Design

Ingo Maurer
I Racconti di luce di Ingo Maurer di Marcello Silvestro

I Racconti di luce di Ingo Maurer

di Marcello Silvestro

Quando ha cominciato era la fine degli anni '60 l’inizio degli anni '70.

"Credo che in quegli ci fosse un’energia che è ancora nascosta, e c’è da sperare che ritorni in superficie e ricompaia sotto forma migliore, perché fu un periodo in cui accaddero tante cose nel campo del design, che non è mai stato sfruttato abbastanza. Tutti quei divani ben progettati e quelle sedie cosi minimaliste che vengono dall’Inghilterra, per esempio: voglio dire, sono molto colti, belli, ma dov’è la gioia di vivere, dove sono?"

Sul carattere: "Ci piace una cosa e ne facciamo un’altra. Per un certo periodo ho preso il posto di Richard Sapper all’Accademia di Stoccarda, avevo quegli studenti e molto spesso trovavo che quel che progettavano non corrispondeva alla loro personalità. Così una delle cose che feci fu di chiedere loro un biglietto da visita in due modi: uno che doveva essere qualcosa di consueto, quello che chiamo "design design", il genere di design ben congegnato, rilisciato, senza profumo, l’altro un biglietto molto personale in cui dicessero: "ecco questo sono davvero io" una forma di espressione. Ho notato che c’erano due facce.... Per alcuni che sono forti, il carattere determina lo stile degli oggetti, il mio amico Ron è lui, certi altri sono più deboli e fanno qualcosa d’altro. Nei grandi designer il carattere è leggibile. Sul mio carattere molti italiani dicono che sono un tedesco napoletano: sono cresciuto così".

Ha ricevuto elogi, premi e denaro, ed è stato acclamato poeta della luce anche se lui detesta la definizione. "Quando lavoro con la luce non penso alla poesia, è un’invenzione dei giornalisti francesi, e quel che proprio non mi va giù e mettermi ad analizzare il mio lavoro, perché a me piacciono le gioie, magari anche i dolori così come arrivano; non piace ripetermi nel mio lavoro".

Preferisce la definizione di seduttore della luce. "La seduzione è una grande arte se seduzione significa che nella mia luce si sta bene, allora sono lusingato di essere un seduttore. Per acquistare le mie lampade si deve essere convinti, la luce deve colpire al cuore e da nessuna altra parte".

L'amore per la luce come nasce? "Ho tanti ricordi d'infanzia legati alla luce. Ricordo benissimo il gioco dei riflessi di luce sul muro, sul mare, sotto gli alberi. Quando c'è vento è una festa, la luce e il vento insieme sono fantastici. E tantissime impressioni ai questo genere. Allora mi ero innamorato della forma della lampadina, per me ancora oggi una delle più interessanti fonti di luce che ci siano, solo due fili che escono e una lampadina nuda, è ancora la poesia migliore: c'è una lampada così nel bagno della mia casa paterna" (intervista di Juli Capella su Domus giugno 98).

L'attività di Maurer conosce il suo inizio professionale vero e proprio a Monaco nel 1963 quando fonda la Design M e inizia insieme ad altri designer la produzione di oggetti e lampade. I primi pezzi sono caratterizzati dal desiderio di stupire e provocare lo spettatore attraverso meccanismi cari alla cultura pop e alle avanguardie artistiche di quegli anni: il fuori scala, l’ingrandimento a dismisura di un elemento o addirittura l’uso di un oggetto molto comune riproposto però in una funzione del tutto insospettata. La Bulb Clear, la prima lampada prodotta dalla Design M ne è un esempio: una semplice lampadina a incandescenza rinchiusa in una lampadina ingigantita di vetro soffiato e base cromata lucida. "Eames era proprio fantastico e fu il primo che mi scrisse congratulandosi perché qualcuno gli aveva regalato la lampada Bulb nel l966 e lui mi scrisse Mi fece sentire benissimo e mi diede coraggio".

La Light Structure del 1969 segna lo stesso principio: sei tubi a incandescenza in vetro e plastica collegati tra loro dal filo conduttore in trazione formando un insieme luminoso. I materiali usati sono sempre quelli considerati poveri: i più indicati, a detta di Maurer, a dare un'immagine semplice e artigianale e a soddisfare meglio di altri uno dei nodi progettuali più delicati: la mobilità dell’oggetto.


