Arte

Balkani. Antiche civiltà fra Danubio e Adriatico

Adria  (Ro) - Museo nazionale Archeologico (Parco del Delta del Po)
Dall'8 luglio 2007 al 13 gennaio 2008

Questa mostra è realmente imperdibile. Per più ragioni. Perché presenta, per la prima volta al di fuori dei territori della ex Jugoslavia il meglio del meglio delle eccezionali raccolte archeologiche del Museo Nazionale di Belgrado; raccolte che dai tempi della recente guerra degli anni 90 del Novecento sono custodite all'interno di camere blindate e che torneranno ad essere esposte nella capitale serba solo dopo il 2010, quando il Museo di Belgrado sarà di nuovo accessibile, dopo radicali restauri.

Maschera funeraria

Maschera funeraria
Da Trebeniste, VI sec. a. C.

Poi, perché molte delle 250 opere esposte in mostra meriterebbero, da sole, un viaggio ad Adria: ad essere stati concessi dal Museo serbo non sono, infatti, i reperti minori, ma i veri capolavori delle collezioni Greca e Romana, opere sicuramente non prestabili in altra occasione, patrimonio unico della storia della Nazione.
E infine perché la grandiosa esposizione celebra l'apertura - attesa da cinque anni - della ricchissima Sezione Etrusca del museo che la ospita, ovvero il Museo Archeologico Nazionale di Adria. Un Museo che in questi anni, grazie ai fondi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed Ambientali, de Il gioco del Lotto e della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, è stato completamente rinnovato, oltre che ampliato. La nuova Sezione Etrusca, che si unisce al Lapidario recentemente inaugurato, presenta il meglio degli oltre 60 mila reperti di epoca preromana conservati ad Adria: ceramiche, bronzi, ambre per ricordare il ruolo di una città che fu tanto importante da dare il suo nome ad un mare e di un territorio ricchissimo di insediamenti, alcuni dei quali oggi oggetto di scavo. Tra i tesori del Museo di Adria, il maggiore è dato dalla celeberrima Tomba della Biga, un unicum a livello mondiale, un enigma che nemmeno gli studi più recenti sono riusciti a risolvere.

Ceramica greca figurata

Ceramica greca figurata
V - IV sec. a. C.
Da scavi nei pressi del Lago di Ocrida

Se il Museo Archeologico Nazionale documenta le vicende di questa terra, la mostra Balkani - voluta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo - racconta la storia di molti popoli, di principi e guerrieri che nel millennio compreso tra l'ottavo secolo avanti Cristo e l'affermarsi della presenza romana (secondo dopo Cristo) abitarono, governarono o si contesero le terre bagnate dal Danubio e dalla Stava, fino all'Adriatico orientale.

Ritratto del padre di Traiano

Ritratto del padre di Traiano
Bronzo con tracce di doratura
Da Kostol, Pontes, Ponte di Traiano, fine del I sec. d. C.
Belgrado, Museo Nazionale

Satiro danzante

Satiro danzante
Bronzo
II sec. a. C.
Da Stobi

In mostra sono esposti tesori principeschi, spesso realizzati tra Atene e Sparta o in Magna Grecia, per non dire di quanto proviene dall'Italia antica: esempi nobilissimi di tecniche raffinatissime raggiunte in antico nella lavorazione dell'oro, dell'argento, del bronzo e del ferro, come pure dell'ambra
balcanica e della ceramica. Sono oggetti d'ornamento personale o della mensa, oppure armi e marmi scolpiti, capolavori acquistati dai principi locali spesso tramite i mercanti greci, opere di grande bellezza tanto da diventare prototipi su cui si basano successivamente gli artisti locali, che elaborano nuove forme, prodotti di una nuova cultura figurativa.
Valga per tutti la Maschera di Trebenište, destinata - come la celebre Maschera di Agamennone, di età micenea - a modellare in oro le fattezze del principe e ad immortalarle per l'eternità; o i due vivissimi, grandi satiri in bronzo di fattura ellenistica del secondo secolo avanti Cristo; o ancora l'incredibile Tesoro ritrovato nei pressi di Novi Pazar, in un luogo verosimilmente da sempre considerato sacro e inviolabile, e protetto nei secoli al di sotto di una chiesa altomedievale, sino al rinvenimento casualmente avvenuto nel 1957.

