Design

La biografia di Giorgetto Giugiaro
Archimagazine ha il piacere di presentare ai suoi lettori, in esclusiva, l'intervista al famoso designer Giorgetto Giugiaro, realizzata da Umberto Panarella
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Archimagazine ha il piacere di presentare ai suoi lettori, in esclusiva, l'intervista al famoso designer Giorgetto Giugiaro, realizzata da Umberto Panarella

Archimagazine ha il piacere di presentare ai suoi lettori, in esclusiva, l'intervista al famoso designer Giorgetto Giugiaro, realizzata da Umberto Panarella in occasione della consegna della laurea honoris causae in Architettura, avvenuta l'8 ottobre 2004 (il conferimento era avvento nel 2002 presso la Facoltà di Architettura di Aversa (Ce) della Seconda Università di Napoli, presieduta dal prof. Alfonso Gambardella).
Un'intervista nata quasi per caso, non programmata, che si è potuta realizzare per l'affabilità e la cordialità che Giugiaro ha distribuito agli allievi e ai docenti della piccola ma solida Facoltà napoletana.
Dopo la mirabile presentazione della sintesi del suo lavoro - 40 anni di creazioni - e il dibattito successivo in Aula Magna, la conversazione con Giugiaro si è protratta anche durante il buffet in modo conviviale; come quando si discute tra persone che già si conoscono, Giugiaro soddisfaceva le nostre curiosità progettuali e soprattutto quelle di Umberto Panarella, appassionato cultore della storia dell'auto.
Presidente di un gruppo, l'Italdesign Giugiaro, che conta 1.100 dipendenti, personaggio di alto spessore, noto in tutto il mondo per la creazioni di auto, oltre 200, insuperate per stile e design che accompagnano la nostra quotidianità, Giugiaro ha mostrato una qualità rara: la modestia di un uomo che si dispone all'ascolto, a rispondere a tutte le domande, anche a quelle banali, e allo studente in possesso di una vecchia Panda rossa, perfettamente tenuta, che se la fa firmare, sulla portiera, con un indelebile pennarello nero.
Un grazie a nome di archimagazine

Marcello Silvestro

Foto di Peter Vann

Giorgetto Giugiaro
Foto di Peter Vann



Intervista a Giorgetto Giugiaro
di Umberto Panarella

Ho spesso incontrato grossi nome del mondo dell'arte e della cultura; di molti di questi mi era stato detto che erano scontrosi ed inavvicinabili ma ad ogni incontro scoprivo sempre il contrario. Fu così con Roberto Pane, con Peggy Guggenheim, con Carlo Scarpa, con Paolo Soleri, con Newton ed Helen Harrison e con tanti altri. Così è stato con Giorgetto Giugiaro incontrato l'8 ottobre 2004 ad Aversa (Ce) presso la Facoltà di Architettura. In quell'incontro avemmo uno scambio di idee ed una piccola intervista poi continuata via internet.

Umberto Panarella


In occasione della lezione da Lei tenuta ad Aversa, presso la Facoltà di Architettura, ho avuto modo di conoscerla e sono stato particolarmente colpito dalla sua disponibilità e cordialità. In tale occasione ho potuto rivolgerle alcune domande che mi hanno portato a riflettere ed a rivolgergliene delle altre.


