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Abitare fluido

di Isao Hosoe

Perché i nomadi si spostano? Si spostano per purificarsi. Pensano che stare in un posto troppo a lungo sporca non solo materialmente il corpo e l’ambiente ma sporca l’anima dell’uomo e del luogo (Motoko Katakura, 1995).

Dunque i nomadi si spostano non necessariamente per ragioni economiche o funzionali ma perché lo spostamento in sé é l’elemento fondamentale per la loro vita come la bicicletta sta in piedi solo in movimento con il manubrio che oscilla qua e là per l’equilibrio dinamico, come i pescecani si muovono in continuazione altrimenti morirebbero per la mancanza di ossigeno o come l’aereo non potrebbe fermarsi in aria perché la sua ala perderebbe la forza ascensionale entrando in stallo: il che significa che l’aereo precipiterà.

La fase decisiva dell’evoluzione di una specie animale, secondo il biologo inglese Julien Huxley, è caratterizzata dall’acquisizione di tre requisiti: il muoversi in avanti, la presenza degli occhi e la simmetria corporea.

Il muoversi in avanti garantirà all’animale di incontrarsi con il cibo, gli occhi guideranno meglio il movimento per la cattura del cibo, e la simmetria corporea gli darà la ottimizzazione dell’equilibrio per sopravvivere.

I nomadi vivono lungo il percorso dello spostamento pronti a cambiare la rotta in qualunque momento, appena ne vedono la necessità e sono totalmente liberi di scegliere il loro futuro programma ottimizzando l’opportunità del momento.

I tre requisiti di Julien Huxley sembrano ben presenti nel comportamento dei nomadi, ma scarsamente visibili nella cultura moderna sedentaria.

Mentre i nomadi vivono l’intervallo cioè il percorso lungo la linea del movimento, i moderni sedentari si preoccupano sostanzialmente del punto di partenza e del punto di arrivo dove l’intervallo é il puro fastidio da eliminare. Mentre per i nomadi il futuro è tutto il percorso da godere man mano che si procede, per i moderni sedentari il futuro è da programmare per ridurre al minimo il rischio dell’intervallo eliminando quasi la necessità di avere gli occhi per un eventuale cambiamento di rotta.

Per quanto riguarda il terzo requisito dell’evoluzione biologica - la simmetria del corpo: per ottenere il massimo grado di libertà di movimento corporeo, si può intuire che meno massa si ha meno energia consumerà il corpo per ogni cambiamento. La massa e l’inerzia sono concetti facilmente trasferibili dal mondo materiale al mondo immateriale.

Pablo Picasso voleva regalare un suo quadro a un amico nomade zingaro il quale ringraziandolo del pensiero, rifiutò perché, riconoscendone il valore, non voleva ridurre il suo grado di libertà.

Questo episodio ci suggerisce che il rifiuto del regalo da parte dello zingaro del quadro dovuto non solo all’aspetto materiale, con il suo peso e il suo ingombro, ma anche al suo aspetto immateriale: il peso del legame che il regalo avrebbe procurato.

Ma l’elemento che incide di più come la massa e l’inerzia immateriale, l’elemento che minaccia di più la "simmetria del corpo" e il grado di libertà del nostro percorso deriva dalle caratteristiche culturali della nostra epoca; la modernità.

La modernità è basata fondamentalmente sulla cultura dei solidi, degli oggetti inerti e sulla geometria, come osservava già all’inizio del secolo Bergson.

Anche la scienza preferiva il laboratorio chiuso al campo aperto perché si pensava che doveva essere dimostrata per essere credibile. Ma per dimostrare occorre ripetere più volte.

Dunque non si può fare gli esperimenti per il fenomeno che si ripete solo una volta come la vita o come tanti fenomeni legati agli elementi fluidi come l’aria e l’acqua.

Il concetto del caos o della complessità inteso nella fase post-moderna, al contrario è strettamente legata al mondo della vita e al mondo dei fluidi che la cultura moderna, basata sul mondo dei solidi, non ha potuto affrontare adeguatamente.

Nella cultura dei solidi lo spazio si solidifica: il cielo e le nuvole diventano cubi come nel quadro di Renè Magritte, e il tempo prodotto da ingranaggi come in "Tempi moderni" di Chaplin. Per fermare il tempo basta fermare gli ingranaggi; dunque si deve fermare la macchina per fermare il tempo.

Ma per la cultura dei fluidi lo spazio è integrato con il tempo perché non si può parlare dello spazio senza coinvolgere il tempo e viceversa.

