Roberto Sambonet designer, grafico, artista (1924-1995)
Torino - Palazzo Madama
Dall'8 aprile al 6 luglio 2008
La mostra che si apre a Palazzo Madama è un racconto aperto, fatto di relazioni, dialoghi, connessioni e di apparenti cortocircuiti, alla scoperta della personalità complessa e affascinante di un grande artista e designer, di un intellettuale oltre i canoni - possiamo dire - qual è stato Roberto Sambonet.
Galleria d'immagini:
Pur avendo preso parte da protagonista a quasi tutte le situazioni più
rappresentative della cultura del progetto industriale (commissario della
Triennale, collaboratore de La Rinascente, animatore dell'ADI e del Compasso
d'Oro, art director della prima Zodiac di Olivetti), Sambonet sfugge in effetti
al consueto profilo del designer italiano: non è architetto e rivendica
fortemente identità e formazione da artista; immerso da sempre nell'atmosfera
della fabbrica, scopre il suo talento progettuale fuori dell'azienda di famiglia,
durante una lunga permanenza in Brasile, ed elabora il proprio universo formale
lontano della cultura figurativa dello spazio domestico, a partire da una
metodica analisi strutturale della realtà, sganciandosi così da ogni remora
banalmente funzionalista. Disegnatore compulsivo, cosmopolita, curioso per
vocazione, è stato capace di una visione complessa, coniugando arte e
gastronomia, cultura popolare e sintesi concettuali.
La mostra, curata da Enrico Morteo, non mira tanto all'esaustività delle opere esposte - tantissime e in gran parte provenienti dall'archivio personale del maestro custodito dalla famiglia e da collezioni private - quanto a dare il senso del percorso compiuto da Sambonet: le sue esperienze, i modelli di comportamento e i riferimenti
culturali che hanno dunque animato questa sua analisi della realtà.
Perché di questo si tratta: la complessa produzione, le molte invenzioni
nell'ambito del design nascono da una sperimentazione costante di ciò che gli
sta intorno: della realtà appunto, che viene studiata, smontata, destrutturata,
indagata nelle geometrie nascoste "sotto la pelle" delle cose e,
dunque, nella sua anatomia.
Il disegno, la pittura, la grafica e il design non sono altro che i diversi
modi in cui egli reinterpreta ciò che vede e percepisce: posti sullo stesso
piano nella sua sperimentazione hanno una loro autonomia artistica e nel
contempo fanno tutti parte di un unico processo creativo e di uno stesso
progetto.
La prima sezione della mostra Altri mondi: gli incontri, i viaggi, le
collezioni, gli scritti- ci introduce a questa visione, avvicinandoci allo
sguardo di Sambonet e alla sua sensibilità.
In tal senso un aspetto importante della ricerca e della vita di questo artista
sono proprio i viaggi.
La scoperta dei luoghi si accompagna alla scoperta di culture e tradizioni
differenti, di cibi e di sensazioni: è un'esperienza di cui egli lascia tracce
attraverso disegni e dipinti, scritti, riflessioni. Dalla
Svezia alla Cina, dall'Inghilterra alla Thailandia, dagli Stati Uniti al
Messico, al Perù, all'India, Sambonet gira il mondo, accumula ricordi e
oggetti: raccoglie bastoni da passeggio, cappelli, paglie, maschere, sassi.
Oggetti che servirono a raccontare culture lontane in una serie di mostre
allestite nei grandi magazzini La Rinascente.
Particolarmente importanti sono i suoi primi soggiorni brasiliani, tra il 1948
e il 1953. A San Paolo entra in contatto con Pietro Maria Bardi, fondatore e
direttore del Museo d'Arte della città. Qui la sua ricerca pittorica si apre a
nuovi interessi, a nuove curiosità. Aiuto regista durante le riprese del
lungometraggio Magia Verde, percorre l'allora semisconosciuto stato di Bahia,
dove forse per la prima volta Sambonet mette a fuoco il legame indissolubile
che unisce gli oggetti ai luoghi, culture, persone. Sambonet si avvicina alla
cultura india: ne studia le tecniche di tessitura e stampa dei tessuti, le
produzioni di oggetti in paglia, le architetture, senza mai trascurare di
registrare con il disegno i luoghi, i paesaggi, la natura in cui queste culture
vivono e di cui sono parte. Di rientro a San Paolo dirige un corso di stampa
per tessuti e ne disegna lui stesso. Coinvolto da Bardi nell'organizzazione
della prima sfilata di moda brasilana, disegna abiti, sandali, cappelli che
sfilano nelle sale del Museo. Prima di rientrare in Europa, allestisce una
propria mostra personale in cui riassume in una serie di quadri e disegni le
esperienze vissute.
La libertà di movimento concessagli in Brasile dal suo status di ospite
straniero gli consente di vivere una esperienza di straordinaria intensità.
