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Etica, Estetica, Superficie

di Isao Hosoe

Sciare nei giorni nuvolosi non è come sciare sotto il sole.
Con il sole i dossi e le cunette di neve sono resi visibili dai giochi di luce e ombra.
Sotto il cielo coperto di nuvole la pista si presenta liscia e uniforme, dossi e cunette appaiono appiattiti da una luce diffusa e opaca che elimina ogni traccia di ombra.

Aristotele, nel primo libro de "La metafisica", scrisse: "Preferiamo la vista a tutto, non soltanto ai fini dell’azione, ma anche quando non dobbiamo fare nulla. La causa di ciò consiste nel fatto che la vista ci dà conoscenza più di tutti gli altri sensi, e ci rivela molte differenze".

Il senso della vista ha bisogno della luce perché il sensore - gli occhi - capti le differenze. Ma abbiamo visto che le differenze si mostrano in due modi distinti; quello delle differenze illuminate dal sole e quello delle differenze illuminate dal cielo nuvoloso.

La luce del sole produce le differenze nelle forme tridimensionali, invece quella ovattata dalla nuvola riduce ogni cosa a due dimensioni. Meno energia è dunque meno informazione?

La percezione è proprio uno scambio di informazioni e di energia, e se si volesse assumere anche nell’ambito dei sensi qualcosa come la legge di conservazione dell’energia si dovrebbe dedurre che, per chi percepisce, la somma dei segnali di tutti i sensi deve essere costante. Per cui, se la vista non è aiutata a sufficienza dalla luce, si supplisce con informazioni fornite da altri sensi.

Effettivamente chi non vede è più attento al suono o sente il movimento di persone o di oggetti attraverso lo spostamento dell’aria.
In Giappone i massaggiatori erano di solito i non vedenti, sicuramente favoriti, nella loro limitazione, per sviluppare quella particolare sensibilità nel tatto tanto utile alla loro professione.

Il neonato utilizza la sua bocca come l’elemento privilegiato di conoscenza del mondo esterno e mano a mano che comincia a vedere e udire diminuisce sensibilmente la dipendenza totale della bocca anche se la bocca continua ad essere il sensore importante fino all’età avanzata.

Avviciniamoci dunque di più alla percezione della superficie ricordando anche che i sensi direttamente o indirettamente hanno bisogno di una interfaccia, o soglia, nel cui ambito avvengono gli scambi di informazioni e di energia.

La superficie è una interfaccia, una unità apparentemente bi-dimensionale che separa due stati diversi della materia.
La superficie dell’acqua divide l’acqua dall’aria.
La superficie dell’atmosfera divide l’aria dal vuoto.
La superficie della terra divide la terra dall’aria.
Anche la neve coi suoi dossi e le sue cunette è la superficie che divide la neve dall’aria. Ma se i dossi e le cunette hanno delle altezze, si può dire che la superficie ha un’altezza?

Sì, la superficie ha un’altezza, ma bisogna definire la sua scala dimensionale in rapporto al tipo di percezione di cui si parla.
Per le gambe degli sciatori i dossi e le cunette sono la superficie, ma per la sciolina degli sci, la superficie è solo il sottile strato d’acqua che si crea tra la neve e gli sci stessi.

Ho iniziato a scrivere questo articolo a Milano e al mattino sono arrivato a Tokyo dopo 11 ore di volo diretto.
Dai finestrini del jumbo-jet osservavo l’interminabile tundra siberiana coperta di neve, color argento, illuminata dalla luna.

Da diecimila metri di altezza la superficie sembrava fatta di tante piccole colline tutte uguali; unite insieme formavano incavi e convessità, per cui la superficie appariva come un foglio di carta spiegazzata.
La tundra siberiana è come la carta vetrata e averne un’immagine che scorre alla velocità del suono da diecimila metri è un po’ come sentire col dito la superficie della carta vetrata. L’elemento comune ai due gesti è il movimento che genera la percezione della superficie: l’occhio scorre sulla tundra siberiana e la carta vetrata viene toccata dal dito in movimento.
Si può immaginare una carezza che, sulla guancia, sull’orecchio, sul corpo, avviene di solito mediante un leggero scorrere del palmo della mano con una leggerissima pressione sulla pelle - la superficie appunto - a volte talmente leggera che le dita non toccano la pelle, ma la sfiorano facendo sentire solo lo scorrere della radiazione del calore dalla mano, oppure toccano appena i peli.
Perché questa leggerezza nella carezza?

