Arte

'900. Cento anni di creatività in Piemonte

Alessandria - Palazzo Monferrato e Palazzo Cuttica
Novi Ligure - Museo dei Campionissimi
Acqui Terme - Movicentro
Valenza - Oratorio di San Bartolomeo
Dal 5 dicembre 2008 al 29 marzo 2009

Alessandria e la sua provincia celebrano l'arte piemontese del '900 con una mostra in cinque sedi

Novi Ligure, Acqui Terme, Valenza e due sedi nel capoluogo ripercorrono, attraverso 250 opere di oltre 150 artisti, una stagione irripetibile che ha tracciato un solco indelebile nella storia dell'arte del XX secolo

Il percorso espositivo si sviluppa da Pellizza da Volpedo a Giulio Paolini, da Angelo Morbelli, Medardo Rosso, Giacomo Balla, Carlo Carrà, Felice Casorati, fino a giungere a Michelangelo Pistoletto, Piero Gilardi, Aldo Mondino, Giuseppe Penone, Gilberto Zorio, e molti altri ancora.

Michelangelo PISTOLETTO (Biella 1933), Autoritratto di stelle, 1973/89, Fotografia su pellicola trasparente, cm 98 x 123

Angelo BARABINO, La pietà, Olio su tela, cm 60 x 70

Carlo CARRÀ (Quarniento 1881 - Milano 1966), Marina, 1962, Olio su tela cm 40 x 60

Giacomo BALLA (Torino 1871 - Roma 1958), Le vele, 1919, olio su tavola, cm 50 x 60, courtesy Galleria Berman



Angelo MORBELLI (Alessandria 1853 - Milano 1919), Pio Albergo Trivulzio, 1903, Olio su tela cm 35 x 50

Lorenzo DELLEANI (Pollone 1840 - Torino 1908), Canal grande a Venezia, 1887, Olio su tavola cm 31 x 45

Luigi SPAZZAPAN (Gradisca di Isonzo 1889 - Torino 1958), Carretto per le angurie, prima versione, 1946, chine colorate e tempera su carta su tela, cm 98 x 136, courtesy Galleria Narciso, Torino

SALVO (Leonforte 1947), La piazza, 2004, olio su tela, cm 100 x 130, courtesy Galleria Berman

Giuseppe PELLIZZA DA VOLPEDO, (Volpedo 1868 - 1907), Nudo, 1889, Olio su tela, cm 114 x 114


Giulio PAOLINI (Genova 1940), Studio per sottosopra, 2005, Matita e collage su carta, cm 70 x 100, courtesy Galleria Carlina, Torino

Giuseppe PELLIZZA DA VOLPEDO, (Volpedo 1868 - 1907), La vecchia nella stalla, 1904-05, Olio su tela, cm 89,5 x 88,5

Lalla ROMANO, Testa di bambina, 1928, olio su cartone, cm 31 x 32, 5, courtesy Galleria Il Ponte, Torino

Nella MARCHESINI (Marina di Massa 1901 - Torino 1953), Natura morta con mele, 1929

Pietro MORANDO (Alessandria 1889 - 1980), Mercato del bestiame, 1929, Olio su tela cm 90,5 x 95,5


Andrea TAVERNIER (Torino 1858 - Grottaferrata 1932), A Cogne verso sera, 1900, olio su tela, cm 130 x 95

Gigi CHESSA (Torino 1898 - 1935), Nudo sulla poltrona, 1929, olio su tela, cm 54 x 47, 5, Courtesy Galleria Il Ponte, Torino

Carlo CARRÀ (Quarniento 1881 - Milano 1966), Madre e figlia, 1939, Olio su tela cm 90 x 71

Nicolaj DIULGHEROFF, (Kiundestil 1901 - Torino 1982), Ambiente musicale, olio su tela, cm 81 x 65

Carlo CARRÀ (Quarniento 1881 - Milano 1966), La gerba e la bottiglia, 1914, Tempera e collage su cartone, cm 37, 8 x 27

