Arte

I Cappuccini e i Promessi Sposi
Storia, Arte e Spiritualità nella Milano del '600 e nella memoria manzoniana

Milano - Museo dei Beni Culturali Cappuccini
Dal 30 novembre 2007 al 2 marzo 2008

Il Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Milano intende presentare l'azione pastorale e di assistenza dei frati cappuccini così come fu descritta da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi, ripercorrendo i passaggi storici della presenza dei frati cappuccini a Milano e in particolare nella zona di Porta Orientale (oggi Porta Venezia). Il percorso, segnato dalla rilettura di alcuni brani del romanzo e dalla presentazione di diverse pagine illustrate, è affiancato da oggetti ed opere facenti parte del patrimonio dei Beni Culturali Cappucci, incrementato da opere di diversa provenienza una parte delle quali si trovava nella Chiesa dell'Immacolata Concezione e nell'antico convento di Porta Orientale. L'iniziativa nasce nel desiderio di ricostruire la spiritualità e la storia francescana e cappuccina, attraverso importanti opere d'arte del Seicento Lombardo, e opere ottocentesche che riportano la memoria manzoniana.
La mostra nasce a seguito degli eventi realizzati su iniziativa di Opera San Francesco per i Poveri, in collaborazione con il Museo dei Beni Culturali Cappuccini, per la festa di San Francesco, “Insieme a San Francesco Oggi edizione 2007”. In tale occasione, in due brevi esposizioni in due sedi diverse (chiesa di San Carlo al Lazzaretto e chiostro del convento dei frati Cappuccini di viale Piave) in due brevi esposizioni si è illustrato l'impegno dei frati cappuccini nelle opere di misericordia, tracciando dei paralleli tra quanto descritto dal Manzoni ne I Promessi Sposi, e quanto è stato svolto, in tempi più recenti, da sante figure di Cappuccini che hanno vissuto nel convento di viale Piave in Milano. La presente esposizione realizzata presso il Museo dei Beni Culturali Cappuccini è l'occasione di ripercorrere, attraverso la testimonianza del romanzo manzoniano, la storia della presenza dei frati Cappuccini al tempo delle epidemie di peste che colpirono Milano nel 1576 e nel 1630. Si svolge quindi secondo due percorsi: uno incentrato sulla storia e l'arte tra la fine del Cinquecento e il Seicento, nel tempo storico del primo secolo di vita dell'ordine dei frati Minori Cappuccini e della loro presenza a Milano e in Lombardia.
Il secondo percorso si affida alla memoria storica manzoniana sia nella rilettura dei testi sia nelle
nelle illustrazioni che vennero prodotte. Viene dato, inoltre, largo spazio alla ricostruzione della storia del Lazzaretto di Milano, con il desiderio di presentare una parte del contesto storico, culturale religioso connesso con la realtà dei frati cappuccini.

