Conversazione con Paola Butera
di Ivana Riggi
Ho conosciuto Paola Butera qualche anno fa a Taormina durante l'evento Trinacria da lei curato. Credo sia nata da subito una certa sintonia poi, nel tempo, ci siamo reciprocamente stimate. Generalmente si muove dietro le quinte parlando poco di sé in pubblico: preferisce lavorare sodo sostenuta dalla sua energia vulcanica.
Oggi la rapisco, dialogheremo.
Paola ti ringrazio per avere accettato questo invito. Disegna un
autoritratto di come eri e regalacene uno di oggi. Presentati come donna; al
tuo lavoro ci arriveremo gradualmente…
È difficile per me descrivermi, io che guardo sempre con curiosità e
interesse l'altro non amo apparire. Ma ci proverò. Credo che nella vita di
ognuno ci sia un momento in cui succeda qualcosa che costituisca tutto il
percorso futuro. La fotografia di una bimba di sei anni, timida, chiusa, un po'
goffa che sale da sola su un treno che non sa dove la porti è rimasta impresso
nella mia mente. In quel preciso momento in non sapevo che tutto il mio futuro
sarebbe stato un viaggio continuo, con un grande punto interrogativo: “Ma dove
sto andando?” Il tempo è un grande enigma, oggi guardando indietro, ho la netta
impressione che tutto il tragitto di donna che ho vissuto era segnato; la
traccia mi porta, però, a guardare sempre al dopo: sono di una curiosità
estenuante. Infatti riportando l'immagine a oggi vedo una pista di atletica
dove io parto sempre in vantaggio rispetto alle persone che ho vicino. E non è
presunzione, la vivo come un handicap, con tormento e sai cosa penso che sia?
L'intuito. Un intuito innato che ho mischiato al coraggio di rischiare che mi
fa arrivare sempre prima, lo svantaggio però è che ti ritrovi sola e quando gli
altri ti raggiungono tu hai perso l'entusiasmo.
Raccontaci della tua formazione e delle prime esperienze lavorative: quando
entrano l'architettura e il design nella tua vita?
Avrei da raccontarti tanti aneddoti, ma l'architettura è stato un po' il
mio pallino dai tempi del liceo. Lei è stata un po' mia madre, mi ha insegnato
dove andare ma soprattutto come. Ho sempre preso a esempio nella vita privata
come nel lavoro la progettazione e la costruzione di un' opera architettonica,
ho sempre bisogno di veder prender forma ogni cosa dal basamento, per poi
costruire il resto. Poi la lunga collaborazione con architetti che mi hanno
formato nei primi anni di lavoro sono stati determinanti. Sono partita dalle
fondamenta dell'estetica, sia nell'architettura che nell'arte, l'ho progettata,
plasmata, realizzata e oggi la racconto con la consapevolezza di chi fa ma
anche con la partecipazione di chi vuol sapere ancora.
Dal 2000 e per 5 anni, ti sei occupata della comunicazione e dell'immagine
di una delle più grandi aziende del centro Italia la Cetus Spa, vetrina di
grandi marchi per la casa. Qual è stato il tuo ruolo e quale esperienza ti ha
portato?
L'incontro con l'azienda Cetus è stato l'occasione che mi ha dato la
possibilità di mettermi in gioco, pur affrontando grosse difficoltà. Sono entrata
pian piano in una struttura diffidente e chiusa nella sua cultura familiare.
Poi, con il mio passo anticipatore, ho fatto loro delle proposte di apertura
nei confronti dei maggiori fruitori dei loro prodotti: i progettisti. Abbiamo
così creato delle situazioni di avvicinamento tra l'azienda e l'architetto
procedendo, di anno in anno, con nuovi appuntamenti. La difficoltà maggiore
l'ho riscontrata nel coinvolgere le oltre 700 aziende che loro rappresentano e
nel trasferire il mio entusiasmo e la mia energia agli oltre cento dipendenti
ancorati ai vecchi meccanismi. Devo dire che i dirigenti dell'azienda mi ha
dato massima fiducia e hanno sempre appoggiato ogni mia iniziativa. Posso però
aggiungere che la credibilità me la sono guadagnata volta per volta con molta
fatica, e bypassando inutili critiche e pettegolezzi. È stato molto forte, con
mia grande soddisfazione, aver portato l'azienda per la prima volta in una
manifestazione fieristica, creando tutta la comunicazione e gestendo
l'organizzazione con la collaborazione di cinque studi di architettura esterni.