Dal 5 dicembre 2008 al 29 marzo 2009, Alessandria e la sua provincia celebreranno la grande e irripetibile stagione dell'arte piemontese del Novecento. L'esposizione, dal titolo '900. Cento anni di creatività in Piemonte, è promossa dalla Società Palazzo del Monferrato e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria, in collaborazione con il Comune di Alessandria, il Comune di Novi Ligure, il Comune di Acqui Terme, il Comune di Valenza, col contributo della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria, della Banca Popolare di Milano, ed è curata da Marisa Vescovo, in collaborazione con Giuliana Godio e Isa Caffarelli.
L'iniziativa abbraccia cinque sedi - Palazzo del Monferrato e Palazzo Cuttica ad Alessandria, il Museo dei Campionissimi a Novi Ligure, il Movicentro ad Acqui Terme e l'oratorio di San Bartolomeo a Valenza - e presenta 250 opere di oltre 150 artisti che hanno tracciato un solco indelebile nella storia dell'arte del XX secolo, sia nella pittura, che nella scultura, che nella grafica.
Ad Alessandria, la sezione allestita a Palazzo del Monferrato esplorerà la pittura piemontese del primo '900, da Morbelli a Pellizza da Volpedo, Carrà, Chessa, Casorati, mentre a Palazzo Cuttica sarà protagonista l'arte prodotta in provincia di Alessandria, in un percorso tra le pubbliche collezioni d'arte, da Bozzetti e Morando a Dina Bellotti, Fallini, Porta, Marchelli e Maddalena Sisto. Al Museo dei Campionissimi di Novi Ligure, si troveranno le opere del secondo '900, da Spazzapan a Merz, Mastroianni, De Maria, Salvo.
Gli altri due segmenti testimonieranno, al Movicentro di Acqui Terme, l'importanza del Piemonte nel campo della scultura e dell'installazione contemporanea (da Mainolfi a Grassino, Viale, Bolla, Todaro), e all'oratorio di San Bartolomeo di Valenza, in quello delle tempere, degli acquerelli e dei disegni (da Bistolfi a Pistoletto, Boetti, Cremona, Paulucci).
Infatti, il Piemonte, forse come nessuna altra regione italiana, ha visto crescere personalità che hanno dato impulso, per tutto il secolo scorso, a movimenti e correnti artistiche come il Divisionismo, il Futurismo, la Metafisica, il Novecento, l'Astrattismo, la Pop art, l'Arte povera e l'Arte concettuale.
Il percorso espositivo prende avvio alla fine dell'Ottocento, da Pellizza da Volpedo e dalla grande stagione divisionista e post-divisionista, con Angelo Morbelli, Medardo Rosso, Cesare Maggi, Matteo Olivero, Angelo Barabino, e prosegue con Giacomo Balla e Carlo Carrà, che hanno traghettato l'arte italiana dapprima verso il Futurismo, quindi alla Metafisica, a Novecento, all'astrattismo ottico percettivo.
Ma in Piemonte, dopo l'arcaismo di Carrà, ha trovato grande spazio, tra il 1910 e il 1940, il mondo di Felice Casorati, malinconico e crepuscolare, passato dal florealismo a una forma di anti-classicità densa di simboli metafisici. Al suo fianco ha assunto una ben precisa collocazione, fin dal 1929, il Gruppo dei sei, decisamente antinovecentista, composto da Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Carlo Levi, Enrico Paulucci, Jessie Bosswel, che contrapponevano al ritorno all'ordine, il gusto dei primitivi teorizzato da Lionello Venturi ed Edoardo Persico.
A Torino è nato, nel 1923, anche il Secondo futurismo, capitanato da Fillia, polemista e scrittore, fondatore, insieme a Pozzo, Djulgheroff, Farfa, del 'Movimento futurista torinese' e dei 'Sindacati artistici futuristi'.
In Piemonte, poi, hanno trovato terreno fertile anche identità isolate, ma interessanti, come Pietro Morando, Adriano Parisot, Paola Levi Montalcini, Umberto Mastroianni, e soprattutto la geniale personalità dell'architetto, fotografo, romanziere, designer, Carlo Mollino, che ha inciso un solco profondo per molti anni nell'arte piemontese. Tra gli architetti, non si può non ricordare la personalità dell'alessandrino Ignazio Gardella.
Dagli anni Cinquanta, fino ad oggi, il Piemonte è stato una fucina di movimenti e di singole identità che hanno avuto, e hanno tuttora, una valenza internazionale sia di mercato che di qualità e importanza, come l'Informale - con la pittura di Piero Ruggeri, Giacomo Soffiantino, Sergio Saroni e, in maniera autonoma e più utopica Pinot Gallizio - la forte presenza di Luigi Spazzapan e anche dello scultore Franco Garelli, ha segnato la discesa nella dimensione dell'esistenza psichica, ponendosi così contro il razionalismo astratto dilagante altrove.
In seguito, altri artisti hanno colto la possibilità di uscire dalla misura individuale imposta dall'Informale e hanno iniziato a rendersi conto dei rapporti fondamentali con l'ambiente fisico e sociologico. Nasce quindi un'arte di relazione, quale la Pop-art, con Piero Gilardi, Aldo Mondino, il primo Michelangelo Pistoletto, Ugo Nespolo.
L'ala più minimalista della pittura degli anni Settanta è stata quella delineata da Marco Gastini e Giorgio Griffa, mente Salvo inseguiva ante-litteram un citazionismo tutto mentale, insieme alle installazioni di Claudio Parmiggiani, e contemporaneamente a Luigi Mainolfi che portava il suo mondo fantastico all'interno di sculture di terracotta di grande fascino.
Tutto questo avveniva mentre Piero Fogliati rincorreva l'utopia di una città fantastica legando arte e scienza e Nicola De Maria rappresentava il lato pittorico-poetico della Transavanguardia. Il Piemonte è stato protagonista anche negli anni Ottanta con Piero Bolla, Riccardo Cordero, Luigi Stoisa e Sergio Ragalzi, così come, tra il 1990 e il 2008 si presenta con artisti giovani che hanno raggiunto in breve una notorietà internazionale: Pierluigi Pusole, Daniele Galliano, Francesco Sena, per la pittura, Paolo Grassino, Mimmo Borrelli, Saverio Todaro, Fabio Viale, Nicola Bolla, Luisa Valentini, Enrica Borghi, Diego Scroppo, per la scultura, Monica Carocci, Giulia Caira, Botto & Bruno, Enzo Obiso, Marzia Migliora, per la fotografia.

La mostra si avvale per la promozione della collaborazione di Civita ed è accompagnata da un catalogo Silvana Editoriale che presenta, oltre al testo della curatrice, un saggio critico di Maurizio Calvesi.


SEZIONI
ALESSANDRIA, Palazzo Monferrato
(Via San Lorenzo, 21)
Il Primo '900 (da Morbelli a Pellizza da Volpedo, Carrà, Chessa, Casorati)

ALESSANDRIA, Palazzo Cuttica (via Parma 1)
Alessandria oltre il Moderno. Un percorso tra le pubbliche collezioni d'arte e il contemporaneo (da Bozzetti e Morando a Dina Bellotti, Fallini, Porta, Marchelli e Maddalena Sisto)

NOVI LIGURE, Museo dei Campionissimi
(viale dei Campionissimi 2)
Il Secondo '900 (da Spazzapan a Merz, Mastroianni, De Maria, Salvo)

ACQUI TERME, Movicentro
(via Alessandria)
La scultura e l'installazione contemporanea (da Mainolfi a Grassino, Viale, Bolla, Todaro)

VALENZA, Oratorio di San Bartolomeo (piazza Lanza)
Le tempere, gli acquerelli e i disegni (da Bistolfi a Pistoletto, Boetti, Cremona, Paulucci)