Tesoro da mensa in argento

Tesoro da mensa in argento
Da Jabucje, I sec. d.C.

Di fattura arcaica è il cosiddetto Magnifico Cratere, uno dei quattro ritrovati al di fuori dell'ambiente propriamente greco, un manufatto in bronzo di grandi dimensioni e capolavoro della toreutica greca, che Adria ha ottenuto eccezionalmente in prestito, rubandolo al Metropolitan Museum di New York che intendeva presentarlo al pubblico d'Oltreoceano nel 2007.

Fabbro al lavoro, particolare

Fabbro al lavoro, particolare
Bronzo del VIII sec. a. C.

Di epoca romana sono il potente ritratto bronzeo del padre di Traiano, proveniente dalla decorazione della porta di accesso sul celebre ponte fatto erigere dall'imperatore sul Danubio ad opera di Apollodoro di Damasco, e due maschere di elmo da parata, perfettamente conservate, destinate a coprire il volto di qualche generale durante parate militari celebrative di vittorie e trionfi. Oro, argento, ambra sono costantemente presenti in fogge e con usi sempre diversi in questa mostra. Come il bronzo, con cui è stata realizzata otto secoli prima della nostra era, una delle opere che sicuramente colpiranno maggiormente il visitatore: una statuina di fabbro, intento a lavorare all'incudine un utensile o un'arma. Antichissimo eppure contemporaneo per sintesi di movimento e forza.
Tra questo piccolo, stupefacente bronzetto e il grande bronzo del ritratto del padre di Traiano è compreso un millennio di storia, qui raccontata da una sequenza mozzafiato di opere d'arte, testimonianze superbe di civiltà e popoli talvolta ignoti, anche perché privi dell'uso della scrittura.

Tutto intorno alla mostra e al museo rinnovato c'è un territorio paesaggisticamente tra i più affascinanti d'Europa, il Parco Regionale Veneto del Delta del Po: un immenso intrico d'acque e terre, spiagge e lagune che compongono un'area naturalistica unica al mondo, da scoprire in auto ma anche in barca o in bicicletta, a cavallo o, come fece Dante secoli fa, a piedi.

E' qui, tra i canneti dell'affascinante paesaggio lacustre in prossimità del mare e i verdissimi coltivi delle fertili terre bagnate dall' Adige e dal Po, che stanno affiorando le testimonianze più antiche della Mesopotamia d'Europa, come è stato definito giustamente questo territorio: necropoli etrusche e ville romane, a ricordarci gli antichi abitanti e i frequentatori di questi luoghi, come gli Etruschi, i Veneti, i Celti, i Greci e i Siracusani, fino ai Romani.

Un itinerario, che ha inizio proprio dal Museo Archeologico di Adria, porta a scoprire queste testimonianze nascoste all'interno di un ambiente emozionante, dove la natura ha ancora il sapore dell'autenticità.


Balkani:  antichi   popoli   tra Danubio, Drava, Sava e Mediterraneo
A partire dall'VIII sec. a.C. - epoca intorno alla quale ha inizio il percorso espositivo della mostra di Adria - nell'aria alto e medio danubiana si diffonde la cultura di Hallstatt, cosi denominata dalla località austriaca in cui gli scavi archeologici riportarono alla luce  i primi e significativi reperti.

La sua fase centrale più riconoscibile (detta Hallstatt C e D) corrisponde alla prima grande cultura del ferro in Europa centrale e occidentale. Databile tra IX e V sec. a. C., è contraddistinta dal rinvenimento di grandi tombe aristocratiche coperte a tumulo, contenenti spesso ricchissimi corredi di guerrieri. Questi sono in gran parte composti da oggetti che richiamano la ricchezza, il prestigio e la potenza militare del defunto e denunciano una fitta rete di traffici commerciali di beni e materiali preziosi tra l'area danubiana e il Mediterraneo e anche il Mare del Nord, con un contributo locale fatto soprattutto di manodopera specializzata nella realizzazione e decorazione di oggetti in materiali metallici o preziosi (oro, argento e bronzo).