1. Lei ha disegnato auto che, in alcuni casi, hanno fatto la fortuna delle case che le hanno prodotte, VW Golf, Daewoo Matiz; altre, addirittura rivoluzionarie, sono state meno fortunate come nel caso dell'Alfasud. Quest'ultima presentava una forma a due volumi particolarmente innovativa rispetto a quella di vetture già presenti nel mercato. Quando l'Alfasud fu lanciata, il mercato offriva le Austin 1100 con le sue varianti (MG, Innocenti, Princess), le Simca 1100, le Citroen GS. Altre vetture, nate successivamente, risultavano già vecchie (Austin Allegro, corrispondente alla italiana Innocenti Regent). Credo che la sua linea sia più rivoluzionaria di quella della Golf. Se non si fossero avuti tutti gli inconvenienti legati alla produzione (deficienze costruttive e mancati obiettivi produttivi causati dall'assenteismo, materiali scadenti come i lamierati soggetti alla ruggine, etc.) di sicuro avrebbe segnato positivamente le sorti dell'azienda e tale modello forse avrebbe realizzato gli stessi numeri della Golf, ostacolandone forse il futuro successo. Qual è il suo pensiero su queste affermazioni?
L'analisi è corretta. Questi sono gli inconvenienti e le difficoltà a cui va incontro un prodotto di grande diffusione a discapito, ovviamente, della qualità del prodotto stesso e dell'immagine del brand. Cert'è che appena si presentano problemi, e questo vale forse ancor di più all'estero, non si perdona nulla.
L'Alfasud, a livello di contenuti, era decisamente superiore rispetto a molti modelli presenti sul mercato all'epoca e ad altri lanciati in seguito. Molto originale ma funzionale al contempo. Il cahier des charges deciso da Hruska era stato molto dettagliato e richiedeva una vettura che presentasse caratteristiche di compattezza, di robustezza strutturale, di capacità abitativa e di penetrazione aerodinamica. E credo si possa dire che non ci sono possibili raffronti in termini di abitabilità e comfort e di cubatura del bagagliaio. Purtroppo, il peso di quel "sud" è stato penalizzante. Le motivazioni di Alfa e quelle pubbliche erano senza dubbio meritevoli: costruire una berlina di media cilindrata capace di integrare nella fascia più bassa la gamma di vetture già prodotte al nord e costruire una fabbrica nel meridione che producesse quasi 1000 vetture al giorno e offrisse un volume di posti di lavoro tale da sollevare economicamente quell'area. Ma i gravi problemi che si sono verificati ad inizio produzione, soprattutto a livello di verniciatura e di trattamento anticorrosione, si sono rovesciati sul modello la cui immagine è risultata pertanto compromessa sin da subito ed hanno anche creato una situazione con un risvolto psicologico pesante e negativo nei confronti del sud del nostro Paese.


2. Tutti la conoscono per il disegno della Fiat Panda che è stata prodotta per ben 24 anni ma Lei, quando la disegnò, per quanti anni pensava potesse resistere alle leggi del mercato e dello stile?
Quando un progettista si appresta a studiare un prodotto che deve presentare caratteristiche funzionali e razionali di rilievo, un prodotto che deve avere una forte personalità ed essere però sviluppato con equilibrio e nel rispetto del contesto sociale ed economico contemporaneo, la sua speranza è quella che il progetto abbia lunga vita. Certo, nessun progettista si sarebbe aspettato di concepire un prodotto tanto longevo. Anche perché dopo sei - sette anni il prodotto rischia di diventare anacronistico. Alcuni hanno definito la Panda un oggetto-simbolo "inossidabile", un "mito" capace di conquistare generazioni di consumatori restando insensibile agli attacchi degli anni e degli imitatori. Certamente con la Panda siamo riusciti a centrare il prodotto ma io preferisco definirla una piccola auto intelligente, una ricerca di design e di engineering portata ai massimi livelli. Cioè, la Panda ha ribaltato il concetto tradizionale di vettura economica: non pretende di rendere in miniatura servizi e accessori di modelli più costosi e quindi offrire il massimo servizio nel minimo spazio. La Panda vuole offrire il massimo spazio abitabile in costi contenuti. Senz'altro è stato un progetto molto importante per me, per Mantovani, il mio socio, e per la nostra azienda: un progetto globale, molto stimolante e da sviluppare con tempistiche da levare il fiato. L'incarico l'abbiamo ricevuto nel luglio del '76, la prima presentazione ufficiale di concetti e forme in scala reale è stata nel gennaio 1977 ed il prodotto è stato presentato ufficialmente alla stampa nel febbraio 1980.


3. Nella Panda sono presenti molti elementi di altre auto di successo realizzate prima di essa (Austin Mini, Renault 4, Citroen 2CV-Dyane) come se essa fosse nata dalla rilettura e rimodellamento di tutti questi elementi. Questa osservazione non vuole sminuire il suo progetto, anzi dimostra le sue doti nel riuscire a soddisfare in un solo modello le esigenze di un pubblico di acquirenti più vasto ed esigente. Mi spiego meglio: i potenziali clienti di una 2CV erano diversi da quelli di una R4 o di una Mini ma tutti, come poi ha dimostrato il mercato, lo potevano essere di una Panda.
Infatti, mi è capitato spesso di ironizzare dicendo che con la Panda abbiamo fatto un errore di valutazione incredibile: ci aspettavamo che fosse il pubblico meno abbiente ad acquistarla come prima auto, invece abbiamo subito constatato che piaceva anche al ceto medio-alto!
Certo, quando si affrontano simili progetti non si può non tener conto dell'apporto dei modelli precedenti. Quindi, si può e si deve lavorare ad un progetto cercando di "fare un passo un po' più lungo", ma il passo va fatto con intelligenza ed umiltà guardando al passato. Credo che sia il modo più onesto per approcciarsi alla concezione di una nuova architettura di autoveicolo. Ogni marchio ha una sua storia da cui non si può prescindere quando nel corso del processo creativo ci si appresta ad interpretarne la filosofia. E' un affascinante patrimonio che non va perso e sta proprio allo stilista, al designer, il compito di creare una continuità mantenendo vivo e riproponendo, in chiave moderna e rinnovata, lo spirito del passato.