MARISA VESCOVO
Curatore della mostra
La fucina piemontese *
Non c'è dubbio che verso la fine del XIX secolo in Piemonte i pittori legati ai temi ottocenteschi documentavano il loro amore per la pittura di paesaggio vivendo la loro creatività in zone arcane e inusuali dell'ambiente, nello spazio di una profonda poesia reale, nel mondo del simbolo, nella luce vibrante dell'en plein air . Un mondo oltremodo affascinante questo, in cui un gran numero di artisti - esempi chiari: Giacomo Grosso, Marco Calderini, Lorenzo Delleani (curiosa la sua nostalgia per le luci di Venezia), Carlo Pollonera, Vittorio Cavalleri, Carpanetto Giovanni, Cesare Tallone, Carlo Follini, Enrico Reycend, Andrea Tavernier - trascorrevano parte della loro vita in montagna, o in campagna, per familiarizzare con il paesaggio e quindi valorizzarlo al meglio con il pennello. Essi avevano messo in moto un pensiero che della natura ha inteso cogliere l'idea di sublime, un pensiero che sviluppa negli artisti, il senso della propria individualità, della propria solitudine, dell'inevitabile dramma dell'esistenza, e la volontà di sviluppare i problemi del sociale come della spiritualità.
L'artista trasportava in un altrove l'anima dello spettatore esprimendo, col suo lavoro, concetti molto elevati con uno stile intenso. Gli autori di fine Ottocento sviluppavano sempre più il concetto di naturale, insistendo sul potere che i fenomeni naturali avevano sulla sensibilità dell'uomo.
Forse non era un caso che molti pittori (Maggi, Delleani, Olivero) italiani, degli ultimi decenni dell'Ottocento e del primo Novecento-- a partire dal pennello come strumento per pensare e realizzare le forme, nella speranza di cogliere qualcosa del terribile mutamento della natura, che sembra trascinare tutto nel nulla-- abbiano scelto come soggetto la montagna, un'icona guardata da sempre come forma immortale e immobile, che via via invade il piano e sale ad occupare l'orizzonte più alto nel cielo.
La montagna esprime da sempre l'idea di stabilità, di immutabilità, talvolta anche di purezza, e ci conduce verso il ritorno al Principio, simbolo della dimora dell'immortalità, come il nostro Paradiso terrestre, posto da Dante al culmine del monte Purgatorio.
Possiamo dire che Delleani, Fornara, Follini, Reycend, Tavernier, hanno dato un alto contributo in questo senso per il loro intenso gusto per un colore timbrico, caldo e stratificato, che evidenzia i primi piani e sfoca, nella luce, i fondi e l'orizzonte.
La grande svolta è avvenuta anche con le sculture di Medardo Rosso, che ha eliminato i contorni e le superfici definite, cosi le figure, o meglio i volti mobilissimi, affioravano dall'ombra impastati di luce, che l'artista voleva radente e proveniente da sinistra, infatti per capire l'esatta posizione da dare all'opera occorreva una fotografia, scattata personalmente da Rosso. La natura del modellato costruito per sovrapposizioni e improvvise ombre divoranti costringeva lo spettatore a socchiudere gli occhi per vedere perfettamente l'immagine.
A cavallo di queste forti prove pittoriche, e scultoree, di fine Ottocento, sappiamo che si innestava il movimento storico del Divisionismo (1890-1920), che indubbiamente si è posto come una soglia, un momento di eccezionale ed irreversibile mutamento epocale: forse non ancora analizzato a fondo, infatti certi autori, diventati primi attori, risultano ancora personaggi dal profilo incerto, perché non sempre completamente studiati nelle loro enigmatiche pieghe. Questo sostanziale, e importantissimo, cambiamento storico-estetico è legato ad una precisa crisi artistica : quella del modello mimetico-rappresentativo ottocentesco. Credo che possiamo concordare con quanto scrive in proposito il filosofo Franco Rella : L'orizzonte divisionista che si disegna al di là di ogni estetica mimetico-rappresentativa è l'orizzonte stesso dell'arte del Moderno. La scoperta che l'arte non è riproduzione della realtà, ma costruzione di un rapporto inedito con un mondo sconosciuto, impone all'arte stessa una responsabilità etica ben più grande di qualche ne ha fatto il passato, e anche recentemente, il tramite per comunicare teologie, filosofie, ideologie. L'atto creativo divisionista è stato certamente una scoperta di un mondo da esplorare, l'atto di far scaturire dall'interno della natura ciò che per noi era fino ad ora invisibile, nascosto nel caos della materia e del pensiero.
Ci troviamo di fronte ad una sensualizzazione globale delle cose, che riduce l'esistenza ad un turbinoso pullulare di sensazioni ed impressioni.
A prima vista può apparire strano situare i piemontesi Giuseppe Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli, in una cornice così friabile, infatti loro, con motivazioni diverse, si portano appresso un bagaglio storico ottocentesco legato al realismo inteso come mimesi di una realtà precipuamente politico-sociale, magari passando per la strada della Scapigliatura lombarda. Essi, adottando la tecnica pointilliste, si sono presto resi conto che quel realismo, che stavano mettendo in crisi, segnava, con certezza, il termine di ogni possibile realismo.
E' poi sopraggiunta assai presto la coscienza che tale fine, annunciava e segnava, un rapido transito verso un'altra concezione del rapporto tra arte e realtà, tra arte e verità, un evento avvenuto in tempo brevissimo.
Se dalla tradizione Pellizza da Volpedo aveva tratto l'interesse a comporre per blocchi sintetici e ben definiti, cionondimeno la sua luce inondante risultava essere soprattutto mentale, e non intrideva in profondità la massa cromatica, ma l'aureolava, la palesava in uno splendore irradiante, che giocava su rispecchiamenti e ombre misteriose ed inquietanti. È' utile quindi mettere a fuoco un'opera come Passeggiata amorosa, un quadro in cui la tecnica divisionista è portata alle estreme conseguenze, lo sforzo dell'artista è volto a cogliere la totalità dell'ambiente, cogliendone il volto più intensamente simbolico e metaforico: il nascere di un amore. La luce inondante il paesaggio in ombra è mentale, e non intride la massa cromatica, anzi, l'aureola, ne restituisce la forza per irradiazione. Queste immagini fortissime (pensiamo al mitico Quarto stato, L'annegato, Vecchia nella stalla) non sfociavano in una capziosa rottura dei canoni di realtà, bensì indicavano una meta che va al di là di un'epoca, portando con sé preziose infiorescenze provenienti dal mare di una crisi radicale: quella a cavallo di XIX e XX secolo, a cui pare riferirsi l'oltre-luce del film:2001. Odissea nello spazio. Per Angelo Morbelli il Divisionismo era un mezzo efficace per affinare e rafforzare il principio di verità come si vede nei suoi vecchietti del Pio Albergo Trivulzio, o nelle ricamatrici che lavorano accanto alle finestrelle di una stalla in penombra, sfiorati da l'ultimo raggio di una luce al tramonto. Tutto reso magistralmente dal suo divisionismo perfettamente costruito, tanto che è stato anche definito scientifico.
I divisionisti in fondo ci hanno fatto intendere che la luce è il veicolo di informazione più importante di cui possiamo disporre, mentre i colori sono sensazioni, che ci vengono trasmesse dall'ambiente in cui viviamo, come è possibile vedere nei quadri di Angelo Barabino, Cesare Maggi, Carlo Fornara, Luigi Onetti, Giuseppe Cominetti, Matteo Olivero.