E' una cultura, la nostra, che si avvicina a quanto si è ritrovato nei kurgan in Ucraina, o nelle tombe proto-etrusche nella Toscana meridionale e a Verucchio, nei pressi di Rimini: cioè, una diffusa rete di villaggi fortificati con una casta dominante in possesso sia del potere religioso che di quello militare, che svolgeva nel proprio "palazzo" tutte le attività connesse ai propri interessi che, nella maggior parte dei casi, erano quelli  del territorio da essa dominato.

 I principi, o capi-tribù, mantenevano buoni rapporti coi vicini, oppure intraprendevano guerre contro gli stessi, con l'intento di allontanarne il pericolo sulle proprie terre. Ospitavano commercianti carovanieri, dapprima quasi esclusivamente greci, offrendo il meglio e l'originale della produzione locale in cambio di beni di lusso e di tecnologie avanzate; organizzavano e celebravano sia riti religiosi che proteggevano la comunità che quelli funerari.
 
Le società tribali presenti allora in una vasta parte del territorio europeo, compreso tra la Francia meridionale e la Transilvania, includente quindi l'area balcanica, erano sicuramente più complesse di quanto il dato storico ed archeologico ci permetta oggi di apprezzare. Molto delle stesse ci sfugge, poiché si tratta di culture prive di scrittura e poco dedite anche alla raffigurazione artistica. Tuttavia la struttura delle stesse, le pratiche, i riti e le credenze religiose sembrano diffondersi con caratteri simili di lì, anche nella pianura sarmatica meridionale e in Crimea, grazie anche al contatto di queste popolazioni con i Greci.

Il passaggio dalla cultura di Hallstatt alle culture celtiche più definite non fu, ovviamente, tranquillo e  neppure diretto. Come ci ha indicato l'archeologia, esso avvenne durante il VI secolo a.C., quando è documentato il passaggio, proprio nell'area medio-danubiana, di popolazioni di cultura più orientale, di tipo Scitico. Si tratta di genti definite dalla letteratura antica greca anche col termine di Traci o di  Cimmeri, e  che presentano aspetti simili a quelli delle popolazioni stanziatesi allora lungo la costa del mar Nero, dal delta del  Danubio alla Crimea.
Tra queste erano i Triballi, i quali sembrano provenire in origine dall'odierna Moravia per poi transitare  nell'odierno Kosovo e successivamente fermarsi a lungo sul Danubio nell'area dell'attuale Vojvodina, dove vennero poi sottomessi dai Macedoni.
Questi abitavano la Macedonia, regione nel nord dell'antica Grecia, confinante con l'Epiro ad ovest - coincidente grossomodo con l'attuale Albania - e la Tracia ad est. La loro origine etnica (greca o traco-illirica) è discussa, come lo è la lingua che inizialmente parlavano (un dialetto greco, ovvero una lingua differente dal greco) In ogni caso furono in seguito assorbiti nella koinè greca in periodo ellenistico. I Macedoni si trovarono isolati rispetto allo sviluppo della civiltà e della cultura greca fino al V sec. a.C. e le loro tradizioni religiose, politiche e culturali sembrerebbero derivare da quelle greche di epoca omerica, in accordo con il racconto di Erodoto. Durante il loro successivo isolamento subirono tuttavia influenze dalle popolazioni della  Tracia e dell'Illiria e ciò spinse molti Greci a considerarli come stranieri o "barbari".
Sono numerose le testimonianze che ci parlano dei Geti, presenti lungo il basso corso del Danubio e attorno alle sue foci almeno a partire dal VII sec. a.C.: il precoce contatto coi Greci li portò a fondare colonie e a formare organismi statali più avanzati, dai quali sorse il regno Odrisio, che godette di  un certo prestigio e potere tra V e III sec. a.C. nella penisola Balcanica, in corrispondenza del basso corso del Danubio.
Da essi derivano direttamente i Daci (termine con cui i Romani definiscono in realtà i Geti), Il regno dacico, instauratosi intorno alla fine del III sec. a C. nella regione carpatico-danubiana, ebbe termine nel 102 d.C. ad opera dell'imperatore Traiano che  intraprese più campagne militari contro questa popolazione piuttosto irrequieta, per  sottometterla poi nel 107 d.C..
Alla cultura e al ceppo scitico appartengono invece gli Iazygi, che  sono attestati sul mar d'Azov nel III sec. a.C. e, all'inizio del I sec. a.C., sulla riva del Danubio, dove saranno poi sconfitti dai Romani.

