Arte

Déco. Arte in Italia 1919 - 1939

Rovigo - Palazzo Roverella
Dal 31 gennaio al 28 giugno 2009

Arte in Italia tra le due guerre.
Il Déco nuovo protagonista a Palazzo Roverella in una grande mostra promossa della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con Accademia dei Concordi e Comune

Dal 31 gennaio 2009, Palazzo Roverella riproporrà il suo annuale appuntamento con le grandi esposizioni d'arte. Il filone sarà, ancora una volta, quello dell'arte in Italia tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento.

Guido Cadorin: Nudo e paesaggio fiorito, 1920. Venezia, collezione privata

Alberto Martini: Ritratto di Wally Toscanini, 1925, pastello, cm 131x204, Roma, Collezione Privata

Roberto Iras Baldessari, La femme nue 1921, olio su tela, cm 70x80. Museo Civico di Rovereto

Ruggero Michaelles in arte RAM : L'Ile de Chytère n. 1 1933, olio su tavola, cm 40x50. Firenze, collezione privata

Achille Funi: Ritratto di Mario Chiattone, 1924, olio su tela, cm 103x103. Museo Civico di Belle Arti/Collezioni della Città di Lugano


Galileo Chini: La glorificazione dell'Aviatore, 1920. Venezia, Asac

Fillia: Figura e ambiente o Donna seduta, 1926 - 1927, olio su tela, cm 60 x 57,5

Mario Cavaglieri: Giulietta en coulotte de cheval, 1920 - Collezione privata

Anselmo Bucci: La Giapponese, 1919, olio su tela, cm 130x94, Monza, Courtesy Galleria Antologia

Cartolina della mostra

Dopo aver, con successo, indagato gli anni della Belle Epoque (1880 – 1915), è la volta del Déco, un termine che indica uno stile, un gusto che segnò nelle diverse arti il periodo compreso tra i due conflitti mondiali. Déco esprime la ricerca di una modernità che intendeva superare la mera funzionalità delle forme aggiungendo ad esse eleganza e persuasività.

La mostra, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con Accademia dei Concordi e Comune, è curata da Dario Matteoni e Francesca Cagianelli. Direzione della mostra: Alessia Vedova.

Il termine Art Déco o più brevemente Déco fu coniato negli anni '60 come ricapitolazione critica condotta dagli storici di uno stile o, più correttamente possiamo dire di un gusto che aveva segnato nelle diverse arti il periodo compreso tra i due conflitti mondiali. Come sovente accade per la storia dell'arte fu il riconoscimento a-posteriori di temi e di formule figurative riconducibili ad un comune denominatore. E' possibile definire il Déco come manifestazione di un gusto non fondato su precise teorizzazioni - in questo si è voluto vedere la discontinuità con l'Art Nouveau - ma assai diffuso in tutte le manifestazioni artistiche rivolte, come si diceva, alla ricerca di una modernità che intendeva superare la mera funzionalità delle forme aggiungendo ad esse eleganza e persuasività. Possiamo quindi accettare il termine Déco come sinonimo di un'idea di moderno, non di modernista. L'Art Déco, affermatasi negli anni Venti e Trenta e caratterizzata da numerose sfaccettature, si ispira alle geometrie dell'universo della macchina, alle forme prismatiche delle costruzioni metropolitane e a modelli di una classicità altrettanto persuasiva nei propri canoni di eleganza. Il termine Art Déco era facilmente passato dal ristretto mondo degli specialisti al largo pubblico che rapidamente si è impadronito di questa etichetta evocativa di una moda.

Fino ad oggi il tema dell'Art Déco indagato è presentato al grande pubblico prevalentemente per gli aspetti connessi alle arti decorative, agli interni e all'architettura. Solo di recente si è cercato di verificare anche nelle altri arti le possibili consonanze con il gusto déco. L'intento della mostra che si aprirà nelle sale del Palazzo Roverella di Rovigo intende offrire al pubblico un possibile filo di lettura con uno sguardo che privilegia la produzione pittorica (senza tralasciare la scultura cui è dedicata una sezione) nell'assunto che un filo di coerenza percorra tali ricerche proprio nel riferirsi alla comune problematica della decorazione e della modernità.
La critica aveva potuto cogliere un possibile avvio della stagione dell'Art Déco nell'Exposition Internationale Arts Décoratifs et Industriels des Modernes che si era tenuta a Parigi nel 1925, sottolineando, quindi, un primato della Francia.
Anche l'Italia partecipa con una posizione affatto originale all'affermarsi di tale gusto: non possiamo dimenticare che a partire dal 1923 si tengono a Monza mostre biennali di arti decorative seppure ancora legate all'idea di un artigianato regionale. La mostra articolata in undici sezioni intende documentare lo svolgersi in Italia di questa temperie artistica che dal decorativismo derivato ancora dall'esperienza liberty di Galileo Chini di Umberto Brunellechi o di Duilio Cambellotti passa ad utilizzare le idee formali del Futurismo come dimostrano le opere di Giacomo Balla, di Fortunato Depero, di Diulgheroff, Fillia. E' quindi vero che nel Déco in Italia possiamo trovare ad un tempo sollecitazioni classiciste e rappresentazioni del mondo meccanico, attenzione alla sinuosità offerta dai ritmi della danza e ancora la modellazione plastica degli sports. Rientrano, quindi a pieno titolo in una declinazione di questo gusto anche le opere di Mario Sironi, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Gino Severini, Felice Casorati.
La mostra intende poi documentare alcuni aspetti esemplari connessi alle arti decorative al fine proprio di offrire le possibili sfaccettature con le quali il gusto déco si presenta in Italia: così accanto alla cartellonistica si è voluto in particolare presentare la produzione che l'architetto milanese Giò Ponti realizza per l'industria ceramica Richard Ginori, produzione significativamente premiata all'Esposizione di Parigi del 1925 e ancora l'attività di Vittorio Zecchin in bilico tra decorazione pittorica e raffinate produzioni vetrarie.