Lo scultore Leonardo Bistolfi approda invece ad una sponda simbolista e floreale, che lo condurrà soprattutto ad operare nei grandi cimiteri monumentali. In certi momenti i suoi marmi sembrano trasformarsi in stucco, per la straordinaria capacità delle sue mani, che modellano foglie, fiori, capelli, ali angeliche, fondendole l'una nell'altra, portando a esasperazione il motivo metamorfico.
Non possiamo, procedendo in avanti, dimenticare che Giacomo Balla ha adottato la tecnica pointilliste nel momento in cui è venuto a contatto con l'ambiente lombrosiano-positivista di Torino, nonché con la pittura di Pellizza e di Morbelli, a lui congeniale per il rigore della loro ricerca, e per le amate tematiche socio-umanitarie. Anche se dopo il soggiorno parigino del 1900, il suo sguardo si rivolge voglioso anche verso il Neo-impressionismo francese, affascinato dal bagno di luce di Seurat e di Signac. E' stata la Lampada ad arco, datata 1911, che ha aperto storicamente la piena del futurismo balliano, e ha dato il via ad una ricerca fondamentale, quella della scomposizione della luce elettrica in senso prismatico, sentita quale analisi di una nuova forma di energia in movimento, o visione dinamica dell'esperienza.
Un altro artista che appartiene al drappello dei Post-divisionista è Carlo Carrà, la cui pittura in questo particolare periodo si sviluppa sulle premesse del divisionismo lombardo, dopo aver assimilato gli effetti di luce di Pellizza e la grande forza espressiva di Segantini. La cromia dell'artista alessandrino ha una sua strutturazione architettonica, che rimanda a una semplificazione formale che si noterà anche nelle opere esplicitamente futuriste.
Gli artisti futuristi, alla ricerca di una realtà e di una verità dinamica, relativa a all'uomo nuovo, che apparteneva all'età del progresso galoppante, si sono posti il problema di cercare nel cuore segreto e luminoso delle apparenze, una rete di corrispondenze sconosciute, che potevano determinare un diverso orizzonte di senso.
Subito dopo la fine della Grande Guerra –che ha registrato scomparse irrimediabili come quella di Boccioni e SantElia-- si 'registra l'abbandono precipitoso di quei principi di modernità, di partecipazione dell'arte al fervore creativo della vita moderna, che erano stati propri del futurismo. Infatti Carrà - dopo essere stato con Giorgio de Chirico e un giovane Giorgio Morandi, l'iniziatore della Metafisica - con l'intento di ritrovare la plasticità delle origini, è stato in prima fila a collaborare alla nuova rivista Valori Plastici, con Savinio, Soffici, Broglio, che insieme avevano preconizzato una corrente apertamente antimodernista, la quale aveva in seno diversi motivi: l'aristocratica solitudine del genio, un nuovo sguardo verso l'archeologia.
La spinta era verso il classicismo e l'arcaismo, verso la rivalutazione di una pittura, solida, distaccata dai problemi più urgenti del presente e sempre più tradizionalista. Ben presto la scrittrice Margherita Sarfatti è diventata il portavoce, a partire dal 1923, del gruppo dei Pittori del Novecento-- tenuto a battesimo da Benito Mussolini - da intendere come una sorta di arcaismo mescolato con un naturalismo al sapore di metafisica, a un colore molto spesso sordo, e a riecheggiamenti culturali classicisti e rinascimentali. Tesi che convinsero, evidentemente, sia Carlo Carrà che Felice Casorati (oltre ai lombardi e ai romani), sia i torinesi Menzio e Paulucci, sia l'alessandrino Pietro Morando, vicino a Carrà e a Sironi, col suo mesto mondo di pellegrini e di faticata gente al lavoro nelle campagne monferrine. Giotto è diventato invece un importante tema ispiratore della nuova pittura di Carrà, infatti i suoi paesaggi si presentano elementari e rarefatti, le figure sempre più semplificate e massicce, le case sempre più rapportate alla forma elementare del cubo, anche se invero non si privava mai di un soffio di poesia romantica vicina alla Scapigliatura lombarda. Castrati, è stato vicino, in un primo tempo, alla Secessione Viennese e all'opera di Klimt-- che incontrò alla Biennale di Venezia del 1910-- colpo di fulmine girato poi in un florealismo di clima nordico. Al suo arrivo a Torino Casorati cerca delle soluzioni semplici alle sue composizioni, vivacizzate da motivi arabescati, mentre le figure femminili erano allungate e filiformi, melanconiche e crepuscolari.
Anche in seguito le sue figure, che amava deformare nei tratti (mani, piedi, naso), portavano sempre su di sé una nota di tristezza, quasi di rassegnazione a una vita difficile, solitaria, un poco sonnolenta.
Per troppi anni considerati come artisti di regime, solo negli ultimi tempi i Novecentisti sono stati riscoperti e riproposti nelle loro articolate differenze.
Essi hanno trovato però a Torino un fronte ferocemente contrario, il cosiddetto gruppo dei 6 di Torino (Boswell, Galante, Chessa, Levi, Menzio, Paulucci), che, fin dal 1929, con l'approvazione di Venturi, non condivideva ne l'arcaismo, né le posizioni politico-sociali dei novecentisti, ai quali tutti rimproveravano i compromessi consumati al fine di mettere a tacere l'avanguardia, mentre propugnavano la libertà dell'arte di andare in qualsiasi direzione.
Nei tre lustri che vanno dal 1930 al 1945, Torino non era solo una città operaia per antonomasia, praticamente un'oasi di monocultura FIAT, ma era soprattutto la città di Piero Gobetti, della scuola di Augusto Monti, dell'intransigente rifiuto morale e storico, del Novecento sarfattiano, da parte del Gruppo dei sei, con Lionello Venturi che, nel 1932, a causa del mancato giuramento di fedeltà al fascismo dovette emigrare in Francia. Torino era anche la città che aveva accolto Edoardo Persico col suo polemico antiformalismo, dell'isolato-presente Luigi Spazzapan, che combinava giocosamente grafismi e colore, di Giuseppe Pagano, propugnatore del razionalismo in architettura con Alberto Sartoris e Luigi Levi Montalcini (fratello di Paola e Rita Levi Montalcini).
Si è verificata, in quel felice periodo, una convergenza sabauda di eccezionali presenze: Felice Casorati, il collezionista e produttore cinematografico Riccardo Gualino, il critico-artista Albino Galvano, il pittore Italo Cremona, inoltre si agitava con fantasia il Neofuturismo (o Secondo Futurismo), capitanato da Fillia e coadiuvato da Farfa, Diulgheroff, Rosso, Oriani, che proietteranno le loro ricerche verso un lontano futuro. Era, inoltre, arrivato in città anche l'anticonformista Mino Maccari - chiamato a Torino da Curzio Malaparte, neo-direttore del quotidiano La Stampa - chiamato a collaborare al giornale con il geniale Carlo Mollino, Italo Cremona, Albino Galvano, e altri. Anche il cinema è nato a Torino, negli anni Dieci, ma negli anni Trenta le case produttrici (Fert) languivano, e i produttori più importanti, Gualino e Mottura, hanno dovuto emigrare a Roma. Ma quale fosse in realtà, nella Torino di allora, e latamente in Piemonte, il posto di un artista, o il ruolo della cultura artistica, con le sue connessioni e implicazioni sociali, si può dedurre dalle testimonianze ammirate di Gobetti su Casorati - regista indiscusso degli eventi di arte figurativa in città - e di Antonio Gramsci, che dichiarava con un po' di miopia finito il gruppo futurista di Marinetti, effettivamente per il momento dissolto in mille rivoli diversi. A Venturi i futuristi subalpini rimproveravano di non aver ascoltato i contenuti del loro movimento, mentre aveva riversato tutta la sua attenzione e la fiducia ai Sei pittori, ai quali è toccata l'avventura di combattere la prima battaglia a favore di un'arte di clima europeo, per un gusto moderno, a cui aveva dato anche appoggio il torinese Giulio Carlo Argan. Essi combattevano anche per la straordinaria azione politico-sociale di Gobetti, che prefigurava la forza di un pensiero vivo, contro un fascismo già istituzionalizzato.