Tuttavia le spinte maggiori di spostamento di popolazioni avvengono ancora da nord-ovest, dalle stesse aree di provenienza della cultura di Halstatt: di qui, grossomodo nelle  stesse regioni, ha origine intorno al V secolo a.C. la cultura di La Tène - così denominata dai ritrovamenti effettuati nel villaggio omonimo nei pressi di Neuchatel in Svizzera - che è considerata la protocultura di tutti i popoli Celti.  Da essa derivano le culture contro le quali combatteranno i Romani in pianura Padana, in Gallia, ma anche lungo il Danubio.

Di cultura celtica erano gli Scordisci, che abitavano le basse valli della Sava e della Drava e la corrispondente parte della valle danubiana. Questi, presenti nella zona intorno metà del IV sec. a.C., sii scontreranno dapprima con i Greci all'inizio del secolo successivo (erano probabilmente i Galati,  che violarono Delfi nel 279 a.C., per poi insediarsi, una volta ricacciati, nell'Anatolia centrale e probabilmente dell'area della Serbia attuale), poi coi Romani, tra 135 e 107 a.C.. Pur  riportando alcune vittorie, infine furono sconfitti e, dopo diverse rivolte, nell'88 furono deportati ad est del Danubio, dove vennero sanguinosamente sottomessi dai Daci.  Agli Scordisci si devono le fondazioni di numerose città dell'area danubiana, tra cui Singidunum, nome latino dell'odierna Belgrado. 

Negli ultimi anni del II secolo a.C. giungono sull'alto corso Danubio  le popolazioni germaniche dei Cimbri e dei Teutoni le quali, di lì a poco, si sposteranno a depredare altri territori nei confini dell'odierna  Francia e anche in Italia, dove saranno annientati da Mario nel 101 a.C.

Sono questi gli ultimi passaggi traumatici di genti nomadi sulla sponda orientale del Danubio prima dell'arrivo definitivo dei Romani. Questi, dopo aver spesso combattuto contro le popolazioni della regione (ad esempio i Dalmati, i Narentani e gli Illiri, abitanti le regioni prospicienti l'Adriatico), sottomettono tra il 29 e il 9 a.C. tutte le regioni danubiane, dalla Mesia al Norico e alla Pannonia, nell'ambito di un progetto di conquista  concepito e organizzato da Augusto.
Il disegno politico dell'imperatore prevedeva  il raggiungimento e il consolidamento della presenza romana fino al Danubio, il limes orientale dell'impero, di modo da ottenere una stabilità interna ottimale per tutto il Mediterraneo. da qui la velocità e la profondità della romanizzazione dell'area.

La frattura tra Oriente e Occidente e la perdita di sicurezza del Mediterraneo, instabile anche su parte delle coste settentrionali avvenute durante l'alto Medioevo col crollo della frontiera danubiana e l'insediamento delle popolazioni Slave e poi degli Ungari durante il VII-IX sec. a.C. dimostrarono la lungimiranza del primo imperatore romano



La romanizzazione dei Balcani
Dopo la costituzione delle province danubiane, avvenuta tra il 15  a.C. (Mesia) e il 45 d.C. (Tracia) - periodo nel quale si registrano anche alcuni moti di rivolta presto repressi -, si assiste alla rapida romanizzazione della regione balcanica, grazie alla realizzazione da parte dell'esercito romano di strade selciate e all'intensificazione dei commerci, favoriti anche dalle legioni stanziate nell'area in età Giulio-Claudia. Almeno sette legioni stanziano infatti contemporaneamente nei Balcani, di cui cinque poste lungo il limes segnato dal corso del Danubio. In particolare è la rapida urbanizzazione in tutta la regione che porta velocemente all'inclusione di queste terre nel sistema economico, sociale e politico di Roma.