Per ottenere questo effetto vengono usati l’alluminio i supporti metallici sottili che si piegano e ondeggiano, la carta (giapponese) che si attorciglia o si modella come in Lampampe (1978).




Negli anni ‘80 Ingo Maurer, effettuando considerevoli investimenti economici, si stacca dal prodotto artigianale a favore di una sperimentazione tecnologica di qualità. E’ grazie a questo cambiamento che nasce, nel 1985, il sistema di illuminazione Ya Ya Ho inventando un gioco di sorprese fondato sulla complicità dell'utente che da spettatore si trasforma in attore. Su cavi a basso voltaggio tesi liberamente fra le pareti con viti, caviglie e parti estensibili, vengono posati gli elementi luce e piccoli oggetti semplici dalle forme geometriche semplicemente libere che si possono muovere sia orizzontalmente che verticalmente, grazie al gioco dei contrappesi. I materiali quelli da sempre cari all’autore: il vetro, la porcellana, il metallo. L’elemento Bakarù che sembra essere un semplice pezzetto di carta piegato è in realtà un foglio di una speciale plastica a base di silicone che non si riscalda.

L’idea che la lampada non sia un semplice oggetto estetico che ci regala la luce tramite un meccanismo a distanza, ma un elemento dell’arredo che si può trasformare e adattare secondo i nostri desideri, si evidenzia anche in Fukushù del 1985. E’ una piccola alogena, con trasformatore e dimmer, formata da due steli di acciaio con inserti in plastica colorata e tre schermi geometrici che ruotano e si muovono verticalmente variando l’intensità della luce.

In questi anni lo studio delle nuove tecnologie porta necessariamente la Design M a confrontarsi con l’elettronica. Il primo risultato è un nuovo trasformatore di dimensioni ridotte della metà rispetto a quelli attualmente in commercio, con tutta una serie di vantaggi derivanti da questa miniaturizzazione: leggerezza e una presenza estetica molto rarefatta. La prima lampada che adotta questo trasformatore è Ilò Ilù del 1986: la luce di una lampadina multi-mirror viene riflessa da uno specchio con la conseguenza che, essendo appeso, tutto il sistema può ruotare creando delle ombre suggestive sulle pareti e determinando la direzione del flusso luminoso dove è necessario. Grazie all’elettronica, l’insieme si accende e si regola di intensità al semplice contatto delle dita sulla lampada.

Grazie alle possibilità offerte dall’utilizzo della bassa tensione, gli involucri si rimpiccioliscono sempre più riducendosi a dei punti luminosi e i suoi oggetti colpiscono perché hanno una essenzialità formale in grado di evocare e di caratterizzare fortemente lo spazio.

Le sue lampade infatti non illuminano soltanto, ma sono dei veri giochi la cui apparente semplicità seduce lo spettatore e lo rende attivamente partecipe offrendogli molteplici possibilità di combinazioni. Alla sensazione di sorpresa che evocavano le prime lampade si aggiunge un chiaro invito per il fornitore a progettare insieme al designer L’oggetto non è più chiuso, finito, e il suo effetto globale dipenderà dalla fantasia di chi lo usa e dal modo con cui dovendo obbligatoriamente partecipare al montaggio, si faranno delle scelte tra i vari elementi dell’insieme, influenzando il risultato finale.

In occasione dell'allestimento dello spazio interno del ponte Deutzer a Colonia del 1997 Maurer così il suo progetto: "Lo spazio interno del ponte Deutzer in sé è magico, suggestivo e, secondo l’umore di ciascuno, perfino terrificante. Si entra dal lato della fiera, vagando nella nebbia e nella foschia piena di sorprese e, naturalmente, di luce. Un cuore gigantesco da cui scappano fuori degli uccelli da il benvenuto ai visitatori, insieme a personaggi che interagiscono con la luce. Un cubo di fumo imbottito di un cuore di luce e lampadine volanti circondate da una barriera elettrificata e poi una zona di luci mosse dal vento invadono la passeggiata di 440 metri da una riva del Reno alla riva del Duomo di Colonia. Attraverso una piccola apertura si lascia la mostra per trovarsi in un’autorimessa dominata dalla luce rossa e dall’aroma del vino cotto e di cibo caldo, un luogo dove scaldarsi i piedi e ogni altra parte del corpo. La mostra che ho battezzato Un suggestivo, misterioso, fantastico modo di intendere la luce e voi stessi non ha istanze intellettuali, non ha pretese, non ha neppure l’ambizione di raggiungere risultati d’arte; nulla, davvero nulla se non comunicare gioia, divertimento e un’immagine gradevole di me e dello straordinario gruppo che mi ha aiutato".