E' di questo periodo l'arrivo a Torino da Roma (1926)di Umberto Mastroianni, egli si è trovato così subito immerso in un contesto, da un lato molto stimolante, dall'altro quanto mai retrivo, sostenuto da un nutrito gruppo di novecentisti, ai quali ha mostrato subito il suo deciso disaccordo, così come si sentiva lontano, formalmente e concettualmente, da Arturo Martini (sue opere erano a Villa Ottolenghi ad Acqui) e Marino Marini. Mastroianni oltre che seguire con entusiasmo il grande insegnamento di Venturi, concordava con quanto diceva Persico, nel 1931: a Torino si sono trovati riuniti per caso taluni uomini, architetti, pittori, letterati, o semplici intellettuali, venuti da ogni parte del paese, che cercavano un accordo alle loro diverse tendenze e ai loro temperamenti, su un piano rigorosamente europeo. In questo periodo la scultura di Mastroianni è prevalentemente figurativa e si avvicina soprattutto all'arte ellenistica attraverso un modellato di ermetica levigatezza, e di gusto rinascimentale, anche se non mancano già tentazioni astratte. Ma una svolta alla sua vita è venuta anche dall'amicizia con Luigi Spazzapan, mitteleuropeo di formazione, con soggiorni a Vienna e a Monaco, dove ha incontrato e fatto sua la lezione di Kandinskij. Certo era un artista solitario, perennemente inquieto e poeticamente volubile –quindi molto distante da Casorati - intorno al quale, però, nel corso di più di un decennio, doveva formarsi un'ala di consensi critici (Luigi Carluccio in testa) soprattutto dovuti alla sua mano abilissima e veloce nella costruzione di astrazioni segniche, o nel dare spazio alla sua estrosa e frenetica fantasia.
Naturalmente con l'inizio della Seconda Guerra Mondiale le ricerche in atto hanno avuto un momento di stasi, ma riprenderanno con foga dopo il 1945.
La fine del conflitto mondiale ha generato un'epoca nuova della quale è tutt'oggi difficile disegnare una fisionomia omogenea e coerente. Il ventennio tra le due guerre aveva dato la stura a mutamenti sostanziali nei rapporti politici e sociali in tutto il mondo; ma le traformazioni rientravano pur sempre in un modello esistenziale che portava in sé i germi della tradizione. La situazione italiana si presentava, nel 1948, con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, in una situazione politica, dominata dal centrismo e dall'arroccamento oppositivo dei partiti della sinistra, per cui i contrasti sociali assunsero toni drammatici.
Alla fine degli anni Quaranta si è aperta, a livello europeo, la stagione dell'arte Informale, e l'Informale come ha scritto Maurizio Calvesi: non è una derivazione o un sinonimo di informe, ma vuol dire, che è diverso, non formale Gli artisti dopo l'orrore dell'Olocausto cercavano un rapporto immediato con la realtà delle cose, che non passava attraverso schemi figurativi, ne tanto meno concettuali, ma metteva radici nel nostro profondo malessere, per riscoprire i processi della vita e dei suoi valori, nonchè della psiche, metafora viva di tutta la sua dolente materialità, o meglio matericità, che si proponeva in termini precipuamente contemplativi.
A Torino si raccolsero attorno a Spazzapan alcuni giovani come Moreni e Mario Merz e il già menzionato Mastroianni, ma con gli anni Cinquanta si paleserà la prima generazione di artisti legata all'Informale italiano. Le gallerie Notizie e la Bussola (diretta da Luigi Carluccio), sono diventate un catalizzatore forte per pittori come Piero Ruggeri, un vero enfant prodige, Giacomo Soffiantino, Sergio Saroni, Sandro Cerchi, Antonio Carena. Il critico francese, Michel Tapié, affiancava questa attività organizzando, nel 1961, un International Center of Aesthetic Research, che oltre all'attività espositiva proponeva una rassegna permanente di opere informali.
Se, tra il '56-'57, Sergio Saroni lavorava con grande finezza pittorica sulla materia, creando immagini evocative, Giacomo Soffiantino scavava tra luce e ombra, Piero Ruggeri invece metteva in scena una gestualità, che incideva la materia, e rispecchiava i suoi balenanti fantasmi psichici. Dalla provincia, ovvero da Alba, arrivava anche la visionarietà di Pinot Gallizio, il quale fonda il movimento internazionale per una Bauhaus immaginista-- con Jorn, Appel, Alechinsky e altri - e in seguito ha scritto il manifesto della pittura industriale, e mentre predicava l'estasi violenta, teorizzava il culto del precario e dell'effimero, del gioco e dello straniamento, di memoria vagamente surrealista. .Le sculture in ferro saldato di Garelli, usavano la materia come elemento d' immagine, ma anche come detrito, fatti che determinavano un senso di precarietà della forma, ma questa era anche la loro forza, che ne faceva un precursore degli anni Sessanta. A fianco a questo drappello legato all'art autre si muoveva bene anche un altro gruppo che praticava un'astrattismo poetico e di grande qualità: Piero Rambaudi, Albino Galvano - che ha anche firmato, nel 1953, con Biglione, Parisot, e Scroppo, il manifesto dell'Arte Concreta a Torino - Mario Davico, e la vulcanica Carol Rama, autrice di raffinatissime e musicali carte dipinte, che in seguito diventeranno camere daria 'di biciclette ammonticchiate su un trespolo, oppure oggetti della sua personale quotidianità trasposti sulla tela e mutati dall'esperienza in forme non riconoscibili, ma comunque cariche di connessioni illuminanti sul mondo delle cose e sulla vita sua e nostra . Un gruppo di artisti di cui vediamo diramarsi, ancora in questi ultimi anni, il profumo della loro ricerca verso il futuro.
Quando si parla degli anni '60, si ha l'impressione di evocare un periodo mitico, felice, quasi un eden, dove si andava molto spesso alla ricerca della fenice dell'arte. Un eden zeppo di problemi aperti, quali:iconismo-aniconismo, materia-colore, lasciati in eredità dall'Informale. Il linguaggio diventava un mezzo per far sconfinare l'arte nella vita, e magari per afferrare piccole schegge della storia universale, certo non meno significative di un grande evento. Se pensiamo meglio ci rendiamo conto che si trattava di un tempo di cambiamenti nevrotici, un pò affannosi, in cui gli artisti erano pronti però a bruciarsi le ali sino in fondo in cambio di una fiammata creativa, o di una leva capace di far deragliare l'apparato logico del potere. Un momento in cui emergevano fatti e personaggi nuovi, che si trovavano ad arginare le acque torbide di un pantano di epigoni provinciali.
Per capire meglio questo particolare momento è opportuno pensare ancora a quella società industriale, a cui nel corso di gran parte dell'800, erano state mosse critiche di fondo per le condizioni di miseria e di abbrutimento cui aveva sottoposto le masse operaie, costipate nei centri urbani. Poi, negli anni '60 di un difficile '900, la classe operaia, fu ancora investita di attacchi, non meno fieri, per ragioni opposte:per aver prodotto il consumismo, il quale, dopo aver stordito e asservito le persone, ne ha spento l'immaginazione e la sensibilità e condizionato le scelte. Il miracolo economico, la diffusione di massa della merce, hanno avvicinato il nostro paese ai livelli delle società capitalistiche più sviluppate. Ma per noi italiani il gap restava ancora incolmabile. Tutto questo si rifletteva sui comportamenti, sui costumi, sulle gerarchie dei valori umani e sociali.