I Cappuccini e il Lazzaretto di Porta Orientale
“Il lazzeretto di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle mani di qualcheduno che non lo conoscesse, né di vista né per descrizione) è un recinto quadrilatero e quasi quadrato, fuori della città, a sinistra della porta detta orientale, distante dalle mura lo spazio della fossa, d'una strada di circonvallazione, e d'una gora che gira il recinto medesimo.”
Il primo Lazzaretto, inteso come luogo di isolamento di malati contagiosi, venne realizzato nell'isola veneziana di Santa Maria di Nazareth nel 1423. Quest'isola era abitata dal 1249 dai Padri Eremitani che vi avevano eretto una chiesa, consacrata a Santa Maria di Nazareth, e un ricovero per i pellegrini della Terrasanta. Nei primi decenni del secolo XV, dietro consiglio di San Bernardino da Siena, a causa della diminuzione dei frati della comunità, il Senato della Repubblica deliberò l'utilizzo del ricovero per persone e merci provenienti da paesi infetti, allo scopo di isolarli dai sani per evirare la diffusione del contagio.
È probabilmente anche a causa dell'origine che si ritiene che il termine "Lazzaretto" derivi dal nome "Nazaretum", quale semplificazione dell'indicazione toponomastica dell'isola di Santa Maria di Nazareth, contaminato con il nome Lazzaro, riferito al povero della parabola evangelica del “Ricco Epulone e il povero Lazzaro” (Luca 16, 19-31). Lazzaro, infatti, viene descritto non solo come povero mendicante, ma anche malato “pieno di ulcere” evidentemente, nella lettura popolare, assimilabili alle piaghe causate dalla peste.
Quando il governo cittadino di Milano si interessa per la costruzione di un Lazzaretto, la città ha già subito lungo la sua storia diverse pestilenze (non meno di venti dall'inizio del Trecento e la metà del Quattrocento), ma ora, poco oltre la metà del secolo XV, si è almeno consapevoli che la diffusione di tale malattia omicida avviene tramite contagio e che la forza della sua furia si può in parte attenuare almeno attraverso l'isolamento dei malati.
Il primo progetto riferibile al lazzaretto per Milano è datato 1468, ad opera di Elia Reina, ingegnere già attivo nel cantiere dell'Ospedale Maggiore e segue la sollecita iniziativa di Lazzaro Cairati notaio dello stesso Ospedale e noto filantropo. Fin dall'inizio il progetto di lazzaretto si discosta da quello di un semplice edificio atto a funzioni ospedaliere per configurarsi invece, chiaramente, come vera e propria cittadella dei malati che possono essere ospitati e curati in un numero assai elevato di stanze autonome (come casette), e che sia da edificarsi all'esterno delle mura cittadine. I primi chiari riferimenti architettonici sono da ricondursi alle esperienze del Filarete (ripresa di soluzioni attuate nell'Ospedale Maggiore), ma il progetto risulta troppo costoso e, nonostante il favore del duca Galeazzo Maria Sforza, non viene attuato.
A vent'anni da questi fatti è la necessità che porta a riparlare di lazzaretto: nuove avvisaglie di un'epidemia convincono la corte ducale ad accogliere le insistenti richieste provenienti ancora da Lazzaro Cairati e da un Consilium medicorum dell'Ospedale Maggiore. Viene ricercato il luogo adatto (che vent'anni prima era stato individuato in loco Crescenzago) e, in seguito a sopralluogo e verifiche da parte dalla commissione sanitaria, si elegge quale terreno edificabile a questo scopo un'area nella zona fuori Porta Orientale, oltre a Redefossi, presso San Gregorio. Il 27 giugno 1489, si affida l'incarico dei lavori a Lazzaro Palazzi. Questi ne segue i lavori fino alla morte (1507). A lui succede nei due anni seguenti l'ingegnere Bartolomeo Cozzi e poi, nel 1511, Giovanni Antonio Amadeo. Si porta così a termine un'opera imponente: un recinto quadrato di 355 metri di lato, circondato da un fossato pieno d'acqua e con un unico ingresso sorvegliato da soldati. All'interno la sua capacità e di 288 celle per gli appestati ed è tutto percorso da un portico di 504 arcate. Nelle scelte architettoniche il Lazzaretto pare seguire il modello che il Filarete aveva pensato per l'Ospedale Maggiore: medesimo impiego della terracotta, simili gli elementi decorativi e le scelte di funzionalità e per l'autosufficienza del luogo. Al centro del grande recinto vi sorge, fin dall'origine una cappella con un altare che può essere visto da ogni lato affinché tutti i malati possano seguire la celebrazione senza dover lasciare il proprio ricovero. Oltre a ciò si nota una curiosa ricorrenza di particolari misure in tutta la costruzione: il ritorno di determinati numeri ( ad esempio 4, 7, 12, 16, 144…) possono essere messi in relazione all'attenzione per i numeri simbolici e riferimenti alla cabala, probabilmente legati alla presenza a Milano di Pico della Mirandola.