La mostra si articola in 11 sezioni così intitolate: Inflessioni decorative del Déco; Verso nuove sintesi; Orizzonti esotici; Vittorio Zecchin e Murano: Déco tra vetri e dipinti; Divagazioni futuriste; Geometrie del Futurismo; La severità del Déco; Il sogno dell'antico; Giò Ponti: intorno alla Richard-Ginori; Déco scolpito; Il Déco nella grafica.


Giò Ponti in casa Palladio
Nella autobiografia Ponti rievocando gli anni della prima guerra mondiale ricorda "l'enorme impressione che ebbi vivendo ... nei periodi riposo dal fronte, in edifici del Palladio con la possibilità di vederne più che potevo"
Nulla di strano, quindi, se la mostra DÉCO. Arte in Italia 1919 – 1939 si apra anche al grande architetto e designer, riservandogli una sezione speciale allestita nella Palladiana Villa Badoera a Fratta Polesine.
Tra la mostra di Palazzo Roverella e questa sezione monografica ci sarà quasi un "passaggio di testimone". A Palazzo Roverella di Giò Ponti sarà infatti presente una raffinatissima, elegante serie di ceramiche realizzate per la Richard Ginori.
A Fratta Polesine, invece, sia pure per "appunti", sarà ricordata la sua intensa attività di designer che trova il massimo sviluppo esattamente nel periodo storico preso in esame dalla mostra del Decò.
Tra il 1923 e il 1930 il giovane Ponti assume la direzione artistica della Manifattura Richard Ginori: i grandi e i piccoli pezzi prodotti in questo periodo hanno in comune la qualità più calata nella produzione di serie. A Parigi con le ceramiche vince il "Gran Prix.
Ma Ponti non firma solo le porcellane della Richard Ginori: nel 1927 spinge La Rinascente a diffondere i mobili in serie che disegna per "Domus nova". Con questa produzione, ma anche "i mobili d'eccezione" sarà presente alle Biennali e alle Triennali di Monza dal 1923 al 1930. Industria, serie, diffusione sono espressione della versatilità di Ponti, non è un caso che nel 1928 egli fondi la rivista "Domus" una delle voci della "modernità" nell'Italia tra le due guerre.


Fratta Polesine per Palladio e le antiche Necropoli
A 16 km da Rovigo, Fratta Polesine stupirà chi non la conosce. Stupirà per l'impressionante concentrazione di ville venete e parchi storici, per le memorie di Giacomo Matteotti e dei Carbonari, ma sopratutto per quel perfetto gioiello che è Villa Badoer detta "la Badoera", capolavoro di Andrea Palladio.
La Badoera, considerata dall'Unesco tra i "Patrimoni dell'umanità", è una delle più armoniose, per proporzioni e forma, tra le opere del celebre architetto di cui si celebrano quest'anno i 500 anni dalla nascita. Gli interni sono decorati da Giallo Fiorentino con tematiche mitologiche ed allegoriche dai significati ancora, in parte, oscuri. Palladio progettò la villa nel 1554 e nel 1563 era completata. A volerla fu Francesco Badoer, quale centro funzionale alla conduzione dei 500 campi posseduti dalla famiglia ma anche come segno della presenza e potenza della casata veneziana sul territorio.
Forse sfruttando i resti di un preesistente castello, il corpo centrale della villa si innalza su un alto basamento così come avviene a Villa Medici a Poggio a Caiano o a Villa dei Vescovi a Luvigliano. Scenografiche scalinate a più rampe collegano il corpo padronale al giardino antistante la villa a sua volta "abbracciato" dalle scenografiche barchesse. Queste ultime, probabilmente influenzate dalle esedre del tempio di Augusto a Roma, procedono prima ad emiciclo, per assumere poi un andamento rettilineo, quasi ad accogliere i visitatori e fungono da quinta architettonica dietro la quale si sviluppavano gli ambienti della fattoria.
La barchessa di destra, guardando la facciata della villa, propone un autentico insieme di tesori. Sono quelli presentati nel nuovissimo Museo Archeologico Nazionale che qui espone, secondo criteri e con allestimenti estremamente scenografici ed efficaci, una scelta delle molte migliaia di reperti riaffiorati nel territorio, frutto di diverse campagne di scavo.
Dove oggi si stendono campi coltivati sorgeva, tra il dodicesimo e l'ottavo secolo avanti Cristo, un importante centro di import-export di materie prime fatte qui convergere dalla Penisola ma anche dall'estremo nord d'Europa, dall'Africa e dall'Oriente. Qui confluivano i pani di bronzo proveniente dall'Italia centrale, le ambre, l'avorio, i metalli preziosi da territori lontani.
Le manifatture locali lavoravano queste preziose materie prima ma anche i palchi di cervo, risorsa del luogo, e soprattutto i vetri: qui esistevano certamente tra le più antiche manifatture di oggetti di pasta vitrea d'Europa.
I manufatti, di altissima qualità, venivano quindi affidati ad una rete di commercianti che li proponevano lungo un circuito di traffici che coinvolgeva l'intera penisola, la Sicilia, l'Egeo e le coste del Mediterraneo orientale.
Tra le più belle testimonianze della loro attività in vita, accompagnavano gli artigiani ed i commercianti anche nell'aldilà. Ed è proprio dalle due Necropoli di Frattesina e da altre rinvenute nel territorio lungo le sponde del Po di Adria, allora principale ramo padano, che provengono i corredi funerari, talvolta davvero importanti: molti ed eleganti gli oggetti di ornamento, le collane, le fibule, i pendenti, i pettini di vari materiali. Autentici tesori che il nuovo Museo svela finalmente al pubblico.