Agli inizi degli anni '60 a Torino si viveva una situazione stagnante a livello di dibattito ideologico-culturale, ma si sentivano i primi sintomi tipici del contesto sociale della grande concentrazione industriale, ovvero la monocultura Fiat, che non poteva in seguito, non dar vita a nuovi nuclei di creatività. Gli intellettuali e gli artisti cercavano di non tener conto di quelle che venivano chiamate le compatibilità del sistema, quindi cercavano di esasperare le cosiddette contraddizioni, così da scavalcarle in direzione del NUOVO.
Questa ideologia non fu l'ultimo dei fattori che hanno contribuito a protrarre da noi il '68 per più di dieci anni.
Se all'inizio degli anni '60 l'impulso originale e propositivo era quasi esaurito, nondimeno apparivano all'orizzonte i cieli trompe-l'oeil di Antonio Carena e accanto a lui il lavoro di artisti come Gino Gorza . Il nuovo problema per i più giovani è stato quello di mettere in atto un colpo d'occhio circolare su quel mondo, la cui realtà era accertata per contatto, e la cui esistenza si sentiva bruciare sotto le scarpe:occorreva dunque esplorarlo nella complessità dei suoi elementi, dei suoi livelli sociologici, storici, psichici, culturali.
La letteratura molto presente a Torino, col suicidio di Pavese aveva perso uno dei suoi protagonisti, e tentava timidamente nuove strade: Calvino con la trilogia de Il visconte dimezzato, ha aperto il racconto ad una dimensione fantastica e simbolica, Fenoglio, con Primavera di bellezza, ha donato alla narrazione una struttura realista e un dinamismo insolito nel panorama italiano.
Anche nel campo delle arti applicate un genio come Carlo Mollino, designer, architetto, fotografo, scrittore, scenografo, simpatizzante per il Barocco, il Liberty, il Surrealismo, si è imposto soprattutto per i suoi mobili che prediligevano le cadenze curvilinee, e le forme aperte. Mentre con le polaroid coagulava diversi interessi: ritratto, ambientazione, arredo, il tutto condito con molto erotismo. Ettore Sottsass, architetto e designer, invece con i suoi mobili architettonici allude apertamente al Mac, soprattutto per l'uso di un colore primario e l'uso coltissimo di significati simbolici. Bruno Martinazzi si è dedicato, oltre che alla scultura, alla creazioni di raffinati gioielli che si ispirano a forme primarie e all'astrattismo storico. Nel 1960 si facevano notare le opere di Piero Gilardi, Michelangelo Pistoletto (produceva in quel periodo i primi lavori specchianti), Aldo Mondino; invece in solitudine, a Saluzzo, produceva le prime opere pop Piero Bolla. Più isolato Giulio Paolini, iniziava la sua felice ricerca sulla natura della tela, la squadratura del foglio, le campiture monocrome, il lavoro sulla fotocopia, un'analisi che, con un'esemplare coerenza, andrà avanti nel tempo senza frangiature.
All'inizio di quel decennio, a Torino, la galleria di Gian Enzo Sperone, presentava la pittura pop e concettuale (Lichtenstein, Pistoletto, Rauscenberg, Kounellis, Merz, Anselmo, Kosuth), e nel 1966 realizzava la mostra Arte abitabile, con Piacentino, Gilardi, Pistoletto. Piacentino presentava un tavolo e un oggetto a forma geometrica, colorati con vernice industriale, Pistoletto una lastra speculare ricoperta con addobbi natalizi, una lampada a luce gialla e un'antica scultura di legno recintata di perspex, Gilardi una torretta accessibile con una scala di tubi dalmine. Il tutto era leggibile come una intrigante metafora della possibilità di fondere arte e vita, come già avevano profetizzato i futuristi. Germano Celant, scriveva allora -- anticipando le sue teorizzazioni sull'Arte Povera - che si era di fronte a una ricerca di una sensorialità primaria, estremamente soggettiva ed individuale, che pervadeva il lavoro degli artisti italiani, che tendevano a concretizzare nelle loro opere non più una struttura formale, ma una proiezione mentale e fisica. In quegli anni Torino---con le gallerie Il Punto, Notizie, guidata da Luciano Pistoi (vero segugio di artisti di qualità), e Stain, - era un centro catalizzatore di incontri e dibattiti che rivoluzioneranno l'arte di questo decennio, e molto oltre. Ha scritto Mirella Bandini che gli artisti dell'Arte Povera tendono ad uscire dall'oggetto e dallo straripante iconismo dell'immagine pop, e si concentrano su un lavoro in cui non c'è forma a priori, ma materiali impoveriti regressi al primario, nei quali si evidenzia energia flessibilità, mutazioni: un rifiuto dunque della pittura e della scultura, che vengono considerate forme espressive superate, storicizzate e non più necessarie. E' forse superfluo scrivere altro su artisti come :Merz con i suoi igloo, idee di spazi assoluti, e i suoi materiali inaspettati, Pistoletto che si trasformava sia in attore che mimo, o collocava Veneri in mezzo a piramidi di stracci, Anselmo lavorava sul mistero della natura fondendola con segni primitivi o effimeri, Zorio con le sue stelle, le sue pelli, le canoe, i giavellotti, i fischi dei suoi motori mobili, coagulava energia ed idee, Penone cercava di far sentire l'uomo come tubero, albero, corteccia, linfa, cercando una comunione esistenziale di arte e natura, Fabbro inseguiva qualità dinamiche e di trasformazione dei materiali, cosi vestiva di pelle la sagoma dell'Italia sospesa nel vuoto rendendola leggera come un panno, Paolini in fondo con le sue algide opere si mostrava sempre come un geniale teorico, capace di formulare continuamente domande ineludibili sui principi fondamentali del vedere. A questo drappello si deve aggiungere Alighiero Boetti con le sue opere, che nel proseguo del tempo, avvicinandosi all'Oriente Asiatico trasformava in quadri ricamati con lettere alfabetiche, che formavano pensieri fulminanti, o carte geografiche dedicate a evidenziare contraddizioni e conflitti nel mondo. Singolare e coinvolgente, negli anni '60, è stato il lavoro di Piero Fogliati, che si confrontava con la scienza e allineava all'interno del suo fare rigoroso, le immagini dell'atomo, della luce, usando anche il suono, l'acqua, per creare imprevedibili combinazioni poetiche delle cose, che modificava fantasiosamente per creare l'idea poetica e utopica di una sua città fantastica.
Ma facendo un passo indietro dal 1964 troviamo che la Pop Art ha invaso lo spazio dell'esistenza allineandosi alla condizione dell'happening, siamo di fronte al concetto di banalità, e casualità quotidiana, riscoperte e lette in modo da farne affiorare possibilità estetiche ironicamente significanti. Questa generazione di artisti che trovava il proprio comune denominatore nella riabilitazione dell'immagine e nell'atteggiamento di accettazione e di recupero dello stereotipo, si presentava comunque ricca di identità e differenze. Aldo Mondino si richiamava esplicitamente al mondo infantile, ludico, che poi trascinava in un viaggio per i luoghi dell'anima di tutto il mondo, specie in oriente dove rubava idee e immagini di quei luoghi, fascinosi per ironia e luminosità.
A un simile riabilitazione del gioco - anche con registrazioni filmiche - si è dedicato Ugo Nespolo, il quale ha inteso mettere in scena il mondo finto e cartellonistico che ci circonda ogni giorno, traducendolo, con molto humour, con la tecnica del puzzle in quadri di legno dipinto. Piero Gilardi con i suoi tappeti-natura in gommapiuma - che contrapponevano in un illusionistica sintesi, natura e tecnica –simulava orti, giardini, sassi, fiori, frutta, fatti per ingannare con la perfezione della fattura e del colore.