Così come associare il Gruppo a grandi manifestazioni artistiche, ho dato il La
ad una nuova comunicazione che so stanno continuando a percorrere. Gli amori
poi finiscono e io so anche di non essere una persona facile e gestibile,
quindi la collaborazione si è conclusa nello stesso momento in cui l'azienda ha
sentito la necessità di chiudermi in un ruolo. Devo dire che rimane per me un
grande amore nei confronti di quella esperienza a cui devo anche le scelte
future.
A settembre 2005 hai progettato, realizzato ed editato la rivista
4aMagazine, un esperimento che ha visto il lancio a Casaidea. Quest'anno il
magazine compie cinque anni. Mi tracceresti il percorso intrapreso in questo
arco di tempo e gli incontri più significativi?
Una vera e propria scommessa. Quando dico che il nostro destino è
tracciato… Il 2005 è un anno che rimarrà impresso nella mia mente. Lo stesso
della chiusura del rapporto con Cetus, che mi ha portato a mettermi in
discussione e che mi ha trovato di fronte a una scelta: “Continuare a lavorare
per altre aziende dando il mio supporto o iniziare da sola un nuovo percorso?”
La voglia di raccontare tutto il mio vissuto lavorativo, gli incontri con
designer e con artisti mi hanno dato una grande spinta, poi anche la sete di
conoscere ancora e cercare nuove cose da raccontare. Facciamo un passo
indietro: quell' immagine di bimba affidata a un treno, la stessa bambina che a
dieci anni si sentiva elogiare da tutta la scuola per i suoi disegni, che poi
ha intrapreso studi artistici (dal liceo artistico all'accademia di belle
arti), è la stessa che per anni, ma tanti anni, ha raccontato le proprie
visioni. Lo ha fatto scrivendo, trascrivendo, leggendo e tenendo per sé i suoi
scritti che ancora oggi le appartengono. Per raccontare avevo però bisogno di
un supporto che racchiudesse tutti i segmenti di conoscenza, dove raccontare
l'architettura classica, l'innovazione tecnologica, il design e l'arte
contemporanea in un insieme di fusioni, perché non esiste un solo elemento
estetico o comunicativo se non c'è anche l'altro.
Così è nato 4aMagazine: un periodico anticonformista per alcuni versi, che
tratta di argomenti più nascosti, andando a scovare personaggi sconosciuti ai
media. Parlare di architettura non è sempre conformarsi con quelli che sono i
nomi più acclamati, ci sono opere eccellenti, di un gusto e una leggerezza
particolari realizzati da sconosciuti nel mondo dell'editoria specializzata. La
stessa cosa accade anche nel design e nell'arte. Questa voglia di tirar fuori
il sommerso si è mescolato a un prodotto editoriale visivamente molto pulito,
raffinato, di gran classe, che lascia molto spazio alle immagini, dove non ci
sono sfarzi, esagerazioni, in una impaginazione essenziale, elegante. È stato
un successo da subito, abbiamo cominciato a frequentare le manifestazioni più
idonee da Milano a Roma, poi Verona. Tutti quelli che entravano in contatto con
il Magazine rimanevano sorpresi per la differenza con altre riviste del
settore. Sono passati cinque anni, impegnativi, soprattutto perché io con il
mio piglio non sono scesa mai a compromessi. Ho imparato ad apprendere il mondo
dell'editoria a cui mi sento di dare ancora tanto. In questi anni ho conosciuto
molte persone ma devo raccontare che un giorno, ero in Sardegna, ricevetti la
telefonata dell'Arch. Manfredi Nicoletti di cui avevo da poco pubblicato il
Palazzo di giustizia di Arezzo. Sentire la sua voce è stata una grande
emozione, essere apprezzati e incoraggiati da quel tipo di professionista, mi
ha dato una forza in più.
Quali sono le difficoltà dell'editoria del tuo settore e cosa, secondo te,
“fa la differenza” per proseguire?
È una domanda che mi sto ponendo anche io da mesi. Sono dell'idea che la
cultura debba essere protetta, tenuta con cura e rispetto, ma soprattutto che
debba essere a disposizione di tutti. I piccoli editori come me sono allo
sbando, non hanno aiuti, sono frastornati, preoccupati e sfiniti. Io credo
fermamente nell'operato dei piccoli, soprattutto quelli di nicchia, che si
occupano della diffusione nel territorio o della promozione fuori dall'Italia.
Siamo la ragnatela della cultura, tessiamo una tela fitta che arriva diritto al
lettore stimolando delle opinioni.
Il business dell'editoria “spicciola” ha creato dei mostri, i Free Press che
nascono e muoiono in pochi anni. Ne hanno fatti di tutti i tipi, di tutti i
generi, ma oggi mi accorgo che hanno solo prodotto un gran caos nella gente.