Hearts Attack! Un lampadario d'emozione con 48 cuori orientabili a piacere realizzati in materiale sintetico e specchi, ognuno con una lampadina da 12 volt integrata: è un progetto del 1997.

Egli è contemporaneamente designer e produttore: "Ho cominciato a disegnare lampade, con la speranza di guadagnare di più e di accettare meno compromessi con i miei clienti di arte commerciale. Ad alcuni sono piaciute e ne hanno ordinati pochi pezzi. Oggi ho 60 persone che lavorano con me. Il lavoro che faccio, come per altri designer, non posso farlo da solo. Certamente Stark o Castiglioni progettano da soli, ma il nostro caso e un po' diverso, perché io lavoro con i tecnici. Quando ho un’idea la illustro ai miei collaboratori, faccio un piccolo schizzo e studiamo il modo di tradurlo. Li lascio poi liberi di operare, per un po', per due motivi: si impegnano molto di più per arrivare al prodotto, e c’è la possibilità di essere più aperti".

E’ totalmente immerso nel lavoro: "il mio lavoro è la mia vita. Una lampada migliore del sole e della luna è una persona con tanta luce nel cuore, e si vedono i raggi di luce che emette ...Spero che in futuro ci sia meno inquinamento luminoso, la luce sia molto più tenera, più dolce con la gente, più gentile, eppure al tempo stesso sia una luce forte, e si diventi più coscienti della luce che ci circonda Ad esempio Londra è illuminata così male, la cattedrale di San Paolo sparisce per via della luce e così pure altri edifici".

Ogni anno presenta il suo lavoro assieme a Ron Arad: "Molti pensano che ci sia della rivalità tra noi due, ma la ragione vera è che io e Ron siamo persone corrette, ed è e questa stima sul piano umano che ci ha avvicinato lentamente e in modo positivo".

Nel 1998 Maurer presenta the MaMonuchies: è una collezione di lampade nate dalla collaborazione con Dagmar Mombach che si ispira già nel nome al maestro d’ombre Isamu Naguchi. L'osservazione delle tecniche di lavorazione di tessuto giapponese ha prodotto l'invenzione di questa carta preziosa per le sfumature della luce che batte sulle sue mille piegoline. È un’invenzione tecnologica protetta da brevetto applicata a un materiale antico e paziente. Un prodotto avanzato tutto fatto a mano, nato dall'incrocio di culture e da una passione vera per la qualità intrinseca della materia.

Tales of lights è la mostra che si è tenuta a Colonia al Deutzer Brucke nel 1998. Dense nuvole di nebbia artificiale accoglievano il visitatore. Una luce blu scura inondava il tutto, mentre enormi pesci, scortati da schiere di compagni più piccoli della stessa specie, apparivano e scomparivano improvvisamente. Luci ovunque, attraversavano le gallerie e si incrociavano inaspettatamente, contribuivano a creare un'atmosfera onirica pervasa da una musica suggestiva.

Disegnare una lampada solo perché debba illuminare un certo ambiente ha poco senso. Per Maurer è un modo di espressione, di emozionare chi è immerso nella sua luce.

A tale proposito mi piace ricordare quanto afferma E. Sottsass: "...Fare design non significa dare forma ad un prodotto, per un’industria, più o meno sofisticato. Il design è un modo di discutere la vita, la società, la politica, il cibo e perfino il design...La luce non si limita a illuminare, ma racconta una storia. La luce conferisce significati, disegna metafore e costruisce un palcoscenico per la commedia della vita".