Si cercava una spettacolarizzazione del quotidiano, di origine futurista, con la sua ansia di totalizzazione, con un linguaggio che mescolava segni organici e disorganici, artificiali e naturali, la cui conseguenza era una pluralità di linguaggi, all'interno dei quali esisteva il massimo grado di fluidità.
Tra la fine degli anni '60 e '70, in America come in Italia, veniva avanti una riflessione sul quadro inteso come spazio specifico della pittura. Chi ha indagato davvero gli strumenti del linguaggio pittorico e il suo rapporto strutturale con la tela e la superficie, ha provato anche a ribaltarlo, a mescolare la percezione visiva alla lettura mentale, a riportare la scrittura alla sua matrice materiale, a negare l'oggettualità stessa della forma.
Giorgio Griffa cercava di indagare con il segno elementare un campo che aveva l'estensione dell'apertura delle sue braccia, ed era delimitato soltanto dall'orlo libero del tessuto di tela grezza. Il risultato del suo lavoro presentava sequenze di linee, mai uguali, che determinavano un'addizione, somma di porzioni di spazio-tempo aspiranti all'infinito.
Marco Gastini introduceva in quel periodo - come peraltro oggi - materiali inusitati, secondo i canoni della pittura tradizionale, ovvero (vetro, plexiglas, stok-fiber, nitro, piombo, e smalti), sono affiorate in un secondo tempo campiture di punti e linee, tracciati o graffiati, e ancora le macchie di colore sul plexiglas, tutto lavorava per affermare la disseminazione dei segni che sembravano visualizzare l'instabilità dello spazio, la sua trama di tensioni e di ritmi musicali.
E' stato Salvo, con i quadri di San Michele, o San Giorgio, a sottolineare la tendenza ad un ritorno alla pittura, per lui certo felice - in un contesto torinese ancora tutto poverista - per intraprendere un nuovo viaggio iniziatico di autoriconoscimento, con una iconografia legata ai sussulti di un ego carico di un turgore sia intellettuale che cromatico, legato a un sofisticato racconto favolistico. Anche Luigi Mainolfi ha iniziato la sua attività a Torino, verso il 1977, con un lavoro molto felice in terracotta, che rimanda alle sue origini storiche e geografiche. Mainolfi, scultore caudino, è permeato di cultura mediterranea ricca di figure tentatrici, esseri che combinano, talora, sembianze animali con parti umane, letture fantastiche dell'astro solare, che si legano con il rosso sanguigno delle colline metallifere della sua terra.
Se nel corso degli anni Settanta il boom del mercato appiattisce ogni proposta, rendendo indistinguibili i prodotti dell'arte, cionondimeno a Torino si levava la voce della pittura di Nicola De Maria, che cercava stimoli nelle figure di un'astrazione sostanziata di luce e poesia, espressione di profondi stati sensitivi e di intensa reattività emotiva che favoriva i voli enigmatici della psiche.
All'inizio degli anni Ottanta ci rendiamo conto che i mass-media sono una delle cause di un nuovo essere dell'uomo, individuo plurimo e sciolto nel flusso della società dello spettacolo che lo circonda, in cui è immersa anche Torino con le sue molte industrie. L'idea dell'oggetto che si trova in molte opere passa sotto la crosta industriale ed elettronica, sino a sfociare alla metà degli anni '80 in nuovi esiti che indicano il bisogno di oltrepassare la soglia di pura datità dei materiali, per recuperare nuovi segni culturali, memoriali, sociali, che andavano nella direzione di una pittura, di una scultura, di installazioni, che non si fermano solo
dinnanzi all'eros voluttuoso della creazione. Le asprezze polemiche contro il concettualismo avevano fatto il loro tempo, così non poteva che nascere una generazione di artisti che pur portando in sè le tracce del disincanto dalla società opulenta, ha afferrato con forza il manubrio dell'impegno, o della polemica contro la mamma che li nutriva.
I lavori scelti per questa mostra sono legati a un clima dove non esiste un tema o un problema prevalente, piuttosto si ha a che fare con le molteplici modalità del soggetto, che può essere dilatato in tante direzioni. A dimostrazione di questi assunti stanno le sculture in acciaio che si muovono all'interno di strutture dinamiche creanti flussi energetici di Riccardo Cordero, o quelle di Massimo Ghiotti, che recuperando ferri da grandi macchine, riesce a trasmettere sensi di classica armonia e di tesissimi percorsi spaziali, o installazioni di Claudio Rotta Loria giocate sulla leggerezza del volo, del movimento, dei materiali imprevedibili e pittorici.
La generazione seguente di artisti piemontesi è qui rappresentata dalla pittura violenta e plumbea di Sergio Ragalzi, dalla scultura costruita con bitume dipinto di Luigi Stoisa, dalle tele su cui si annidano i germi della solitudine del nostro tempo di Salvatore Astore, dalle atmosfere sospese e visionarie di Mauro Benetti, dai paesaggi sconvolti da esplosioni di luce distruttiva di Pier Luigi Pusole, dalle figure sfocate immerse in un quotidiano differente e enigmatico, di Daniele Galliano, dalle installazioni di Mirko Marchelli che parlano il linguaggio di un diario autoreferenziale, cosi come le mani metalliche intrecciate strettamente e indissolubilmente di Marco Porta postulano l'utopia dell'unità dei popoli. Enrica Borghi propone una ironico e sgargiante elefantino rivestito da finte unghie femminili, paradossale sottolineatura metaforica dei miti femminili che si sommano alle mutazioni del nostro tempo.
Felice è anche il bassorilievo di plastilina affogato nella cera di Francesco Sena con le sue stratificazioni di tempo-memoria e di una luce interna che filtrando dall'interno dona levità all'immagine, il lavoro di Andrea Massaioli invece insite su icone di animali che legge con forte patos drammatico. L'ultima parte della mostra dedicata alla scultura giovane, trova collocazione in capitolo specifico del catalogo, commentato da Alessandro Carrer.
Il gruppo delle immagini fotografiche si materializza enfatizzando il gioco delle luci e delle ombre, l'alternarsi dello sfocato e del nitido, dei riflessi che moltiplicano gli spazi reali e virtuali, enigmi e leggi matematiche di un paesaggio preconcetto. Troviamo altresì ambientazione astratte di oggetti reali, al confine tra disegno e fotografia, paradosso e mistero del mondo, magari quello virtuale degli avatar. Tutto questo, e altro, negli scatti di :Giulia Caira, Maura Banfo, Silvano Costanzo, Gioberto e Noro, Ennio Bertrand, Marzia Migliora.
Questa vasta mostra vuole porsi come un censimento, sicuramente molto lacunoso-- legato magari e necessariamente, a vissuti e interessi personali e storici del curatore -- di quanto è avvenuto in Piemonte nel mondo dell'arte nell'arco lungo di un secolo difficile, guerrigliero, che ha visto le tenebre dell'orrore più grande, ma anche ricco di cambiamenti a vista dei modi di vivere e di concepire i valori autentici dell'esistenza, di rapportarsi ad altre culture, intenzionato a camminare su sentieri che attraversano l'etica e le ideologie. Questa trattazione del Novecento, e Oltre, piemontese, di proposito evita eccessi di informazione anedottica o bibliografica, cercando di conciliare i caratteri specifici di quanto trattato con il profilo generale del movimento cui l'artista leader ha dato il suo apporto, favorendo quindi una cornice sintetica in cui si muovono agevolmente i singoli autori.