Non hanno stimolato la lettura ma lo “sfogliamento”, il disinteresse per
l'opinione e l'interesse per l'esteriorità. Io sono un piccolo editore, ma ho
stabilito sin dall'inizio che se vuoi fare un palazzo a dieci piani devi creare
una base consistente, che il dialogo con il lettore deve essere sincero, che
non puoi improvvisarti. Ed è questa riflessione che mi porta a dare priorità al
percorso culturale piuttosto che economico. Certo con le potenzialità
economiche il lavoro e le scelte sono più facili, ma questo non ci deve
fermare.
Mi parleresti degli eventi curati collegati alla rivista: Acqua e Salento a
Lecce, le Cento sedie d'Artista alla nuova fiera di Roma, Trinacria a Taormina,
O'dino a Spoleto, Amate l'architettura - realizzato per l'Ordine degli
architetti di Roma, Architetture contemporanee - per l'Accademia
Internazionale di Architettura, Christmas Tree 100 alberi d'artista - per la
Provincia di Viterbo?
Quando ho creato 4aMagazine non volevo entrare nel meccanismo della
distribuzione classica, mi sono chiesta chi avrebbe potuto avere interesse alla
lettura di un altro Magazine trovato sugli scaffali delle librerie. Così ho
pensato a una promozione ideando eventi collegati con i servizi pubblicati. È
nato subito Acqua e Salento, a Lecce, nella magnifica cornice barocca del
Palazzo della Provincia. Ho concentrato un percorso artistico inusuale facendo
intervenire artisti locali non omologati con le tradizioni, ma che avessero
sperimentato nuove tecniche dove però la materia del territorio fosse
protagonista. È stata una grande performance che ha suscitato un importante
interesse e che mi ha convinto a procedere per questa strada. Il mio precedente
lavoro, inoltre, mi aveva già forgiato avendo realizzato per Cetus oltre
cinquanta eventi. Mettere insieme esperienze passate e nuove ha fatto sì che
queste manifestazioni fossero man mano diverse, particolari e personalizzate.
Le altre che si sono susseguite sono state l'evoluzione.
A maggio 2009 nasce Unique, la prima redazione galleria dove la notizia è in
mostra. Cosa significa oggi “lavorare per la cultura”?
Roma è una città bellissima ma per chi lavora con i minuti contati è
scomoda. Da tempo ho scelto di vivere in provincia, a nord della metropoli,
vicino quanto basta ma in una dimensione diversa. Nella Tuscia ho trovato il
mio habitat, un mix tra storia, arte, paesaggi intatti. Avendo sempre a che
fare con l'arte, ma anche con la fotografia e altro, ho pensato che lavorare
per questa senza perderla di vista sarebbe stato il modo migliore. Così è nata
la galleria Unique.
Lavorare per la cultura è una passione, fa parte del tuo dna, è parte di te. È
allo stesso tempo una missione, una fede. Ho sempre la percezione di non fare
mai abbastanza e sono totalmente rapita da qualsiasi espressione che accresca
la mia cultura.
Una domanda che mi piace porre: da osservatrice curiosa come vedi la società
di oggi?
Devo dire che ciò che mi interessa di più e ciò che ritengo rilevante è
dare attenzione ai giovani e alle loro prospettive. I giovani sono la più
grande risorsa di ogni comunità, trovo umiliante e degradante relegarli nella
prospettiva di attività mercificatorie invece di attingere dalle loro
intuizioni. Vedo una società dove la creatività dei giovani architetti,
designer, artisti è costretta varcare il confine per trovare la sua dimensione.
Non ti nego che in questi ultimi anni il pensiero è venuto anche a me, ma
vivere in Italia è un privilegio tale che non ha confronti. La confusione
esiste, la crisi economica e le continue bufere dei Palazzi destabilizzano ma,
quando ami profondamente il territorio dove vivi, le persone che hanno
attraversato la tua vita, quando ti svegli apri la finestra e vedi la cupola di
S. Pietro o fai una passeggia ai Fori Imperiali con la consapevolezza che li,
proprio li dove stai camminando, 2000 anni fa passeggiavano altre speranze,
capisci che non c'è altro paese al mondo che sappia regalarti tante magie tutte
insieme. Dobbiamo impegnarci tutti per ridare ai nostri giovani la voglia di
credere ancora nella nostra società, loro sono la nostra energia.
Lo scorso 12 ottobre a Palazzo dell' informazione a Roma hai organizzato la
mostra “Santuario - The Urban Landscape” che per la prima volta ha portato le
opere del pittore Marco Sassone, residente oramai da trent'anni prima a San
Francisco e poi a Toronto, nella nostra capitale. Perché hai scelto proprio
Sassone e cosa ti ha trasferito questa esperienza?