La romanizzazione dei Balcani è avvenuta secondo due linee parallele e convergenti: da una parte si è data origine ad un processo di colonizzazione avviato mediante la costituzione di centri cittadini e all'organizzazione agraria del territorio secondo le esigenze romane, in presenza o meno di coloni provenienti dall'Italia; dall'altra, si è costituita la frontiera stanziale sul Danubio, il che ha portato ad una massiccia presenza di soldati provenienti dall'Italia e, quindi,  ad una più decisa  affermazione del potere romano sul territorio.

Ben presto, le popolazioni locali si sono coinvolte con l'economia e l'organizzazione romane, riconoscendone il valore. Di fatto, il notevole incremento della produttività, l'arresto delle invasioni provenienti dall'esterno e la possibilità di promozione sociale hanno spinto le élites locali, qui come in tutto l'impero, ad abbracciare a fondo la civiltà romana, e a riconoscere soprattutto quale fattore unificante e pacificante della società la figura e la dignità dell'imperatore.

Lungo le frontiere si è quindi assistito allo stanziamento di molti soldati, i quali acquisirono benefici e possedimenti a ridosso del Danubio, diventando così parte integrante della popolazione locale e contribuendo sia all'avanzamento economico delle società ivi presenti e soprattutto al radicamento della cultura latina nei Balcani.  La Pannonia, l'Illirico, la Mesia, la Tracia interna e persino gran parte della Macedonia indicano, attraverso l'epigrafia, la maggior diffusione non solo della lingua latina rispetto al greco, ma soprattutto sono rivelatrici delle nuove strutture tipiche della città romane, fino al caso eclatante della Dacia la quale, pur con una presenza romana nell'area non più lunga di un secolo e mezzo, ha trasmesso all'odierna Romania una lingua di derivazione latina.

Si è dato così luogo allo sviluppo di una fitta rete di città, sia di origine militare - come Oescus, oggi  Gigen, Novae (Svishtov), Durostorum (Silistra-Darstor), Burnum (Chistagne) -, sia di origine colonica - è il caso di Ratiaria (Archar), di Serdica (l'attuale Sofia in Bulgaria), Marcianopolis (Devnja), Naissus (Niš, in Serbia), Nicopolis ad Istrum (Nikiup presso Tirnovo), Nicopolis ad Nestum (presso Nevrokop), per non dire delle città sulla costa dalmata -, nelle quali l'adesione al modello romano fu totale e che pertanto divennero centri d'irradiazione della cultura imperiale romana.

Senza perdere le proprie tradizioni, come indica la produzione artistica  propria di Mesi, Traci, Illiri, Scordisci, Pannoni, Triballi e Geti,  alla fine del I sec. d.C. si poteva dire di queste popolazioni, parafrasando Strabone, che "ora sono tutti Romani".


Una mostra di autentici tesori
Pochi termini sono abusati come le parole “tesori”. E “capolavori”.
Eppure nel caso di questa mostra l'utilizzo di questi termini è del tutto appropriato.
Ecco, di seguito, una descrizione, sia pure molto succinta, di reperti che, a pieno titolo, meritano l'uso dei due termini sopra citati.

Tra i molti capolavori d'arte prestati eccezionalmente dal Museo Nazionale di Belgrado per la mostra archeologica “Balkani. Antiche civiltà tra il Danubio e l'Adriatico”, spiccano per importanza  e per magnificenza artistica gli ori e gli argenti relativi ad alcuni corredi principeschi dell'Età del Ferro, rinvenuti in numerose località dell'attuale territorio serbo o nei pressi del medesimo, e confluiti nelle collezioni del Museo di Belgrado in occasioni diverse.

Non si può tacere,comunque, la straordinaria fattura di certe realizzazioni proprie del Tardo Bronzo (ca. 800-700 a.C.), epoca da cui ha inizio il percorso espositivo, caratterizzate dall'uso di forme decorative geometriche, specie spirali, cerchi e cerchi concentrici, riscontrabili per lo più su splendide fibule proprie della cultura di Hallstatt.
Capolavoro della piccola scultura è la statuetta rappresentante  un fabbro al lavoro, forse di fattura greco-geometrica, ritratto mentre martella una barra di metallo all'incudin. La statuina, alta solo 8 cm, è stata realizzata per fusione, e presenta  forme straordinariamente moderne, che ricordano in qualche modo le precedenti figurazioni  proprie della cultura cicladica.
La dinamica e armonica realizzazione venne ritrovata accidentalmente nei pressi di  Bela Palanca da un maestro di scuola, ed è la più antica forma scultorea di quest'epoca presente nelle collezioni belgradesi, un unicum senza precedenti sino ad oggi.