Ottenuto il permesso di visitare i reparti di un ospedale psichiatrico, Sambonet
conduce una sua personale ricognizione nei terreni della malattia mentale. I
suoi disegni registrano con straordinaria precisione i tratti del disagio
psichico e umano. I volti che disegna nel manicomio di Jaquerì, poi raccolti
nel volume Della Pazzia (Milano 1977), non sono solo un catalogo di patologie:
i suoi ritratti sono un viaggio di umana partecipazione, uno scavo nelle pieghe
della malattia e della sofferenza.
Una sofferenza che appartiene a noi tutti, anche se cerchiamo di nasconderla
dietro la maschera della normalità. Non a caso, proprio ai ritratti è dedicata
la seconda sezione della mostra - "Il volto come paradigma di un percorso
analitico". Non solo i volti di Jaquerì, ma una rassegna dedicata ad un
genere che accompagnò l'intera vita di Sambonet.Veloci caricature in punta di
penna, acquerelli di studio, veri e propri ritratti ad olio: tutti capaci di
andare al di là del volto e mostrare pensieri, emozioni, sentimenti.
Volti come paesaggi, accomunati da un'identica qualità dello sguardo, dalla
stessa capacità
di arrivare alle strutture nascoste delle cose. Non importa se ad essere
osservato è un sasso raccolto in Liguria (Sasso ligure, 1978) o il viso di un
amico (Giancarlo Ortelli, china su carta), se ad essere scomposto è il volto di
un anonimo viaggiatore della metropolitana (olio su tela, 1964) o la struttura
nascosta del pensiero (china su carta, 1961).
La terza e la quarta sezione sono strettamente connesse: il processo creativo e
produttivo appare delineato con chiarezza, laddove si comprende che
l'osservazione analitica della realtà si traduce ora in disegni e dipinti, ora
in oggetti, e che i disegni spesso sono comunque momenti aurorali della
progettazione di alcuni pezzi di design, senza stacchi o cesure. E infatti gli
oggetti di Sabonet sono carichi si storie, di citazioni, di culture.
Ci sono delle tematiche ricorrenti nella ricerca dell'artista vercellese: la
luce, il mare, la natura. Sambonet li guarda e li studia, alla ricerca di
quelle strutture che ne governano la forma mutevole, geometrie del divenire
celate sotto l'apparente complessità del reale.
Così studia la luce nelle sue rifrazioni, nelle geometrie che produce, nelle
leggi fisiche che la regolano; e il mare - nel corso delle sue lunghe crociere
in barca a vela - lo smonta, osservandone i movimenti, la sequenzialità delle
onde, il loro ritmo, le increspature, le forme geometriche che l'acqua disegna.
Forme latenti che egli fa riemergere nei tantissimi disegni, negli acquarelli,
nella grafica - anello di congiunzione tra l'artista e il designer - e poi
negli oggetti; così come fa con le conchiglie, i pesci, i paesaggi, le
costruzioni e le architetture umane.
Allora non è azzardato affiancare alle chine che analizzano le geometrie dei
riflessi sul mare, i triangoli in acciaio che Sambonet progetta per l'azienda
di famiglia o quelli in cristallo disegnati per Baccarat nel '57; o ai quattro
studi di onda in matita colorata, del 1966, alcuni portaceneri realizzati nel
'71: perché l'idea, la memoria di partenza è la medesima; non sono i disegni
strettamente correlati all'oggetto, pensati in funzione del prodotto, ma sono
parte del processo interpretativo della realtà.
Nei vasi della serie Préhistoire (1975) in cristallo Baccarat - scientifica
indagine sul rapporto fra vuoto e pieno, declinato attraverso il tema della
semisfera trasparente - così come nella Bol à caviar (1971) sempre per
Baccarat, vi è tutta la sua ricerca sulla possibilità di costruire volumi
usando solo la luce; la sequenza di pentole Center Line (1965) è una teoria
sull'uso dello spazio,ma anche un omaggio alle geometrie di Sonia Dalaunay; nei
famosissimi bicchieri Empilage (1971) c'è la ricerca della regola, la
consapevolezza che ogni cosa è parte di altre e di uno stesso universo.
Nella dimensione del progetto tutto trova un nuovo significato: l'antico e il
moderno, Rinascimento e Bauhaus, Alvar Aalto e la foresta tropicale. Per Sambonet
nulla è mera citazione, ma diventa materiale con cui costruire una nuova
realtà.
Del resto egli era solito affermare che dentro la natura, dentro le strutture
degli steli delle piante si possono trovare i modelli e le soluzioni del design
o che il suo progettare una tavola per la Ginori o la Baccarat era come
progettare un quartiere, fare architettura.
Così, parlando della sua Pesciera (1957), forse il suo progetto più celebre,
esposta nei musei di tutto il mondo, egli affermava: " la pesciera nasce
dallo studio della natura, non come imitazione ma come esempio per andare
oltre".
Una esplorazione avventurosa, ma anche l'esempio di un rigore morale che
investe e trascende la forma immediata delle cose.
Informazioni
Roberto Sambonet designer, grafico, artista (1924-1995)
Luogo: Torino - Palazzo Madama
Piazza Castello - 10122 Torino
Periodo: dall'8 aprile al 6 luglio 2008
Info: 011 4433501 - fax 011 4429929