4. Lei ha progettato moltissime auto, alcune hanno visto raggiungere numeri elevatissimi di esemplari, altre sono rimaste in produzione per molti anni come la Fiat Panda; altre ancora, pensate per un pubblico esclusivo e realizzate in numero di esemplari limitato, hanno sfidato gli anni senza invecchiare come la Lotus Esprit che, dopo 30 anni e, quasi invariata, si accinge solo ora ad uscire di produzione. Per Lei che ha creato questo modello di Lotus, quali sono stati i requisiti di una linea così longeva in un segmento così particolare come quello delle supersportive?
La Lotus Esprit presentava una linea semplice, pulita, direi "addomesticata" rispetto a quella che avevo proposto sul prototipo di ricerca Boomerang che avevo presentato al Salone di Ginevra sempre nel 1972 e a cui mi ero ispirato per la concezione di questa Lotus. L'Esprit proponeva delle proporzioni meno esasperate che però al contempo riuscivano a mantenere il carattere sportivo della vettura e a trasmettere emozioni ed aspettative di guida proprie di questa tipologia.
Il fatto che un progetto duri a lungo e con un design variato di poco si può attribuire comunque a molti fattori: fra questi, la determinazione della Casa produttrice e la risoluta volontà di migliorare il prodotto, in termini di prestazioni o di migliorie apportate in modo equilibrato ma continuo, con l'intento di mantenerlo "sempreverde".


5. Fino a qualche anno fa i designer hanno concentrato maggiore attenzione al disegno della parte anteriore delle vetture limitandosi, per la parte posteriore, a forme semplici, seppur innovative. Oggi si nota la stessa attenzione anche per la parte posteriore. Ha iniziato per prima la Volvo con la V80, seguita dalla BMW con la serie 7 e la Renault con la Megane, ed ora sembra che tutti i car designer si stiano concentrando per trovare soluzioni sempre più originali ed innovative: nuova Opel Astra, Citroen C4 e C5 (versione 2005), Peugeot 407, Seat Toledo. Qual è il suo parere?
Il mio parere è concorde e corrisponde appieno a questa analisi. In effetti, nel processo di concezione, sempre più attento e volto al raggiungimento di un alto standard di qualità del prodotto, non si può trascurare la parte forse meno "nobile" di un'autovettura ma senza dubbio la parte anche più "visibile" . Quando siamo incolonnati, bloccati nel traffico cittadino, è la linea del posteriore e non quella dell'anteriore dell'auto che abbiamo tempo e modo di valutare. Certo, al momento dell'acquisto continuano ad essere il segno grafico del "muso" e la marca ad avere una maggiore forza attraente, ma è giusto investire tempo, energie e risorse da dedicare a ricerche per la personalizzazione anche della parte retrostante in egual misura rispetto a quanto normalmente e tradizionalmente si faccia per il frontale.


6. Tra i giovani car-designer di centristile di case automobilistiche chi ritiene abbia le idee più originali ed innovative?
Direi Chris Bangle della BMW.


