconta il Vasari, da Giotto; il disegno di Botticelli, del Ghirlandaio, di Raffaello, Holbein, Dürer, del primo Michelangelo e, tra i moderni,di Previati e Segantini. Anche seguendo il loro esempio, sostiene de Chirico, occorre ritrovare la purezza e la nitidezza della linea, cioè “ridurre il fenomeno, la prima apparizione, al suo scheletro” e “rendere appariscente il contorno” delle cose […]
Ma, si chiede il Pictor Optimus, che cosa significa, in realtà, la linea? In natura il contorno non esiste, dunque la forma disegnata dall'artista non è un elemento naturalistico, tanto meno un'impressione realistica, ma una sorta di spettro: “Il profilo di un piede, tracciato da Douris […] è lo spettro di un piede; è la parte demoniaca di quest'arto. […] Ogni aspetto della natura, ingannevolmente cangiante e passeggero, possiede, riguardo al mondo delle cose eterne, il suo particolare segno o simbolo, ed è appunto tale segno o simbolo, o perlomeno, parte di esso, che l'artista classico scopre”.
Sulla carta, dunque, si incide una linea aere perennius che racchiude il profilo inalterato e inalterabile dell'essere, il segno spettrale e senza tempo della sua vera forma. Il disegno, allora, diventa il linguaggio dell'eternità.
De Chirico riprende qui, trasformandola però in una sorta di “platonismo in negativo”, la teoria classica e neoplatonica che, dal Vasari allo Zuccari, vedeva nel disegno l'espressione di una forma ideale che coglie l'essenza della realtà. Federico Zuccari, in particolare, distingueva un disegno interno (cioè l'idea, la forma delle cose che si crea nella mente ed è una “scintilla della divinità”, un'emanazione dell'intelletto divino) e un disegno esterno, cioè l'atto manuale che rende visibile quella forma. Disegnare, allora, significa conoscere l'eidos, la realtà incorporea ed eterna degli elementi.
Il disegno a cui pensa de Chirico non esprime la scintilla divina di cui parla lo Zuccari, o il “sommo bene” di cui parla Plotino (col quale, come con Platone, ha modo di polemizzare). E', semmai, una scintilla che si potrebbe definire “demoniaca”, togliendo però al termine ogni cadenza letteraria tardo-romantica: una sorta di doppio, di Ka egizio, di contorno fantasmatico e assoluto. Si stacca, infatti, dall'agitazione dell'esistenza, dai dinamismi della natura, dall'”orgasmo della vita” e penetra nel mondo delle cose eterne. Il disegno, allora, è la tecnica metafisica per eccellenza perché, oltre i mutamenti illusori dell'apparenza, coglie i “segreti del sonno e della morte”, l'aspetto della realtà che non ha principio né fine. i L'arte divina del disegno, insomma, fissa sulla carta le forme che non obbediscono più alla legge del tempo, che hanno svestito le parvenze passeggere della vita e che, oltre le metamorfosi dell'esistere, imprigionano il profilo immodificabile dell'essere. In fondo un artista, potremmo anche dire, quando cattura sul foglio la magia della linea, arriva a possedere la sapienza di Patominos, il personaggio della Milleduesima notte di Philip Roth, che ammonisce: “Gli uomini sono sottoposti alla legge del cambiamento. E' una legge ingannevole, perché non esiste cambiamento”.


i ”Orgasmo della vita” e “segreti del sonno e della morte” sono espressioni usate da de Chirico in Raffaello Sanzio, “Il Convegno”, I, n.3, Milano, 1920, ora in Il meccanismo, p. 159

Informazioni

La magia della linea. 110 disegni di de Chirico dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico


Luogo: Roma - Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese
Viale Fiorello La Guardia - Roma

Periodo: dal 23 gennaio al 19 aprile 2009

Orari: da martedì a domenica ore 9.00 - 19.00. La biglietteria chiude alle ore 18.30; lunedì chiuso

Ingresso: biglietto integrato Museo + Mostra: 6,00 Euro intero, 4,00 Euro ridotto. Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente

A cura di: Elena Pontiggia

Catalogo: Skira, con testi di Paolo Picozza, Elena Pontiggia, Achille Bonito Oliva

Info: tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 - 22.30)