La chiesa del Lazzaretto
Fin dal primo progetto del Lazzaretto si era pensato ad una chiesa da costruirsi al centro del grande quadrilatero. L'iniziativa va ricondotta a Lazzaro Cairati, il principale promotore di quest'opera che in più riprese sollecita il Duca di Milano affinché confermi gli stanziamenti e metta gli architetti in condizione di realizzare il progetto.
Probabilmente nulla viene costruito fino almeno al 1520, e quanto risulta essere eretto e in funzione negli anni successivi, è una semplice cappella - un “sacello” così definito negli scritti contemporanei-, dedicata a san Gregorio. Secondo fonti documentarie la piccola cappella è a forma quadrata e aperta sui quattro lati per permettere a tutti i malati di assistere alla celebrazione pure da lontano e senza abbandonare la propria camera.
Durante la peste del 1576 la chiesa viene usata così come è, ma successivamente, nel 1580, San Carlo, che durante l'epidemia ne aveva riconosciuto l'insufficienza, ordina che si provveda alla costruzione di una nuova chiesa che segua, inoltre, i nuovi dettami per l'arte sacra frutto del Concilio di Trento. Per questo il progetto viene affidato a Pellegrino Tibaldi, l'architetto che per il Borrromeo è in grado di interpretare al meglio le nuove richieste della Chiesa della Controriforma.
Nel 1585 comincia la costruzione della piccola chiesa dedicata a Santa Maria della Sanità e che segue, dunque, il nuovo progetto: l'edificio è a pianta centrale, di forma ottagonale, presentandosi nell'aspetto come un'edicola, poiché non vi sono pareti chiuse e la conseguente apertura da ogni lato permette che il celebrante possa essere visto da ogni parte del Lazzaretto. I lati, tutti uguali, sono costituiti da un motivo a serliana inquadrato da due lesene. Sopra, un'alta trabeazione è base per la copertura. All'interno vi è un altro giro di colonne e pilastri che sostengono la cupola sotto cui è posto l'altare. L'opera è conclusa solo nel 1592.
La prima trasformazione avviene nel 1797, con l'arrivo dei francesi. Il Lazzaretto è trasformato in Campo della Confederazione e di conseguenza viene demolita la cupola della piccola chiesa per potervi collocare una grande fiamma (dietro progetto del Piermarini) simbolo dell'amore di patria. Grazie alla sola documentazione iconografica (le antiche stampe riferite a quegli anni) pare che la chiesa risultasse già in parte modificata, con le pareti non più aperte come in origine, ma chiuse da muri.
Nel 1881, quando si decide per la demolizione del Lazzaretto, la chiesa viene risparmiata e, nel 1884 viene restaurata con la costruzione di una lanterna e, dedicata a San Carlo, riaperta al culto.