Quanto alle suddette tombe principesche presenti un po' ovunque lungo le valli percorse dai molti fiumi del territorio centro-Balcanico, sono assolutamente degne di nota quelle rinvenute a Trebenište, nei pressi del lago di Ocrida, e di Novi Pazar, città ai nel sud della Serbia, presso i confini con il Kosovo.
Non è facile conoscere, allo stato attuale degli studi, le popolazioni e le culture cui sono pertinenti queste grandi sepolture. Si tratta con ogni probabilità di popoli nomadi, stanziatisi nell'aree in questione tra fine VI-inizi V sec. a.C., probabilmente appartenenti ai Triballi, sicuramente detentori del potere politico ed economico in quel tempo su vasti territori dell'area medio-balcanica.
Le sepolture principesche - cosiddette perché proprie di un capo tribù o di un capo di più tribù riunite in alleanza politico-militare - sono costituite architettonicamente da grandi tumuli (è il caso di Novi Pazar, ad esempio) o da grandi tombe a fossa pavimentate e coperte a camera, come a Trebenište e in altre località macedoni.

La tomba principesca di Novi Pazar - il termine tomba è qui usato per convenienza, poiché all'interno del tumulo non si sono rinvenuti resti umani. E' possibile, per alcuni, che si tratti quindi di un nascondiglio temporaneo di un tesoro immenso, in tempi di una certa insicurezza politico-sociale -  è stata scoperta accidentalmente, nel mentre si poneva riparo alle strutture portanti della chiesa di San Pietro, a ca. 2 km di distanza dal centro della città. Qui, durante i necessari lavori di sterro praticati all'interno dell'edificio, si rinvennero nel 1957 gioielli e vasellame in bronzo  dell'Età del Ferro, pertinenti a due grandi tumuli costruiti in successione, l'ultimo dei quali relativo ad un ricchissimo deposito principesco.
Questo era costituito da un perimetro in pietra e da una costruzione centrale sempre in pietra, tipica delle tombe a tumulo dell'area medio-balcanica.
Tra i numerosissimi oggetti che vi si rinvennero, vanno ricordati i due eccezionali cinturoni d'oro del tipo Mramorac (dal nome di una località della Serbia in cui si rinvennero per la prima volta cinturoni di questo tipo, caratterizzati da decorazioni geometriche realizzate a sbalzo su  spessa  e alta lamina d'argento, databili a ca. la metà del V sec. a.C.), oltre a sei pettorali circolari sempre in oro, di oltre 20 cm di diametro ciascuno, e altre grandi placche auree semicircolari sempre lavorate a sbalzo, destinate probabilmente alla decorazione dell'abbigliamento del defunto. Anche centinaia e centinaia di piccole placche decorative di forme diverse - triangoli, rettangoli, svastiche, cerchi, bottoni, ecc.) decoravano con ogni probabilità le suntuosissime vesti del principe, mentre altri monili - bracciali, straordinari  e giganteschi pendenti simili per fattura alle già ricordate cinture, numerosissime fibule in argento e oro, completavano l'incredibile  corredo di questo ripostiglio senza pari.  Si tratta di oggetti che devono molto alla cultura greco-macedone, a testimonianza delle strette relazioni sociali e commerciali proprie delle popolazioni stanziatesi nell'area tra VI- V sec. a.C., e che vi detenevano il potere militare. Alcuni degli oggetti rinvenuti, ad esempio quelli in ceramica, sono di fattura attica; altri, come le oreficerie suddette, sono probabilmente frutto di officine locali dirette da maestranze greche o di cultura artistica grecizzante Tra gli esemplari sicuramente greci  è la preziosa phiale in argento parzialmente dorato, unica nel suo genere tra i numerosi rinvenimenti di vasellame in Serbia.
Va inoltre ricordato che dalla stessa sepoltura principesca di Novi Pazar proviene una infinita quantità di oggetti in ambra (oltre 8.000 pezzi!), per lo più perle o placche incise e decorate, che dovevano costituire originalmente suntuosissimi gioielli.