7. Ai saloni si notano, come sempre, giapponesi, cinesi e coreani muniti di macchine fotografiche pronti a documentarsi su tutte le novità da sfruttare nei propri progetti ma non è emerso ancora alcun car designer di successo; a che punto è la scuola stilistica orientale? La scuola italiana è sempre prima nel panorama mondiale o sta perdendo il primato?
Per quanto riguarda la scuola orientale, che corrisponde ad un mercato interno agguerrito, possente, programmato, che cresce a tassi record, direi che ha fatto dei progressi incredibili e dobbiamo aspettarci un desiderio sempre più forte di far sì che siano infine gli europei ad esser influenzati ed ispirati dal loro design. La scuola italiana certo continua a difendersi bene, tuttavia sta perdendo inevitabilmente il suo primato. Anche perché la nostra industria, molto ricca fino agli anni '60-'70 grazie all'apporto di carrozzieri e piccoli costruttori che davano vita anche a vetture di nicchia e speciali capaci di accrescere il fascino del prodotto italiano, unico e apprezzato in tutto il mondo, ha iniziato a subire un processo di "riduzione" in termini di quantità di marchi e di volumi di produzione. Non credo di esagerare se dico che oggi l'industria italiana si riassume in effetti in un unico Gruppo e se escludiamo Ferrari, Maserati e Alfa Romeo direi che è difficile riuscire mantenere quel primato.


8. La BMW, con le serie 7 e 5, ha detto qualcosa di nuovo mentre per la nuova BMW serie 1 si legge la netta influenza della linea Alfa 147. E' d'accordo con questa parentela stilistica?
Quando un marchio propone e produce in segmenti che non sono tradizionalmente i suoi e dove invece sono presenti altri marchi leader, è inevitabile che il prodotto ne risulti influenzato. E' possibile quindi che la linea della 147 abbia in parte dettato quella del progetto della serie 1; c'è da dire, tuttavia, che le differenze si notano nell'insieme e non solo nei particolari e nei dettagli.


9. Lei dal mondo dell'arte figurativa è giunto giovanissimo al mondo dell'automobile; ma, come ha detto in varie circostanze, rimane ancora legato alla pittura. Quale degli artisti emergenti hanno attratto la sua attenzione e perché? E tra quelli del passato? E tra gli architetti contemporanei?
Se parliamo di artisti emergenti non mi è facile individuarne uno solo. Sono molti in effetti gli artisti contemporanei che mi attraggono; uno che tuttavia posso ricordare facilmente e che mi ha particolarmente impressionato è Giuseppe Penone. Mi hanno colpito la sua analisi ed i suoi interventi sulla natura e sulle cose elementari ed il suo modo di evidenziarle e di portarle in rilievo con grande semplicità e attraverso un'ottica del tutto personale, che ribadisce la comune essenza che lega uomo e natura.
Se debbo citare artisti del passato, posso dire di esser particolarmente attratto dall'arte di Paul Gauguin e dai colori luminosi e caldi dei suoi tropici esotici e primitivi, e provo un'analoga attrazione per l'opera di Vincent Van Gogh , per la scelte cromatiche e tecniche e per la sua resa pittorica molto dinamica.
Per la categoria degli architetti, cito Frank Gehry per aver saputo far "traballare" il mondo dell'architettura, scardinandone la rigorosità, la schematicità e la razionalità a favore di una visione "vivente", "pulsante" e direi "naturale". La sua opera trasuda una libertà e una energia scultorea sino ad oggi impensabili, tanto da far apparire ormai obsoleti molti modi di concepire e di occuparsi del progetto architettonico.

10. Una domanda ora all'architetto. Non mi risulta che lei abbia partecipato al concorso di idee per la ricostruzione delle "Twin Towers " di New York ma di sicuro ne ha seguito i risvolti e, come molti, pur non partecipando al concorso, ha formulato o pensato qualche idea: potrebbe illustrarcela?
Certo, anch'io ho formulato una mia idea perché "New York possa di nuovo toccare il cielo" con un edificio della memoria, a sostituzione delle Torri Gemelle. E ho pensato di riempire la sensazione di grande silenzio e di vuoto di Ground Zero non con un progetto che tenti di riproporre il World Trade Center com'era, ma con un progetto altamente tecnologico che sia il "riflesso" di quell'11 settembre: due torri costruite sfruttando la potenza e la purezza della LUCE.
La luce, che è simbolo della vita, dell'evidenza, della chiarezza, sarebbe il materiale da costruzione con il quale vorrei vedere modellata la mia realizzazione architettonica.
Un'"architettura di luce", fragile e priva di consistenza corporea ma proprio per questo al contempo indistruttibile e non condizionata dalle leggi della materia. Semplicemente da "spegnere" per impedire che in un contesto sociale di conflitti ideologici, politici ed economici se ne cancelli la traccia.

La ringrazio a nome personale e di tutti i lettori di Archimagazine per la sua cordiale e sincera disponibilità e professionalità