E’ la stessa leggerezza della penombra, la penombra di Tanizaki (Elogio dell’ombra), che preferisce la leggera luce diffusa che viene dallo Shoji (parete coperta di carta di riso) piuttosto che quella diretta del sole nelle stanze; o preferisce un lume di candela o una lampadina al tungsteno poco forte piuttosto che la luce fluorescente.
Ma tra la luce diffusa dallo Shoji e la luce diffusa del fluorescente c’è una bella differenza. Lo Shoji filtra la luce naturale esterna in continuo movimento per lo scorrere delle nuvole o degli ondeggiamenti delle foglie degli alberi.

Si potrebbe allora dire che una buona "visione" della superficie è quella che limita in qualche modo la presenza di segnali luminosi per dare spazio a segnali di altro tipo.

Il giardino del Tempio del muschio a Kyoto è un buon esempio di una simile percezione multimediale: lo splendore delle forme e dei colori dei tappeti di muschio è reso evidente dalle ombre e dalla penombra create da diversi tipi di luce.

Anche l’olfatto è attivato, perché l’odore dell’umido esalta la percezione del muschio, e rappresenta in un certo senso l’essenza dell’estetica della gente di Kyoto, tanto orgogliosa del proprio passato e della propria città.

Vedere una superficie - e, in sostanza, conoscerla o capirla (cosa più difficile) - non è quindi solo "metterla in luce", ma anche "metterla in ombra", pratica, come si è detto, accuratamente seguita in Giappone.

Da tener presente, a questo punto, che le latitudini del meridione del Giappone corrispondono al meridione in Italia. Il sole giapponese è identico al sole mediterraneo, almeno dal punto di vista delle caratteristiche delle luci geograficamente distinte.

Nel sud d’Italia le tapparelle o le persiane delle case vengono chiuse durante le ore in cui il sole batte forte.
Chiudendo le tapparelle non si proteggono solo i loro mobili dal forte sole, ma probabilmente si protegge anche la qualità percettiva dello spazio interno e delle diverse superfici della casa.
Col forte sole sparirebbe tutto, anche le percezioni, perché le soglie dei nostri sensi hanno i loro limiti.

Che differenza c’è fra la luce diffusa giapponese e la penombra mediterranea? O anche, in che modo concepiamo la natura della penombra mediterranea rispetto a quella orientale?

Torniamo alla "legge di compensazione" dei sensi.
Se se ne limita, o se ne elimina, uno si esalta la funzione degli altri.
Ma se li si elimina tutti?

Se eliminiamo tutti e cinque i sensi, anzi i sei intendendo per sesto la mente, siamo esattamente nello stato suggerito dal sutra del cuore (Hannyashingyo in giapponese) con la preghiera: MU (nulla) GEN (occhio) NI (orecchio) BI (naso) ZETSU (lingua) SHIN (corpo) I (mente).
Si annullano tutti i sei sensi e quello che si percepisce - al livello della più profonda meditazione - è l’esseità - Tathagatha, canto dell’essere così come è - dell’illuminazione, il cuore del Buddha.

Si raggiunge cioè un livello di massima capacità di riflessione e di comprensione dell’essere, livello che in molte filosofie occidentali coincide con i più ambiziosi obiettivi dell’etica.

Scaturisce allora, assieme alla sua risposta, una domanda che può dare qualche senso a questo non certo chiarissimo (anzi piuttosto ombroso) excursus sulla percezione della superficie : che differenza c’è tra la percezione occidentale e quella orientale?

La risposta è che l’ETICA quando si sposta all’est diventa EST-ETICA cioè ESTETICA.