* Dal catalogo Silvana editoriale

Informazioni

'900. Cento anni di creatività in Piemonte


Luogo: Alessandria - Palazzo Monferrato e Palazzo Cuttica
Novi Ligure - Museo dei Campionissimi
Acqui Terme - Movicentro
Valenza - Oratorio di San Bartolomeo

Periodo: dal 5 dicembre 2008 al 29 marzo 2009

Orari: dal martedì alla domenica, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00. Chiuso lunedì. Apertura straordinaria, lunedì 8 dicembre. Chiuso Natale e 1° gennaio

Ingresso: il biglietto consente di visitare tutte le sedi della mostra: 7, 00 Euro intero; 5, 00 Euro ridotto (per gruppi di almeno 15 visitatori, maggiori di 65 anni, ragazzi dai 13 ai 18 anni, studenti universitari e titolari di apposite convenzioni); 3, 50 Euro ridotto speciale (bambini dai 6 ai 12 anni, scuole elementari e superiori); 1, 00 Euro (scuole elementari, medie e superiori che prenotano la visita guidata-laboratorio didattico); gratuito (per minori di 6 anni, disabili, insegnanti accompagnatori, giornalisti con tesserino e guide turistiche nell'esercizio della propria attività)

Catalogo: Silvana Editoriale

Info: tel. 199 199 111
Palazzo del Monferrato: numero verde 848 886622 - 199 199111;
Palazzo Cuttica: Assessorato Cultura e Turismo Comune di Alessandria tel. 0131 40035
Museo dei Campionissimi: I.A.T. tel. 0143 72585
Movicentro: I.A.T. tel. 0144 322142
Oratorio San Bartolomeo: Centro Comunale di Cultura di Valenza tel. 0131 949287