Le meraviglie dei Concordi
Con il biglietto del Dèco, visita gratuita ai capolavori della Pinacoteca dell'Accademia dei Concordi e del Seminario Vescovile di Rovigo
Palazzo Roverella ospita, con la mostra del Dèco, il meglio del meglio dell'importante collezione di arte veneta dal XV al XVIII secolo che costituisce la Pinacoteca dell'Accademia dei Concordi. Vi si ammirano (senza alcun biglietto aggiuntivo) capolavori di importanti artisti come Giovanni Bellini, presente con due splendide tavole, una Madonna col Bambino dai riflessi mantegneschi e un Cristo Portacroce di temperie giorgionesca; i belliniani Marco Bello, Nicolò Rondinelli e i pittori da Santacroce; Palma il Vecchio, protagonista della pittura a cavallo tra il XV e il XVI secolo, è presente in Pinacoteca con una Flagellazione di Gesù e una splendida Sacra Conversazione. Importanti poi le testimonianze di arte ferrarese: opere di Dosso Dossi, Girolamo da Carpi, Scarsellino, per giungere alle mirabili tele di Palma il Giovane e di altri manieristi che chiudono il Cinquecento e introducono verso i nuovi orizzonti del Seicento veneto. Di questo nuovo secolo la Pinacoteca offre capolavori di Sebastiano Mazzoni, Girolamo Forabosco, Matteo Ponzone, Giulio Carpioni.
La stagione del Settecento veneziano prosegue con maestri come Giambattista Piazzetta, Giambattista Pittoni, Alessandro Longhi; tra questi dipinti spicca il Ritratto di Antonio Riccobono straordinario capolavoro di Giambattista Tiepolo noto in tutto il mondo, un unicum nell'attività del pittore, frutto di committenze rodigine.
Il percorso museale è arricchito dalle stupende opere della collezione del Seminario Vescovile di Rovigo, entrata a far parte della pinacoteca accademica dal 1982, che vanta dipinti di Bernardo Strozzi, Luca Giordano, Pietro Bellotti, Daniel Van den Dick, Fra' Galgario e Pietro Longhi.
Infine il pubblico potrà ammirare una preziosa raccolta di dipinti fiamminghi, tra cui spicca il capolavoro rinascimentale di Jan Gossaert: la Vanitas.

e poi… Rovigo
Chi è venuto qui a godere delle precedenti esposizioni allestite a Palazzo Roverella ha già fatto la grande scoperta: Rovigo è una città d'arte tutt'altro che secondaria in Italia, certo non ancora del tutto scoperta ma bellissima.
Il fatto che, sino ad ora, solo i più attenti se ne siano resi conto presenta un bel vantaggio: consente, infatti, di passeggiare lungo le vie e le piazze del centro storico, ammirare i meravigliosi palazzi, le torri, le chiese, i teatri e tutto ciò che la città offre senza intralci da troppe persone, godendosi appieno la scoperta. Tra le mete impedibili, la Chiesa della Beata Vergine del Soccorso detta "La Rotonda" e la Chiesa di San Francesco, il Museo dei Grandi Fiumi ospitato in ex complesso olivetano, il Duomo. Ma più che le "grandi emergenze" (che pure non mancano) è l'intero tessuto urbano del centro storico che colpisce per la sua semplice eleganza.

Informazioni

Déco. Arte in Italia 1919 - 1939


Luogo: Rovigo - Palazzo Roverella

Periodo: dal 31 gennaio al 28 giugno 2009

Catalogo: Silvana Editoriale

Info: Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Tel 049 8761855 - Fax 049 657335