Marco Sassone me lo ha presentato un amico comune, sempre per fatalità. Ho
conosciuto prima le sue opere e poi lui. Ho studiato il suo percorso artistico
e poi ho deciso di affrontare anche questa nuova sfida. Un artista che ha
perseguito la sua strada con testardaggine, finendo ai margini, in miseria e
trovandosi in un paese straniero che all'inizio lo emarginava. Lui ha ritratto
la realtà che ha vissuto, come i clochard che facevano la fila per un ritratto;
in realtà aspettavano un tozzo di pane che lui gli garantiva per una posa … E
poi le periferie delle grandi metropoli come San Francisco, la solitudine, la
rabbia nei confronti delle istituzioni. Ho trovato tutto questo di grande
attualità. Poi ho scoperto la forza di un obbiettivo: dipingere per tutta la
vita, lui non ha mai fatto altro. Oggi è un uomo riscattato, affermato e che ha
ricevuto onorificenze ma nei suoi occhi la luce è grigia come il fumo che esce
dalle fabbriche. Se gli chiedi chi glielo abbia fatto fare lui s'impettisce e
dice : “questo è quello che volevo fare e niente me lo ha impedito.”
Io e il mio team abbiamo realizzato la mostra tenendo conto delle peculiarità
dell'argomento. La realizzazione dell'allestimento è stata determinante;
abbiamo utilizzato materiali che spesso si trovano nelle strade, come le
barriere in acciaio che delimitano i cantieri in strada, simulato le
affissioni abusive e il degrado delle periferie cittadine. Nella mostra ho
voluto raccontare uno stato d'animo, e lui me l'ha permesso.
So che ami molto la lettura, salutaci con un passo di un libro che possa
riassumere l'essenza di questa conversazione e che ci lasci con un sorriso.
È vero la lettura è una compagna di vita ma anche una complice in famiglia
dove esiste il rito di scambiarci libri. Non sono mai stata gelosa della mia
biblioteca ... Credo che chi voglia un libro della tua collezione voglia un
pezzo di te, e io glielo do. Poi quando cerco quel libro e non lo trovo cerco
di ricordare a chi lo abbia dato e appena mi sovviene una sorta di pace
interiore mi invade. Ci sarebbero tanti passi, frasi, personaggi da citare come
in “La ragazza con l'orecchino di perla” di Tracy Chevalier sintesi di arte,
sentimenti e immagini meravigliose ritratte anche nel film omonimo. In questo
caso vi voglio lasciare con una frase di uno dei libri dell'afgano Khaled
Hosseini ,Mille splendidi soli, che un po' mi appartiene: “Vedete, ci sono cose
che vi posso insegnare, altre che potete imparare dai libri. Ma ci sono cose
che, beh, bisogna vedere e sentire.”
Note biografiche di Paola Bufera
Nasce a Roma nel 1962.
Nel 1976 inizia gli studi secondari, liceo Artistico prima, poi Accademia di
Belle Arti -
indirizzo Scenografia.
Dal 1986 al 1991 collabora con due studi di architettura di Roma, lo Studio
D'Asaro e lo Studio Macchi con quest'ultimo prende parte alla progettazione di
centrali telefoniche, alberghi e i primi centri commerciali.
Nel 1992 fondo la Soc. Progetto Casa, che si occupa della ristrutturazione di
ville, negozi e appartamenti del centro storico di Roma.
Nel 1996 è chiamata come consulente della Immobiliare Mimosa di Viterbo per
curare i rapporti con professionisti. Nel 1998 entra a far parte del Gruppo
Marazzi di Modena, occupandosi della promozione e degli eventi nel centro
Italia per uno del loro marchi.
Dal maggio del 2000 a giugno 2005 diventa direttore marketing della Cetus Spa
a Roma, curando l'immagine, gli eventi e la comunicazione. Per questa azienda è
da ricordare l'evento realizzato ai Fori Traianei “ I marmi della Roma
Imperiale” curato dall'Arch. Del Bufalo, la realizzazione di eventi Fieristici
per Casaidea e altri 56 eventi sempre sul design, l'architettura e l'arte.
A settembre 2005 progetta, realizza ed edito la rivista 4aMagazine, un
esperimento che parte dalla collaborazione con Casaidea insieme a Ottagono. Per
la prima volta a Roma due testate sono mediapartner della manifestazione in
previsione dell'apertura del nuovo polo fieristico.
Nel 2008 diventa amministratore unico della 4aMedia srl, agenzia di
comunicazione che rileva 4aMagazine e si attiva nella realizzazione e la
progettazione di eventi d'arte e di architettura. A maggio 2009 nasce Unique,
la prima redazione galleria dove la notizia è in mostra.