I Cappuccini e il Convento di Porta Orientale
Il convento dell'Immacolata Concezione, detto poi convento di Porta Orientale, fu fondato nel 1591, cinquantasei anni dopo l'arrivo a Milano dei frati cappuccini e dopo che gli stessi frati avevano prestato servizio al Lazzaretto durante la peste del 1576. La nuova chiesa e il nuovo convento furono eretti grazie alle generose offerte dei privati e grazie a contributi pubblici, in virtù dell'affetto maturato da tutta la città nei confronti dei Cappuccini grazie all'instancabile opera di assistenza durante l'appena passata pestilenza. La chiesa fu costruita tra il maggio del 1593 (la posa della prima pietra avvenne presente il cardinale Gaspare Visconti), e il mese di giugno del 1599, quando, il giorno 13, venne benedetta. La solenne consacrazione, con dedicazione all'Immacolata Concezione, da parte del cardinale Federico Borromeo avvenne nel 1603. Quanto oggi si può ricostruire della memoria della chiesa e del convento di Porta Orientale si basa su una scarsa documentazione iconografica e su alcune descrizioni derivate dalle antiche guide cittadine. Preceduta da una piccola piazza, poco più che uno slargo, la chiesa era molto semplice, secondo l'uso cappuccino: ad una sola navata, con coro e due cappelle per lato. Tra le opere che facevano ornamento agli altari figuravano quadri di artisti tra i più importanti e attivi nella Milano Borromaica: Camillo Procaccini, il Cerano e Carlo Francesco Nuvolone. Le antiche guide riportano che sulla facciata vi fosse un affresco del Cerano. Tutto il complesso del convento risulta essere stato ampliato in seguito alla peste del 1630. Verso la fine del Secolo risulta essere un luogo in cui si uniscono armoniosamente fede, arte e spiritualità, all'interno della città d Milano, se ci affidiamo alla descrizione che ne fa Carlo Torre: “in questi Chiostri altro non evvi di vasto, che la solitudine; fra di lori i Cittadini Milanesi sanno cogliere quella Pace dell'animo, che non sa trovar Porto negli ondeggiamenti degli affari; per tanto veggonsi d'ogn'ora in passeggio, per ricrearsi varie qualificate persone, quivi allettate dalle delizie, che trasmettono, riesce poi difficile l'uscita, se s'incontrò facile l'entrata.” (pp. 288-89)
Il convento di Porta Orientale divenne il cuore della Provincia milanese dei frati Cappuccini: qui venne collocata l'infermeria provinciale e anche lo Studio generale dei Cappuccini L'esistenza del convento si chiude il 26 aprile del 1810, a causa delle soppressioni napoleoniche. La chiesa dell'Immacolata verrà demolita e al suo posto sorgerà il palazzo Rocca-Saporiti.

I Cappuccini ne I Promessi Sposi
Per molti il romanzo manzoniano è la fonte privilegiata per la conoscenza di un periodo della nostra storia. Quanto pensiamo di conoscere sulla situazione dello Stato di Milano nel primo Seicento ci deriva in effetti dal contesto delle vicende che riguardano i protagonisti de I Promessi Sposi. Tutto questo ci è giunto attraverso il filtro di Alessandro Manzoni che tra una vicenda e l'altra intesse la storia con lunghe digressioni sulle vicende del tempo. Così conosciamo il Seicento visto dall'Ottocento, sapendo anche che il Manzoni intendeva parlare del passato facendo allusione al presente. Tra i personaggi che si muovono sul palcoscenico de i Promessi Sposi, più volte compaiono i frati Cappuccini (in origine si erano chiamati “frati minori di vita eremitica” ma ebbe la meglio la voce popolare che li identificava per il lungo cappuccio e il loro ruvido). Difficile dimenticare le figure di padre Cristoforo, fra Galdino o padre Felice Casati… Alcuni di essi sono personaggi realmente esistiti, figure di innegabile statura che fanno parte a pieno titolo della storia civile e non solo della storia dell'Ordine. Altri vengono modellati dal Manzoni sulla base di documentazione storica e grazie a quanto egli stesso può ancora vedere nelle persone dei Cappuccini a Milano. Le descrizioni dei diversi frati all'interno del romanzo è fin dall'inizio anche stata accompagnata da illustrazioni. Compito non facile cui si dedicarono diversi artisti, disegnatori e incisori, dando il massimo della popolarità a quei personaggi. Tra questi Gallo Gallina (1796-1874); Focosi Roberto(1806-1863); Francesco Gonin (1808-1889) che fu illustratore, litografo e pittore. Realizzò i disegni per le illustrazioni dell'edizione del 1840 de I Promessi Sposi che ebbe grande fortuna e numerose edizioni successive. Va ricordato ancora il romano Bartolomeo Pinelli Pinelli (1781 - 1835). Le edizioni illustrate si sono moltiplicate, anche vendute a dispense, così come le varie versioni di alcune scene particolari della storia
La selezione di opere presentate predilige le immagini dove siano presenti i frati, mostrando anche ristampe piuttosto recenti delle serie più fortunate e preziose. Qualche oggetto, autentico, facente parte della vera storia dei frati cappuccini, come la cesta della questua, si accompagna alla fonte iconografica per un confronto.