Le prime tombe di Trebenište vennero scoperte occasionalmente da alcuni soldati bulgari nel 1918. Gli scavi intrapresi successivamente a tale data, sempre ad opera di bulgari, stavolta archeologi, nel 1927, e poi da studiosi jugoslavi a partire dal 1930, riportarono alla luce altre tombe ricche di straordinari oggetti d'oro, in parte conservati oggi al Museo Archeologico di Sofia, in parte al Museo Nazionale di Belgrado.
Gli oggetti rinvenuti ci permettono di datare la necropoli al VI-V sec. d.C., periodo di maggior splendore delle culture locali, quando il potere militare ed economico detenuto dalla classi abbienti permetteva alle stesse di acquisire direttamente sul mercato estero o nei propri territori oggetti suntuari di straordinaria bellezza  e di grandissimo valore.
Tra i reperti più preziosi figurano quattro maschere funerarie d'oro, uniche in tutta l'area balcanica, di cui due conservate oggi a Belgrado. Si tratta di oggetti di notevole fattura artistica oltre che venale che, applicati all'altezza del volto del defunto, ne perpetuavano l'identità e ne celebravano l'imperitura dignità. L'uso di tali maschere - esempi successivi,  cronologicamente parlando, alle celebri maschere micenee oggi ad Atene - , è probabile derivi dagli influssi culturali greci sulla ritualità funeraria propria dei popoli balcanici.
Tra gli oggetti da mensa, di gradissimo rilievo appaiono i due  grandi bicchieri in argento parzialmente dorato e il corno potorio, di squisita fattura, opere probabili di un abilissimo  toreuta greco, come pure gli straordinari vasi in bronzo, tra cui idrie e brocche di splendida fattura.
Vi spicca il grandioso cratere bronzeo su tripode, datato all'VI secolo a.C, che si deve forse all'opera di un'officina corinzia di altissimo livello e che ha un suo gemello, rinvenuto nella medesima località, oggi custodito nel Museo di Sofia.
Tra gli atri numerosi reperti si contano elmi ed armi - punte di lance, spade e coltelli - realizzati in bronzo, pure esposti nella mostra, come anche ceramica greca, splendidi gioielli in oro e argento e oggetti realizzati in vetro a stampo.

Altri rinvenimenti di preziosi si ebbero a Pečka Banja, e possono paragonarsi a quanto rinvenuto nei pressi di Ocrida. Gli oggetti, databili tra VI-V secolo a.C. e per lo più in argento, sono  caratterizzati da una fattura indubbiamente influenzata dalla cultura greca, ma rielaborata secondo usi tradizionali propri.

Altri corredi tombali da Budva, databili tra V e IV secolo, ci hanno fornito una grande quantità di oggetti, tra cui elmi, armi, gioielli e ceramiche, che documentano via via l'accresciuta importanza delle relazioni vissute allora con genti magno-greche, provenienti per lo più dal bacino del basso Adriatico.  

Gli influssi ellenistici sulla produzione artistica locale sono più forti man mano che diminuiscono le relazioni dirette tra le varie culture balcaniche e la Grecia. Ciò accade a partire dalla fine dei V secolo, per motivi a noi non ancora sufficientemente noti, ma che vedono implicati da un lato la perdita di potere delle classi fino ad allora dominanti - potere militare e politico, quindi economico - sia un minor grado di interesse da parte dei mercanti e artisti greci nei confronti delle popolazioni della zona. Altri orizzonti, altri rapporti culturali si evincono allora nelle varie tipologie e nei vari materiali in cui si producono ed elaborano nuove forme, talvolta su modelli di importazione.
Tutto il IV secolo  è attraversato da tale fenomeno: una minore ricchezza sembra improntare le classi dominanti sparse sul territorio, e ne fanno testimonio i rinvenimenti, pur preziosi, di argenti e altri materiali nobili deposti nei corredi funerari rinvenuti a Čorug, ad esempio, dove è pure notevole l'influenza celtica.