L’entità tempo-spazio si muove in continuazione in attesa che gli uomini si accorgano della sua presenza. Possiamo pure dire che il tempo esiste perché lo spazio esiste e insieme esistono perchè esiste l’uomo che è parte integrante dell’universo.

Donare il proprio tempo è il massimo che può fare un uomo perché significa non solo donare il proprio spazio ma anche il proprio universo.

Il concetto della fusione tempo-spazio è molto vissuto nella cultura tradizionale giapponese.

La parola MA è l’intervallo, la scansione, il vuoto, riferita sia al tempo che allo spazio.

MA è la parte fluida che intercorre negli intervalli tempo-spazio e fa in modo che la fusione tempo-spazio si trasformi in una forma significativa altrimenti essa resterà nel caos profondo.

Non a caso MA-NUKE, una persona che non possiede MA, significa demente. MA è essenziale perché la fusione tempo-spazio acquisti la vita, senza MA tutto diventa nullo.

MA è la stanza per la casa e ad ogni MA viene attribuita un’identità come I-MA è il soggiorno, HIKAENO-MA è l’anticamera e BUTSU-MA è la stanza per il tempietto buddista e così via. Ma le attribuzioni per funzione delle stanze non impediscono all’occorrenza di cambiare i loro compiti segnati. Di fatto con l’apertura, la chiusura o addirittura con la rimozione totale di FUSUMA (pareti scorrevoli) alcune stanze si uniscono in occasione di feste o cerimonie.

Oltre alla contiguità regolare delle stanze e all’apertura variabile tra le stanze, sono almeno due le ragioni che permettono una tale flessibilità spaziale e di uso.

La prima ragione deriva dal fatto che le stanze di solito sono coperte di TATAMI, materassi di paglia compatta coperti di stuoia di IGUSA, che determinano le dimensioni modulari degli ambienti: stanza da sei TATAMI, da otto TATAMI, da dieci TATAMI e così via.

Non è a caso che un TATAMI, anche se varia di poco da una regione all’altra, ha una dimensione fissa di 180cm x 90cm con uno spessore di 5cm (che non si vede).

Una stanza da quattro TATAMI e mezzo è considerata la più compatta ed ha una connotazione particolare.

Uno YOJO-HAN (4,5 TATAMI, circa 2,7m x 2,7m) con un letto (FUTON) posato direttamente sul TATAMI, sistemato con una coperta di colore caldo con due guanciali, tutto in penombra, con un lume di ANDON semicoperto da una stoffa di seta semitrasparente, dà il messaggio inconfondibile di una scena di un intimo amore.

La seconda ragione sta nel fatto che le stanze di TATAMI hanno pochissimi mobili indispensabili che occupano lo spazio. I tavoli e i tavolini sono mobili o smontabili e al posto delle sedie ci sono i cuscini quadrati. I grandi armadi sono integrati nelle pareti. Dunque le connotazioni e le funzioni delle stanze derivano soprattutto dai comportamenti degli uomini con pochi oggetti sistemati al momento. A questo proposito Edward T.Hall, anziano antropologo che ora vive a Santa Fe, scrive, "mancando di grandi spazi aperti, e vivendo a stretto contatto, i giapponesi impararono a sfruttare al massimo i piccoli spazi. Erano particolarmente ingegnosi nel dilatare lo spazio visivo accentuando il coinvolgimento cinestetico". (La dimensione nascosta, 1996).

Questa estate ho avuto modo di assemblare una piccola tenda mongola da quattro metri di diametro (GER in mongolo, Yurt in russo) con un po' di amici a Tokyo. Un mio amico aveva acquistato un esemplare originale importato dalla Mongolia.

La struttura è composta sostanzialmente da cinque parti, la porta in un infisso con due elementi di apertura esteriore e interiore, le pareti allungabili fatte da bastoncini di legno legati da cerniere in cuoio, l’anello del tetto con l’apertura in cima e tanti bastoni che fanno da collegamento tra l’anello del tetto e le pareti circolari.

Tutta la struttura viene poi coperta dal feltro di lana. Anche il pavimento è coperto da un tappeto di feltro con in mezzo un telaio quadrato un vuoto centrale che costituisce il focolare della casa.

Salvo un po' di cuscini e pochi elementi per la cucina lo spazio era sostanzialmente vuoto e capii che il concetto cinestetico attribuito alla casa giapponese vive dignitosamente anche nello spazio della tenda mongola. Dunque lo spazio semplice senza tanti elementi vincolanti, con pochi oggetti che servono al momento, sono tutto quello che occorre per abitare lo spazio cinestetico. A tutto il resto ci pensano gli abitanti con i loro gesti, i canti e le parole.