Sono i Celti, in particolare gli Stordisci, ad occupare il territorio centro-balcanico intorno all'inizio del III secolo, quando, ricacciati da Delfi nel 279 a.C., si stanzieranno in quest'area.  La colonizzazione del territorio, se da un lato dà luogo ad una produzione dalle tipiche caratteristiche celtiche, risente notevolmente dell'incidenza delle culture precedenti e, specie nel sul e nelle valli delle tre Morave, delle presenze di tipo ellenistico, legate ai commerci e ai traffici.

E' questa l'epoca in cui si fa maggiore l'influenza della cultura ellenistica, di derivazione greca o italica, dovuta ad un sincretismo di forme e culture. La stessa la si ritrova specie nelle aree proprie della Macedonia o in prossimità della costa Adriatica dell'attuale regione montenegrina, per ovvie ragioni di commerci e traffici lungo le rotte marittime.
Documenti di altissima qualità artistica sono le due statue di Satiri provenienti dagli scavi di Stobi. Si tratta di due originali bronzei, databili intono alla fine del II-inizi del I secolo a.C., giunti a noi in ottime condizioni. L'uno danzante, l'altro suonatore, sono capolavori della scultura in bronzo di quest'epoca, contraddistinta dal permanere degli ideali classici di stampo lisippeo e da connotazioni realistiche proprie della produzione italica. I nostri Satiri, che lasciano Belgrado per la prima volta in occasione della mostra, sono avvicinabili al celebre Fauno Danzante, ritrovato nella domus pompeiana che da questi ha preso il nome, oggi conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e sono stati realizzati molto probabilmente in un'officina attiva ad Alessandria d'Egitto, centro culturale e artistico di assoluta rilevanza in età ellenistica. Sono poi pertinenti al medesimo ambito culturale alcune teste marmoree di divinità, di squisita fattura.

Tra i documenti della prima romanizazione della provincia della Mesia  Superiore -  oggi inclusa nel territorio geografico della regione Serba - la mostra presenta capolavori d'eccezione. E' il caso, per citarne solo i principali, del celebre Ritratto del padre di Traiano, opera altissima della toreutica romana, pertinente ad una statua di dimensioni maggiori del vero, eretta verosimilmente dall'imperatore Traiano a celebrare perennemente la memoria  di suo padre nell'ornamentazione architettonica e scultorea del ponte sul Danubio, fatto erigere per volontà imperiale ad opera di Apollodoro di Damasco; o di sculture in marmo provenienti da Stobi, tra cui un bel busto femminile di dama. Non si possono tacere i due elmi-maschera di età traianea di eccezionale fattura, rari prodotti della toreutica imperiale eseguiti probabilmente presso le officine metallurgiche di Viminacium.
Fra le produzioni artistiche di maggior pregio venale oltre che estetico  spiccano poi numerosi  oggetti in argento provenienti da Tekia, già Transdierna, di uso domestico e cultuale; mentre a chiusura del percorso espositivo viene offerto all'ammirazione dei visitatori un servizio da mensa realizzato in argento di rara bellezza ed altissima fattura, databile all'età augustea, appartenuto probabilmente ad una famiglia patrizia romana, trasferitasi sul limes danubiano intorno al I secolo della nostra era. Tra vassoi, coppe, crateri e cucchiai, fanno bella mostra di sé alcuni portauovo di eccezionale finezza esecutiva, dovuti forse ad una officina campana, e che trovano similitudini assai prossime nei tesori d'argenteria rinvenuti nelle città  sepolte dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.

Informazioni

Balkani. Antiche civiltà fra Danubio e Adriatico


Luogo: Adria (Ro) - Museo nazionale Archeologico
Via Badini, 59 - Adria (Ro)

Periodo: dall'8 luglio 2007 al 13 gennaio 2008

Orari: feriali e festivi 9.00-20.00

Ingresso: intero Mostra-Museo  6,00 Euro; ridotto Mostra-Museo  3,00 Euro. Servizi in mostra: Accesso per disabili; Bookshop. Chiusura della cassa alle ore 19.00

Catalogo: Silvana Editoriale

Info: tel. 0426 71200 - fax 0426 372095